In concorso nella sezione Progressive Cinema, Achilles di Farhad Delaram è un’opera prima corposa e sentita. Ormai è assodato quanto e come il cinema iraniano dia un contributo notevole alla Settima Arte, non solo in termini di prodotti, ma soprattutto a livello di messaggi e di spunti di riflessione. Ovviamente, tanto fa il contesto in cui questi uomini e donne, cineasti per scelta o per una necessità intrinseca, vivono.
Achilles non fa, quindi, eccezione, portandoci a un passo da quello che è un mondo chiuso, difficile, incomprensibile per lo più. Almeno per noi, i fortunati che godono di una voce, del libero arbitrio, di possibilità a cui è inimmaginabile rinunciare. I protagonisti della pellicola sembrano guidati da una mano superiore, sebbene tentino con tutte le loro forze di autodeterminarsi.
Achilles | La trama
Achilles (Mirsaeed Molavian) lavora come assistente nel reparto di ortopedia di un ospedale a Teheran. Solitario e scontroso, cinico e disilluso, ci tiene ai suoi pazienti. La sua umanità viene fuori dai piccoli gesti, come mettere dello scotch sulle pareti “parlanti” per acquietare delle donne ricoverate. Non ama i confronti e predilige la lettura in qualche angolo appartato.
Il giorno in cui si imbatte in Hedieh (Behdokht Valia) qualcosa cambia. L’esperienza della donna, la luce nei suoi occhi e l’ndiscutibile bellezza, smuovono corde dimenticate. È così che decide di portarla via dall’ospedale: registrata come una paziente con disturbi psicologici, la donna è in realtà una prigioniera politica.
Con una meta e un obiettivo precisi all’orizzonte, i due salgono in macchina e lasciano che gli eventi facciano il loro corso. Tra notti trascorse sotto le stelle, serate danzanti e incontri che lasciano il segno, Achilles ed Hedieh rifletteranno sul loro passato, presente e futuro.
Amore e odio nei confronti di ciò che può essere chiamato casa
Lo sguardo della macchina da presa si sofferma su dettagli che descrivono bene l’atmosfera: l’ospedale è, al tempo stesso, un luogo di cura (o di fuga) e una prigione. Lo sa bene qualche paziente, come Hedieh, ma anche lo stesso Achilles avverte un sentimento contrastante nei confronti del luogo che lo ha “salvato”.
Il passato ha, infatti, un ruolo determinante nelle figure di entrambi i protagonisti. E saranno, forse, le rispettive ferite a far sì che la loro unione sia così forte. Achilles metterà a rischio la sua stessa vita per colmare un senso di colpa con cui convive da tempo. Hedieh ha lasciato una figlia, senza sapere cosa ne sia stato di lei. Attraverso le loro storie, viene tracciato il ritratto di un paese nel quale far ascoltare la propria voce è rischioso e, spesso, si è costretti a scendere a compromessi. Anche a costo di passare per pazzi o codardi.
Achilles parte da un incontro fortuito e si trasforma in una sorta di road movie. Durante il loro “viaggio”, i protagonisti ritroveranno la fiducia persa e uno spiraglio di speranza che il cambiamento sia attuabile. Al termine della visione viene da domandarsi se sia davvero così, se i muri che separa questi esseri umani dal resto dei loro simili sia insormontabile oppure no.
Salve sono Sabrina Colangeli, se volete leggere altri miei articoli cliccate qui.