L’ultimo episodio di Imma Tataranni – Sostituto Procuratore diretto da Francesco Amato ha fatto registrare il 27,6% di share e un numero di spettatori che ha sfiorato i cinque milioni di spettatori con picchi oltre il 35%. Del sostituto procuratore Imma Tataranni interpretato da Vanessa Scalera e dei segreti della serie abbiamo parlato con Francesco Amato.
La serie Imma Tataranni – Sostituto Procuratore di Francesco Amato è prodotta da Rai Movie, IBC Movie e Rai Com. Oltre che da Vanessa Scalera è interpretata da Massimiliano Gallo, Barbara Ronchi, Alessio Lapice, Carlo Buccirosso.

Non solo Imma Tataranni per Francesco Amato
Sei reduce da un periodo fertile di lavoro. Mentre in televisione stiamo apprezzando le nuove puntate della serie dedicata a Imma Tataranni, arrivata alla terza stagione, a Natale sarai sugli schermi con Santocielo, scritto da Ficarra e Piccone, interpreti del film insieme a Barbara Ronchi e Maria Chiara Giannetta.
Di Santocielo avremo modo di parlare. Posso dire che secondo me sarà un film che lascerà una traccia perché oltre alla piacevolezza ha dalla sua l’originalità con cui abbiamo raccontato argomenti di una certa sensibilità.
L’interesse è anche quello di capire in che modo Ficarra e Picone sapranno mettere a frutto il credito ottenuto con La Stranezza che oltre al successo commerciale gli ha fatto avere il plauso della critica.
Secondo me hanno fatto un passo indietro, venivano dal cinema d’autore e sono tornati al cinepanettone. Ovviamente scherzo, staremo a vedere se ciò che penso sarà condiviso da pubblico e critica.

A mio avviso le modalità del tuo cinema, costruito su un’autorialità capace di dialogare con il pubblico ben si presta alla trasversalità comica della coppia siciliana. Come mi diceva Pappi Corsicato a proposito di Jeff Koons è priorità di tutti gli artisti riuscire a coinvolgere ed essere visti dal numero più alto di spettatori e il tuo modo di fare cinema offre loro la possibilità di riuscirci.
Di certo non sono uno che si tira indietro. Se ho la percezione che la storia possa emozionare o fare ridere mi offro come strumento per trasformare una storia in un insieme di suggestioni che permettono al pubblico di essere coinvolto nella storia. D’altronde il nostro lavoro ha come obiettivo quello di essere visto. Una vocazione che ha il cinema e ancora di più la televisione.
Film e autorialità
Anche perché il concetto di autorialità è stato messo in crisi dagli effetti della pandemia e dalla conseguente crisi delle sale. Anche la critica più rigorosa è stata costretta a fare i conti con la necessità di allargare le categorie estetiche, riconoscendo anche al cinema di genere un prestigio e uno status che prima non aveva. Lo abbiamo visto con la rivalutazione di Top Gun e, in Italia, con le scelte di Antonio Barbera che alla Mostra del Cinema di Venezia ha messo in concorso Joker e La forma dell’acqua, ovvero film che fino a poco tempo fa erano considerati dei prodotti e non delle opere.
Sono d’accordo. I dati del cinema, ma anche quelli della televisione, dimostrano che le differenze tra i film che hanno un valore linguistico e quelli premiati dal pubblico si stanno assottigliando. Oppenheimer è l’esempio più lampante ma anche un campione mondiale d’incassi come Barbie è a suo modo un lungometraggio di ricerca. Anche il fatto che Io capitano abbia raggiunto i tre milioni d’incasso è una notizia interessante. Anche Santocielo ha queste caratteristiche quindi sono molto curioso di vedere come sarà accolto.

Neri Parenti mi diceva che oggi la maggior parte dei suoi film non li potrebbe più fare perché sarebbero considerati troppo distanti dal pensiero comune.
Conoscevo la posizione di Neri, però, per esempio lo scorso Natale, la distribuzione de Il grande giorno di Aldo, Giovanni e Giacomo, fu davvero azzeccata perché, oltre alla comicità del trio, quel film presentava una riflessione molto profonda sul fatto di rimanere soli e sul concetto di dignità legato all’accettazione di separarsi dal proprio coniuge. Parliamo di temi di consumo non comune dunque anche rischiosi da affrontare per un film con un alto target commerciale. Sul discorso dei generi soffro un po’ quando nel nostro mondo se ne parla solo in termini di fughe, sparatorie e scazzottate, dimenticando come le commedie e persino i film comici offrano la possibilità di ampliare di gran lunga le possibilità drammaturgiche di una storia.
Il caso di Roman Polanski, con le reazioni negative suscitate da The Palace, ci dice quanta difficoltà ci sia ad accettare certi concetti, dimenticando che la New Hollywood ci ha insegnato proprio quello che dicevi tu. I grandi di quell’epoca infatti si rivolgevano al genere proprio per i vantaggi di cui stiamo parlando.
La speranza è che il confine tra film d’autore e film di genere diventi più labile, in maniera che entrambi possano contare sulla fortuna del botteghino e il sostegno della critica. Anche perché nel 2023 un regista non si chiede se deve fare un film di genere o meno. Io per esempio di fronte a un progetto ragiono su tre cose: mi chiedo se ci sono i soldi, se ci possiamo fare due risate e che cosa ho da imparare. Se ottengo risposte positive a queste tre domande decido di dedicarmici altrimenti passo avanti.

Imma Tataranni di Francesco Amato: curato come un film
D’altronde dimostri di fare quello che dici perché la serie su Imma Tataranni ha la stessa accuratezza e attenzione che dedichi ai lungometraggi.
Mi fa piacere sentire la tua considerazione perché per me non c’è una grande differenza. Se si verifica dipende solo da una maggiore disponibilità degli strumenti a disposizione. L’anno scorso per la RAI ho diretto Filumena Marturano, eppure, nonostante sia il film più cinematografico che ho fatto, ho vinto il Nastro d’argento per la televisione. In quel caso non trovando le location adatte per ricreare la Napoli del 1950 ho dovuto ricorrere ad altri modelli cinematografici e in particolare a quelli adottati da Wong Kar-wai per In The Mood for Love, soprattutto nella capacità dei primi piani di raccontare un’epoca allargando l’obiettivo e mostrando l’immagine di un muro scrostato.
Per contro un romanzo come quello di Imma Tataranni ambientato ai giorni nostri ti dà la possibilità di usare il drone. Questo per dire che ogni film ha la propria disponibilità e complessità di linguaggio. Per quanto mi riguarda ciò che mette in relazione i film per il cinema e quelli per la televisione è il fatto che in entrambi non uso la steadycam. Piuttosto faccio qualche inquadratura in meno ,ma nelle mie produzioni uso sempre e soltanto il carrello.
Per te qual è la differenza?
A me interessa comporre immagini che riesco a controllare, in cui non ci sia troppo spazio per la casualità. È paradossale per uno come me, formatosi nel documentario. Lì ho imparato che il gesto del regista è quello dell’interpretazione del reale: è lui a fare da filtro tra realtà e rappresentazione, dunque non si deve accontentare di quello che il quotidiano gli mette di fronte. In questo senso in Io Capitano Garrone è stato fantastico perché è riuscito a filmare il deserto con uno sguardo assolutamente cinematografico, e cioè secondo il proprio gusto e la propria visione. Una costruzione come la sua presuppone la necessità di controllo e soprattutto un’immagine stabile. Solo così si riesce a padroneggiare quello che entra nell’inquadratura e quello che invece deve restare fuori. È una questione fondamentale e credo che sia il segno del cinema.

A tal proposito mi vengono in mente le parole spese da Fabrizio Rongione per i fratelli Dardenne e quelle di Marco Graziaplena, direttore della fotografia degli ultimi film di Abdellatif Kechiche. Entrambi mi dicevano come la fenomenologia di quel cinema fosse frutto di un controllo rigorosissimo della messa in scena e della messa al bando di qualsiasi spontaneismo.
Esattamente. Kechiche è un maestro da questo punto di vista. I Dardenne invece sono riusciti a ottenere quel controllo assoluto con degli strumenti, come l’uso della macchina a mano, che lascerebbero intendere un approccio contrario. Loro in questo sono dei grandissimi maestri.
Vanessa Scalera: la perfetta Imma Tataranni per Francesco Amato
Di Imma Tataranni la cosa che mi ha colpito, da parte tua, è stato come hai fatto a capire che Vanessa Scalera sarebbe stata perfetta per il ruolo. Mi sono immaginato una situazione simile a quelle capitate a De Niro e Pacino, che nonostante la loro bravura all’inizio hanno dovuto fare i conti con il fatto di essere poco noti e dall’avere un’estetica lontana dal modello anglosassone. In più, come successe a Zingaretti per Montalbano, anche Imma presentava una fisicità lontana da come l’avevano pensata i suoi creatori. Al mimetismo interpretativo hai privilegiato la capacità degli interpreti di evocare lo spirito proposto dai romanzi di Mariolina Venezia.

Nella tua domanda c’è anche un po’ la risposta e cioè che Imma Tataranni aveva una fisicità completamente diversa nei romanzi. Ciononostante, in termini di personalità, umiltà delle origini e di una fotogenia lontana dai canoni della televisione, Vanessa aveva le credenziali per essere un personaggio rivoluzionario, capace, come poi è successo, di ispirare la serialità successiva, caratterizzata da protagoniste femminili con una forte caratterialità e con una fotogenia paragonabile a quella del passato. Attenzione, stiamo parlando di donne bellissime: Vanessa è una donna di una bellezza sconfinata però è anche una che non si fa degli scrupoli in termini di estetica.
Lo stesso vale per me. Il rischio è quello di essere fraintesi mentre la diversità dal canone dominante deve essere considerato un valore aggiunto alla bellezza e, almeno nel caso di Vanessa Scalera, lo è. Tornando alle origini mi chiedevo se in qualche modo la diffusione del fenomeno #Metoo abbia influenzato la scrittura della serie. Anche perché il modo in cui si pone Imma nei confronti di un mondo e di una istituzione con prerogative maschili sembrano il riflesso di quel nuovo modo di pensare le relazioni uomo donna?
Sì, penso che il personaggio abbia colto i segni che il presente ci stava dando non solo da un punto di vista politico ma anche sociale e la cosa sorprendente è che questi segnali erano comuni nel nostro modo di relazionarci in ambito famigliare e lavorativo. Da sempre, anche nel Novecento. In realtà Imma è un personaggio novecentesco: noi non abbiamo fatto altro che dire che la forza delle donne non nasce nel 2017. Imma non è una femminista. In qualche modo è un personaggio nostalgico, anche conservatore, se vogliamo. Le sta molto più a cuore la tradizione che una visione avanguardistica di sé. Imma afferma che è sempre stato così, e cioè che la donna è sempre stata forte, forse più del maschio. In questo senso siamo entrati dentro una dimensione drammaturgia molto moderna in cui però si afferma il passato.

Quando uno guarda Vanessa Scalera, specialmente nei primi piani, riesce a percepire la forza della sua presenza. Sembra paradossale, ma sembra di sentirne la forza con cui a teatro è capace di tenere il palco. È questione di carisma, ma anche di un talento innato.
Guarda, lo specifico di Vanessa Scalera è proprio la presenza scenica. Lei ne ha una veramente importante. La personalità e il carattere le permettono di emergere e questo è ciò che contraddistingue i grandissimi attori. Al contempo è anche un’attrice raffinatissima nella gestione della mimica: il suo volto si compone di tanti muscoli pronti a muoversi ed è questo a renderla un’attrice molto cinematografica. Sono sorpreso che in pochi l’avessero capito. L’unico ad averlo fatto fu Marco Tullio Giordana che la scelse per il ruolo principale di Lea. Fu l’unico ad aver avuto l’intuizione che Vanessa poteva essere una protagonista.
Dramma e commedia
Dirò una cosa sacrilega, ma la mobilità dei suoi muscoli facciali è tale da ricordarmi addirittura il grande Totò.
L’immagine che richiami è bellissima! Vanessa è grata al personaggio di Imma per vari motivi, che sarà lei a raccontarti se glielo chiederai. Però una cosa posso dirtela perché l’abbiamo condivisa, e cioè che attraverso di lei ha capito di poter essere un’attrice comica. Per quanto mi riguarda lavoro spesso con attori che non recitano in una sola direzione e che hanno soltanto un unico orizzonte.
Tu sei stato il regista che ha sdoganato Toni Servillo come attore da commedia.
A teatro lui la commedia l’aveva già praticata, Vanessa no. Pensa per esempio a Barbara Ronchi, da sempre presente nella nostra serie. Lei passa dall’essere protagonista di Marco Bellocchio al prendere parte al prossimo film di Natale. Penso sia anche una questione generazionale e di un’epoca definiamola post ideologica, in cui stiamo nel cinema non perché ci stanno a cuore soltanto i nostri drammi, ma perché è una cosa che ci piace fare.
Montalbano
A proposito del rapporto tra cinema e letteratura, per Montalbano, Sironi e i suoi attori potevano contare sulla prolificità di Andrea Camilleri. Nel vostro caso non è stato lo stesso e questo, in un certo senso, vi ha dato carta bianca nell’arricchire in maniera sostanziosa il bagaglio del vostro personaggio.
Sostanziosa e sostanziale. Questo chiaramente incide anche su certi aspetti fondativi dei vari racconti. Se vogliamo, Montalbano aveva una vocazione unicamente verticale. Certo, c’era la storia con Livia, con cui lui ogni tanto scambiava qualche telefonata. Lei qualche volta andava a trovarlo in Sicilia ma questo si limitava a occupare pochissimi e semplicissimi tratti di vicende che erano per lo più incentrate sulle indagini. Noi al contrario avevamo poche indicazioni perché quelle dei romanzi finivano sostanzialmente nella prima stagione. Questo ha lasciato più spazio a un racconto orizzontale, con le vicende personali dei vari personaggi. Ed è qui la grande differenza con Sironi. Quando si cita Camilleri uno dice sempre Montalbano, dice sempre Zingaretti, ma io dico sempre Sironi. Sono un fan assoluto e per sempre grato al lavoro che ha fatto. Senza Sironi non ci sarebbe stata Imma.

Mi fa piacere perché anch’io la penso come te. Non a caso ho citato solo Sironi.
L’estetica di Sironi è unica nella televisione italiana recente. Insieme ad Alberto Negrin, lui è un maestro assoluto. Se vuoi, però Sironi ha compiuto qualcosa di incredibile. Ancora oggi qualunque replica di Montalbano riesce a fare grandi numeri. L’attenzione attorno a quel prodotto è davvero notevolissima nonostante il passare del tempo. La differenza sta nel fatto che noi abbiamo un rapporto diverso con il pubblico, perché quando uno vede Montalbano va a cercare delle informazioni che già conosceva perché aveva letto il libro. Nel nostro caso tutto è un’assoluta sorpresa perché a mancare sono quelle fondamenta su cui di solito si costruiscono gli adattamenti. Va da sé che noi si debba sempre inventarci nuove storie.
La protagonista
Nel tratteggiare il personaggio di Imma mi pare tu abbia bilanciato la ruvidità del carattere con la simpatia delle sua espressività. In questo modo tutto le è possibile: anche dire cosa spiacevoli senza perdere l’empatia del pubblico.
Certo, ma io credo che la cosa importante sia nell’approccio. Se questo è meramente celebrativo c’è il rischio di fare delle cose banali. Se invece prendi spunto da quello che vedi e ti interessi alla realtà senza fare sconti agli elementi più spigolosi e contraddittori il personaggio diventa interessante e la gente lo capisce e si immedesima ancora di più. Nella televisione generalista tutto ciò deve essere raccontato in termini di leggerezza, per poter raccontare i conflitti interiori senza appesantire la narrazione.

Per caratteristiche costitutive la franchezza e i modi spicci della protagonista rappresentano una sorta di antidoto alla possibilità di diventare retorici.
Tu dici una cosa fondamentale e questo mi permette di rispondere con più precisione alla domanda che mi hai fatto prima, e cioè perché scegliere Vanessa Scalera. Se c’è un elemento di lei che permette a Imma Tataranni di essere esattamente come vogliamo raccontarla, e quindi in una prospettiva anti retorica, questo elemento è il timbro della voce. Il suo le permette di dire cose tenerissime, commoventi e dolcissime senza diventare mai retorica. Non ti apparirà mai falsa, finta, arbitraria. Vanessa ha una voce sempre vincente. La forza scenica della sua presenza unita alla voce ti permette di scrivere quello che vuoi.
Imma non è un detective privato, ma un funzionario dello Stato. La sua ortodossia lavorativa non tarpa la sua natura anticonformista. Cammina come un soldato ma non rinuncia alla femminilità. La sua figura è una sintesi di opposti che trovano modo di convivere in una figura sempre fuori dal coro.
In questo è stata brava Mariolina Venezia, l’autrice dei romanzi, consegnandoci un personaggio davvero completo. È stata lei a dirci che tutto nasce dalle umili origini di Imma; dal fatto che da bambina veniva considerata una che non ce l’avrebbe mai fatta. Non era neanche così intelligente e per questo motivo sviluppò una memoria capace di compensarne altre carenze. Sono questi gli elementi che l’hanno resa diversa dagli altri nel modo di realizzarsi. Lo ha fatto non come succede ai giovani ricchi borghesi che fanno scuole importanti. Lei è una proletaria sottoposta al giudizio critico degli altri.

Ispirazioni nell’Imma Tataranni di Francesco Amato
Tra i modelli della serie mi sono venuti in mente Simenon per l’attenzione ai personaggi secondari, ma anche Manuel Vázquez Montalbán per la personalizzazione dell’indagine investigativa pronta a mescolare intuizione e gusto per la vita. Il tutto all’insegna di un’artigianalità lontana dalla tecnica asettica e scientifica dei modelli inglesi.
I modelli ai quali ho guardato specificamente sono quelli ereditati dalle visioni che facevo da ragazzo. Sia io che Vanessa, ma anche Mariolina avevamo come riferimento soprattutto il Tenente Colombo. Ho avuto in mente anche personaggi lontani dal nostro, ma comunque capaci di portare avanti un punto di vista e soprattutto un metodo investigativo non convenzionale. Così sono l’ispettore Derrick ma anche Magnum P.I. con il suo carattere guascone. Simenon è imprescindibile così come lo è per me Dürrenmatt, autore dei gialli più belli della storia. Parliamo di cose che tu prendi e che ti possono servire anche solo per un’espressione o nella scelta di un’immagine. Ciò che ci ha guidato è stato lo spirito delle indagini che sembrano il gioco del gatto con il topo tipico del Tenente Colombo. Nel racconto della società i nostri modelli sono stati quelli della commedia all’italiana. Penso al Pietro Germi di Signore e signori e di Sedotta e abbandonata, a Paolo Villaggio in generale, per non citare un certo romanzo comico popolare degli anni settanta e anche ottanta.
Il personaggio di Barbara Ronchi mi ha fatto venire in mente il Dottor Watson di Sherlock Holmes, applicato in un contesto più votato al comico e alla commedia. Non so se hai pensato anche a questo?
Assolutamente sì. Quello della serie è un genere che si presta molto all’idea di avere una coppia di personaggi. La fortuna di Imma Tataranni è di avere due spalle importanti, ognuno dei quali capace di portare un segno completamente diverso: mi riferisco al Maresciallo Calogiuri interpretato da Alessio Lapice e alla Diana di Barbara Ronchi. Per le indagini Imma ha due scudieri come loro. Poi ci sono le vicende con il marito in cui non si sa chi dei due conduce il gioco. Come succede anche con il sublime Carlo Buccirosso, il capo con cui lei si scontra e si confronta. Con Diana formano una coppia fantastica: una conduce le indagini, l’altra invece le accompagna.

Un altro protagonista: Matera
Mi sembra che uno dei protagonisti della serie sia il territorio italiano. Matera, per esempio, è come concorresse a creare a svelare i segreti. A volte si mette di traverso alle indagini, altre le indirizza verso la svolta decisiva.
Certo, la territorialità è uno specifico della serie. La grande sfida era quella di creare l’universalità partendo dal locale, da un territorio specifico e con caratteristiche che non valgono in Sicilia, in Piemonte, in Veneto, e che però creano dinamiche in grado di essere capite in Italia ma anche in America o in Spagna. Perché poi un aspetto da non sottovalutare è che noi in Italia facciamo 4 milioni e mezzo di spettatori soltanto in prima serata, ovvero gli stessi spettatori che ha fatto Barbie al cinema. In Spagna succede quasi la stessa cosa con uno share di tre milioni di persone a episodio. La cosa molto affascinante è che la specificità di un territorio così unico come la Basilicata e la città di Matera viene capita e fatta propria in giro per il mondo. Questo crea curiosità e di conseguenza un sacco di turismo.
Nel rapporto tra personaggio e paesaggio a creare una vertigine visiva è il contrasto tra i sassi di Matera e questa donna che vi cammina sopra con i tacchi a spillo. Penso che questo faccia effetto in qualunque parte del mondo.
Hai citato la prima immagine della serie, quella che ha affascinato veramente tutti quanti, me compreso. È stata quella che ci ha ispirato a fare questo film. A inserire una figura espressionistica in un contesto iper realista. La combinazione di queste cose crea quella che tu chiami vertigine. Usi una parola giustissima che definisce bene lo squilibrio stilistico capace di conferire originalità e di personalità all’intera serie.

In quanto serie, Imma Tataranni ha da una parte la necessità di mantenere le costanti che permettono di fidelizzare il suo pubblico, dall’altra ha bisogno di trasmettere la sensazione reale o presunta di un rinnovamento in grado di comunicare il tempo che passa uniformandolo a quello dello spettatore. Nei due episodi della terza stagione le novità non mancano, con Calogiuri che si sveglia dal coma, con la figlia di Imma che si trasferisce a Napoli, con Pietro che conosce un’altra donna. Anche il cambio di ufficio del procuratore concorre a dare un’idea di cambiamento.
Ci sentiamo in dovere di dire le cose come stanno e dunque di raccontare un’Italia che cambia. Il vero tema che attraversa tutto il contesto tematico di Imma Tataranni è proprio il rapporto tra la tradizione e la trasformazione. Matera è la città che in Italia ha subito più mutamenti. Fino a qualche decennio fa era quasi dimenticata: qualcuno aveva cercato di nasconderla. La sua salvezza è stata il turismo, un tema che non va celebrato, ma piuttosto affrontato.
Sono orgoglioso che la prima puntata di questa nuova stagione racconti proprio questo cambiamento, con la visione tradizionalista di Imma che si scontra con il mutamento del tessuto sociale, ma anche visivo e territoriale. Abbiamo raccontato delle pale eoliche, abbiamo creato anche un dibattito attorno al problema del paesaggio che si trasforma. Un tema che vale per qualsiasi città del mondo. Imma a un certo punto della prima puntata dice una cosa molto importante e cioè che l’estetica della città non riuscirà mai a cambiare in senso profondo la sensibilità di un territorio.
Differenze tra serialità e cinema
Il fatto di lavorare da tempo sullo stesso personaggio che differenze comporta rispetto a quando vi ritrovate sul set per una nuova serie? Nel cinema non capita quasi mai mentre qui diventa la regola.
Questo segna sostanzialmente la differenza tra un film per il cinema e una serie televisiva lunga come la nostra. Per me è un’esperienza che ricorda gli anni del liceo in cui siamo entrati ragazzini e usciti adulti, più sicuri di noi stessi tanto nello studio quanto nelle relazioni con gli altri. Qui è la stessa cosa. Si tratta di un percorso di crescita del nostro gruppo di lavoro sia in termini di conoscenze cinematografiche e televisive, sia in termini di prestigio, perché è vero che all’inizio avevamo meno forza contrattuale mentre ora alcuni di noi hanno vinto il David di Donatello, i Nastri d’argento. C’è chi è andato a Cannes, chi ha ricevuto proposte di lavoro molto importanti. C’è chi ha fatto il protagonista assoluto in serie televisive importanti come è successo a Massimiliano Gallo, eppure siamo sempre qui.
Come regista devo fare in modo di riuscire a tenere unito il gruppo, facendo sì che quanto accade non sia routine, ma che ci sia sempre qualcosa di nuovo da sperimentare e da cercare nei nostri personaggi. Fino adesso è successo e noi siamo ancora tutti qui, come nel primo giorno di riprese.