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Complex female character, la donna nei media di oggi

Caratteristiche ed esempi di un tema che, assente per decenni, é diventato negli ultimi anni protagonista assoluto delle narrazioni cinematografiche e televisive

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Se si guarda alla storia del cinema come a quella dell’arte o della letteratura dalle sue origini fino a pochi anni fa, le donne che ne sono state protagoniste si possono contare sulle dita di una mano. Ma é davvero così, o c’é stato piuttosto qualche intervento che ne ha cancellato la presenza per secoli?

Limitando l’analisi alla storia del cinema, pochi riconosceranno il nome di Alice Guy-Blaché. Alla fine dell’Ottocento la regista francese é stata la prima in assoluto a realizzare un cortometraggio di fiction, oltre a fondare una sua casa di produzione; ma la sua storia é stata troppo spesso dimenticata in favore di altri nomi maschili a cui, di fatto, ha aperto la strada.

La marginalizzazione delle donne non é avvenuta solo dietro le quinte, ma anche davanti alla macchina da presa. Se non si può parlare di vera e propria assenza, dal momento che i personaggi femminili sono quasi sempre presenti in varie forme, si deve però notare come, nel passato, soltanto raramente le donne sono state le protagoniste assolute delle narrazioni audiovisive.

Se si guarda alla produzione contemporanea, é innegabile un netto cambiamento di tendenza. Pensando soltanto al panorama della serialità televisiva di oggi saremmo tutti in grado di nominare più di una serie in cui la protagonista indiscussa è una donna. Questa svolta, né rapida né tantomeno priva di fatiche, é strettamente legata al progressivo aumento di registe e scrittrici nelle produzioni e nelle writers’ room, ancora oggi spesso in maggioranza maschile. Progressivamente, queste autrici hanno iniziato a dare una scossa allo schema tradizionale delle narrazioni dal suo interno, rivendicando per i loro personaggi caratteri, generi e azioni che erano solitamente associate a protagonisti maschili.

La definizione di “complex female character”

É in questo frangente che compare l’etichetta di complex female character: da pura rivendicazione per dare voce e centralità ai personaggi femminili é ormai diventato un topos narrativo consolidato. Il carattere della complexity, della complessità, é qualcosa che abbraccia e influenza tutti gli aspetti della costruzione di questi personaggi, tanto vari tra loro da escludere la possibilità di una definizione universale.

gone girl complex female character

Ma prendendo in esame questi nuovi female characters se ne possono individuare alcuni tratti comuni: sono tutte donne di carattere forte, ricche di sfumature e difetti e di cui non sempre condividiamo azioni e motivazioni. Molto spesso si tratta di personaggi non proprio gradevoli, che lo spettatore non riesce ad amare ma nemmeno ad odiare fino in fondo: non sono né eroine né villain, ma si muovono in una zona grigia di cui sono loro a determinare i confini.

Carattere, moralità – o la sua assenza – e azioni di queste donne non sono mai giustificati né giudicati, ma sono semplicemente lasciate libere di essere anche quando si rivelano una potenza (auto)distruttiva. Queste complex females sono delle donne reali, che con i loro difetti e misteri, attraggono una larga fetta di pubblico che si vede finalmente rappresentata e rispecchiata sullo schermo.

Negli ultimi anni, il topos del complex female character si é codificato e consolidato al punto di diventare protagonista nel panorama cinematografico e televisivo. Anche i registi più famosi si sono interessati a questo tipo di narrazioni: il caso più eclatante é quello di David Fincher, che con il suo Gone Girl (2014), scritto dall’autrice Gillian Flynn, crea un vero e proprio cult del genere. Guardando alla produzione odierna, si possono rintracciare innumerevoli narrazioni in cui le protagoniste rispecchiano i tratti di questo topos: in quest’analisi non si può che partire da Fleabag (2016-19).

Fleabag (2016-19) di Phoebe Waller-Bridge

Fleabag, serie britannica creata, scritta e con protagonista la comedian Phoebe Waller-Bridge, é diventata un cult fin dalla sua messa in onda nel 2016. É la storia di Fleabag, una trentenne londinese che cerca di sopravvivere alla quotidianità tra difficoltà economiche e una perenne instabilità emotiva e sentimentale. Il suo bar nel centro di Londra é sull’orlo del fallimento, la sua famiglia é distaccata e la tratta come una mina vagante sempre pronta a esplodere e la sua migliore amica Boo, con cui aveva aperto il bar, é morta da poco.

Quello che doveva essere un finto tentativo di suicidio per riconquistare le attenzioni del suo ragazzo, ma che poi si rivela fatale, é il motore di tutta la storia. Fleabag porta su di sé il peso del senso di colpa, convinta che l’amica abbia compiuto l’incosciente gesto per causa sua (é proprio Fleabag la donna per cui Boo é stata tradita), e non riesce più a liberarsene. Questa consapevolezza, oltre ai famigliari freddi e chiusi che la allontanano e le fanno notare di continuo la sua instabilità, rende Fleabag un personaggio sempre a rischio di esplosione. La protagonista infatti é mossa da motivazioni forti ma opposte, che la spingono a compiere gesti, pronunciare frasi e prendere decisioni che la fanno apparire totalmente fuori di sé.

fleabag complex female character

La donna però ne é totalmente consapevole: Fleabag ricorre a un sarcasmo pessimistico e a tratti crudele per mascherare questa interiorità che la tormenta senza mai darle tregua. Al di là di ogni apparenza, il sentimento dominante della protagonista é l’odio verso se stessa. Secondo la sua convinzione, é lei la causa di ogni insuccesso o male suo e di chi la circonda.

La mad woman e la performatività del femminile

Spesso rappresentata con tratti che fanno riferimento al topos della mad woman, Fleabag é però un personaggio estremamente razionale. La protagonista é infatti un’attenta osservatrice e, oltre a guardare in se stessa, vede i fattori esterni che la spingono ad agire in certi modi, spesso al limite della moralità e dell’accettabilità per il pubblico. Fleabag stessa non é altro che una performance, un personaggio che lei stessa ha creato per presentarsi agli altri: tanto in profondità da nascondere anche il suo vero nome, che non viene mai svelato (Fleabag, il suo soprannome, significa “sacco di pulci”). Non adattandosi all’immagine tradizionale di “donna”, Fleabag costruisce una sua personale performatività del femminile, che invece di liberarla la spinge ad agire sempre per piacere o fare colpo sugli altri.

Ho la terribile sensazione di essere una donna avida, perversa, egoista, apatica, cinica, depravata, e moralmente a pezzi che non può nemmeno chiamare se stessa “femminista”.

In questo senso, la serie ha un’intuizione geniale: quella di fare guardare la protagonista direttamente in macchina rompendo la quarta parete. Fleabag si rivolge direttamente agli spettatori parlando con noi. La macchina da presa, rappresentante simbolica del pubblico, é solo l’ennesima osservatrice a cui la donna cerca di piacere. Ma gli spettatori sono anche l’unica compagnia costante della protagonista, incapace di rimanere per un attimo da sola con se stessa e le tensioni interiori che aspettano di farla scoppiare. E Fleabag, qualche volta, crolla: e lo fa davanti alla macchina da presa che, quando la donna si volta per guardarla, é sempre pronta per lei. Si potranno non amare Fleabag e le sue crudeltà, ma non si riesce nemmeno ad odiarla. Perché in fin dei conti é un po’ lo specchio di chi la guarda.

La persona peggiore del mondo (2021) di Joachim Trier

Parlando di complex female characters, un’associazione che viene spesso fatta é quella tra Fleabag e Julie, la protagonista di La persona peggiore del mondo (2021). Alla soglia dei trent’anni Julie – interpretata da una meravigliosa Renate Reinsve, premiata a Cannes per il ruolo – non ha ancora trovato una direzione nella vita e si butta nelle relazioni senza troppa convinzione. Il suo ragazzo Aksel (Anders Danielsen Lie), molto più vecchio di lei e fumettista di successo, vuole mettere su famiglia insieme, ma Julie si tira continuamente indietro.

la persona peggiore del mondo complex female character

Anche la protagonista del film di Trier, proprio come Fleabag, é divorata da un senso di inadeguatezza e di mancanza di stimoli, che però non si traduce mai in una spinta ad agire al limite della follia. Al contrario di Fleabag, Julie vive nella più completa passività e, pur sapendo di essere insoddisfatta, non fa mai niente di concreto per cambiare la sua condizione. Quando le viene chiesto che cosa voglia fare della sua vita Julie risponde semplicemente di volere “qualcosa di più”: ma nemmeno lei riesce a definire che cosa sia questo “di più”.

Mi sento una spettatrice della mia stessa vita.

Questa passività quasi apatica porta Julie a provare un vero e proprio senso di depersonalizzazione. Più volte dichiara di avere l’impressione di osservarsi da fuori, come se qualcun altro stesse vivendo la sua vita ma senza alcun interesse nel perseguire qualcosa. Davanti a un personaggio simile, non folle e radicale quanto Fleabag ma ugualmente contraddittorio, lo spettatore non sa come sentirsi. Se da una parte Julie non riesce a piacerci perché si abbandona al fatalismo, dall’altra non possiamo che riconoscere una parte di noi stessi in lei. Pur non essendo caratterizzata in modo troppo preciso, Julie é un personaggio che suscita interesse ed empatia proprio perché rappresenta un sentimento tanto universale da non poterci far voltare lo sguardo.

Tiny Beautiful Things (2023) di Liz Tigelaar

Una questione di cui si parla ancora troppo poco é l’ageismo nei media. Fino a pochi anni fa la presenza di personaggi, specie femminili, oltre ai quarant’anni era qualcosa di quasi impensabile. Anche per questo é interessante osservare il caso di Tiny Beautiful Things (2023), serie creata da Liz Tigelaar e adattata dall’omonimo romanzo di Cheryl Strayed.

La protagonista é Clare Pierce (Kathryn Hahn), aspirante scrittrice cinquantenne che non é riuscita a sfondare nel mondo dell’editoria e che ora é un’operatrice in casa di riposo. La sua vita é nel caos: il marito Danny (Quentin Plair) l’ha cacciata di casa, ha problemi economici e un pessimo rapporto con la figlia adolescente. Quando un amico le propone di scrivere per la sua rivista una rubrica dal titolo Dear Sugar per dare consigli ai lettori, Clare é riluttante. Ma non appena inizia, la rubrica ha grandissimo successo e lei diventa una vera e propria celebrità anonima.

La narrazione non si concentra soltanto sul presente, ma ripercorre la vita di Clare attraverso dei flashback per mostrare la fonte di tutto il caos, radicata nel passato. A vent’anni la protagonista perde per un cancro la madre (Merritt Wever), che l’aveva cresciuta da sola e a cui era molto legata. É un trauma che Clare non riesce a superare – proprio come Fleabag: costretta a vivere in una realtà senza più punti di riferimento, la donna finisce per prendere la via dell’autodistruzione.

Alla ricerca di un equilibrio

Arrivata a cinquant’anni, proprio grazie alla rubrica, Clare finalmente ha il coraggio di guardarsi indietro per osservare le ferite mai rimarginate del passato. Un elemento interessante é l’impiego del voice over che non riporta soltanto le risposte della donna ai lettori di Dear Sugar, ma anche i pensieri e le riflessioni sulla sua stessa vita. Anche il pubblico viene coinvolto così in questo dialogo di Clare con se stessa ed é spinto a porsi le sue stesse domande: chi sono io? Sono la persona che volevo diventare?

Non saprò mai, e nemmeno tu, della vita che non si sceglie. Sapremo solo che qualunque cosa fosse quella vita parallela, era importante e bella ma non é la nostra.

Tiny Beautiful Things complex female charcater

Clare inizia a ritrovare un equilibrio, con gli altri e con se stessa, proprio per mezzo della scrittura. In un percorso doloroso e anche violento di autoanalisi, la donna prende consapevolezza dei suoi traumi e dei suoi meccanismi distruttivi e cerca di mettervi un argine. Come le altre complex female characters, Clare non é una donna risolta alla fine del suo arco narrativo e ne é ben consapevole: piuttosto, ha iniziato una progressiva trasformazione che é ancora – e rimarrà sempre –  in divenire.

Per certi versi, Tiny Beautiful Things é un po’ la storia di una Fleabag cresciuta che, anche a cinquant’anni, sta ancora cercando di capire come sopravvivere al caos della vita. Il senso di inadeguatezza, l’auto-sabotaggio e la perdita sono qualcosa di cui non ci si può liberare definitamente, ma che si può imparare a superare. Clare ci lascia con un tono di speranza: anche quando la realtà o l’interiorità non sembrano dare tregua, si può sempre contare sulle persone intorno a noi – come si recita in Fleabag, “people are all we’ve got.

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