Ospite all’ultima edizione di Alice nella città Ferzan Özpetek ha ricevuto il Premio Via Condotti, istituito nel 1977 e conferito ogni anno “a chi, non romano, ama Roma e ne è riamato”.
Il cineasta è al cinema con Diamanti.
Diamanti La favola di Ozpetek
È indubbio l’apporto del regista turco rispetto alla rappresentazione del mondo queer, e gay nello specifico. Özpetek ha reso i suoi protagonisti reali, andando oltre gli stereotipi macchiettistici da cui il cinema italiano continuava ad attingere. Ma è anche plausibile che ciò abbia portato a una omonormatività crescente, presentando sullo schermo personaggi più confacenti a una politica democristiana e più in linea con interessi di mercato.
La genesi del protagonismo queer italico
Prima del debutto del regista turco, il cinema italiano aveva già cercato di proporre dei protagonisti omosessuali. Il tutto a seguito di un’apertura internazionale che vide il suo acme con Festa per il compleanno del caro amico Harold (1970), di William Friedkin, regista noto ai più per L’esorcista (1973). Questa pellicola, nonostante non fu ben accolta dal mondo queer, ha aperto la strada a una nuova fetta di mercato. Netflix ne ha fatto un rifacimento nel 2020.
Il vizietto (1978) di Édouard Molinaro, La patata bollente (1979) di Steno, Dimenticare Venezia (1979) di Franco Brusati, Scusi, lei è normale? (1979) di Umberto Lenzi e Bionda fragola (1980) di Mino Bellei furono fra le prime proposte italiche. Alcuni erano dei lavori più autorali, come quello di Brusati, mentre altri sono rimasti legati a un filone comico-stereotipato, vedasi Molinaro e Steno – anche se con evidenti inserti politici e sociali.
Qualche anno più tardi seguì Gli occhiali d’oro (1987) di Giuliano Montaldo, che uscì lo stesso anno di quello che il critico D.A. Miller considera il primo dei tre film colpevoli di una rappresentazione omosessuale forviante, ovvero Maurice (1987) di James Ivory. Il film di Montaldo, tratto da un racconto di Giorgio Bassani, aveva come coprotagonista il Dottor Fadigati, closeted e vittima del suo outing. Per la prima volta, si sdogana in Italia il nudo frontale maschile in una scena prettamente a sfondo erotico omosessuale, anche se allusiva.
Özpetek e la sua rappresentazione omosessuale
Ferzan Özpetek ha debuttato sugli schermi italiani con la sua opera prima Il bagno turco (1997), con protagonista Alessandro Gassmann. La storia narrava di un giovane uomo che, in piena crisi esistenziale e matrimoniale, si reca in Turchia per una eredità inaspettata. Nella magia ottomana, il protagonista si innamora di un ragazzo e decide di rimanere con lui, fino al tragico epilogo.
Alcuni studiosi del regista turco vedono in questo suo primo film una linea di regia incentrata su una rappresentazione del reale, non censurata e neanche velata. La pellicola viene considerata come una miscela fra la cultura materiale occidentale a quella suggestiva mediorientale.
Altri ricercatori mettono in risalto come Özpetek, closeted in Turchia, sostenesse che il protagonista avrebbe potuto innamorarsi di una donna. Ed è la via più plausibile, considerato che vi è un’unica scena con un riferimento visivo – sfuggente – all’omosessualità del personaggio di Gassmann. Inoltre, anche i lavori successivi dell’autore ottomano confermano ciò.
Harem Suare (1999) è il secondo film di Özpetek, che si discosta dal gay themed del film precedente. È il primo dei film cuscinetto che il regista turco usa a cadenzare la sua immersione nel mondo queer. Un espediente per non essere etichettato che altri registi europei si son ben guardati dall’usare.
Dalla fama all’essere protagonista di studi sul cinema omosessuale
Nel 2001 esce Le fate ignoranti, film che consacrò al successo Özpetek e che confermò la sua linea di racconto di storie a tematica lgbtqi+. Pellicola che deve il suo successo anche a un’ottima pianificazione marketing: uscii l’anno dopo il Giubileo romano, quindi con una forte connotazione politica. Altro punto di forza erano le tematiche affrontate, transessualità e AIDS su tutte – con un Gabriel Garko saggiamente diretto.
Il protagonista Stefano Accorsi vive una relazione con un uomo sposato e, alla sua morte, si ritrova a confrontarsi con la moglie dell’amante, interpretata da Margherita Buy. Il regista mise sullo schermo una realtà sfaccettata. Questa portò i ricercatori di cinema queer all’individuazione di nuovi topos rappresentativi dell’omosessualità: il gay, il supergay e i gay normati.
I primi sono quelli che vivono l’omosessualità in maniera quotidiana, in un’apparente accettazione – come l’anziano in La finestra di fronte. I secondi sono quelli che si redimono verso la loro vera natura piuttosto che quelli che la ostentano – esempi proprio in Il bagno turco e Le fate ignoranti. I terzi sono quelli che tendono a conformarsi alla relazione eteronormata – come in Saturno contro.
La contraddizione fra l’esporsi e il conformarsi
Grazie al successo di Özpetek, iniziano a proliferare i film a tematica queer, anche se i personaggi rimangono secondari e spesso stereotipati. Lo stesso regista turco, nel film successivo La finestra di fronte (2003), relega il personaggio omosessuale in secondo piano. Protagonista è Giovanna Mezzogiorno, innamorata del vicino Raoul Bova, che fa la conoscenza con l’anziano Massimo Girotti. Davide – il personaggio di Girotti – racconta la sua storia d’amore drammatica, fra pregiudizi e persecuzioni religiose.
Prima di mettermi a fare il film, mi angosciava il fatto che qualcuno mi accusasse di parlare sempre degli omosessuali. Ma è stato mai chiesto a qualche regista perché continuasse a fare film sull’eterosessualità?
(Ferzan Özpetek da un’intervista per il film La finestra di fronte)
L’autore ottomano vive, nei suoi film, la contraddizione della volontà di un coming out e il conformismo che lo porta al closet. Ciò lo distingue da altri registi internazionali, come Pedro Almodóvar o Xavier Dolan. Comunque, nel 2005 torna nelle sale con Cuore sacro, una delle pellicole cuscinetto che si discosta totalmente da personaggi e tematiche affrontate in precedenza.
La comparsa dell’omonormatività
Il film non ebbe il successo sperato, tanto che nel 2007 Özpetek ritornò a ciò che, in effetti, gli è più congeniale. Saturno contro è la riproposta della famiglia queer, vista in precedenza in Le fate ignoranti. La differenza sostanziale è che, in questa pellicola, ha inizio la rappresentazione omonormativa.
I due ragazzi omosessuali – interpretati da Pierfrancesco Favino e Luca Argentero – sono conformati a una vita di coppia eterosessuale. Ciò è amplificato dal confronto con la coppia eterosessuale in crisi, interpretata da Margherita Buy e Stefano Accorsi. Özpetek conosca bene le trame in cui si muove. La storia non rimane fine a sé stessa e la messa in scena complessiva rende l’opera suggestiva.
Saturno contro è anche fortemente omonormato, dove il regista usa il compromesso, reso più evidente perché dissonante con il resto del contenuto dell’opera. Come sottolinea Emanuele Liotta, studioso di cinema queer: «[…] i due protagonisti non sono né gay né supergay, ma gay normali […] è un modo diverso di aderire a un’idea coniugale archetipica dell’eterosessualità».
L’allontanamento dalla realtà omosessuale
Come a voler mantenere un distacco da ciò che lo contraddistingue, nel 2008 vede la luce Un giorno perfetto, altra storia lontana dal mondo omosessuale. Una pellicola interessante ma non efficace quanto quelle queer oriented. Gli anni a seguire, vedranno Özpetek alle prese con lavori dove la tematica omosessuale sarà costantemente presente, anche se non sempre protagonista.
Mine vaganti (2010) non è la rappresentazione di una famiglia lgbtqi+ bensì il modo per scardinare una famiglia autarchica del Sud, con forti connotazioni stereotipate, camp e no. In questa storia, il personaggio di Riccardo Scamarcio è alla ricerca di una costruzione omonormata del rapporto con il suo compagno. Omonormatività che trasuda anche dalla narrazione del personaggio di Alessandro Preziosi. E questo dà ragione a molti critici che ritengono, per certi versi, questo lavoro poco coraggioso.
Le storie closet, fra fantasmi e trasparenze
Magnifica presenza (2012) è la storia con un protagonista omosessuale meno omosessuale della storia del cinema özpetekiano. Pietro, interpretato da Elio Germano, non ha alcun contatto, alcun approccio, nessuna vicinanza al mondo che gli appartiene se non fugace. La sua appartenenza alla comunità gay è sottolineata da battute stereotipiche o dalla sua ossessione verso un amore che lo ha rifiutato. Il fantasma del drammaturgo, attratto da Pietro, rimane ectoplasmatico, così come il ragazzo che vorrebbe tentare di approcciare il protagonista. Questa omosessualità closet è la classica rappresentazione istituzionalizzante – ovvero il cosiddetto gay di Özpetek.
Quasi per contrasto, il regista inserisce nella storia il ruolo del travestito e applica così il suo modello di supergay. I personaggi di Badessa ed Ennio, interpretati da Mauro Coruzzi e Gianluca Gori – alias Platinette e Drusilla Foer – usano eccessi consentiti dal ruolo. L’autore ottomano non scade mai nel greve, usa l’ironia in maniera efficace, ma ciò vela ancora di più il protagonista.
Cosa c’è di più naturale di una reale finzione?
(battuta di Drusilla Foer in Magnifica presenza)
Allacciate le cinture (2014) è il film che Özpetek usa per discostarsi dal mondo omosessuale. Probabilmente, memore dei non esaltanti successi di botteghino dei film cuscinetto precedenti, inserisce un personaggio gay secondario, interpretato da Filippo Scicchitano. Di lui e della sua vita si vede poco e niente. Si accenna al suo outing, fatto dal padre in maniera violenta, ma non lo si approfondisce. Tutto fa supporre all’uso di questo personaggio istituzionalizzato al solo fine di un queer baiting.
Il 2017 vede l’uscita di due film del regista turco: Rosso Istanbul e Napoli velata. Il primo vede protagonista il classico gay özpetekiano, interpretato da Nejat Isler. Il personaggio è istituzionalizzato, senza approfondimenti, senza approcci, in una rappresentazione il più possibile accettabile al pubblico generalista. Il secondo film è il solito lavoro di discostamento dal gay themed del regista.
La rappresentazione degli ultimi anni
Con La dea fortuna (2019) Özpetek torna alla famiglia queer, già vista in Saturno contro e in Le fate ignoranti. La peculiarità di questo lavoro è che tale rappresentazione è decisamente meno incisiva e va a creare un amalgama fra il classico gay istituzionalizzato e quello omonormato.
Alessandro e Arturo, interpretati da Edoardo Leo e da un bravo Stefano Accorsi, sono rassicuranti e la loro omonormatività viene amplificata dalla presenza dei due bambini di cui si faranno carico. Tale normatività risulta ancora più evidente nella rappresentazione della transessuale Mina, ben diversa da Mara di Le fate ignoranti.
La rappresentazione della coppia protagonista è portata sullo schermo con lealtà, anche per ciò che riguarda la libertà al tradimento occasionale. Però, ciò viene poi sovrastato dalla forzata creazione di una famiglia senza affrontarne le tematiche – affidamento e adozione.
L’apertura del film è l’incipit dell’omonormatività che diventa, al contempo, controproducente alla causa del riconoscimento dei diritti lgbtqi+. Sembra che tutto sia facile, che tutto avvenga in maniera naturale, che tutto sia normato e consolidato, appunto. Ma non è così.
La collaborazione con le piattaforme OTT
Nel 2022 esce la serie tv Le fate ignoranti, ispirato al film omonimo e uscita sulla piattaforma Disney+. In questo tipo di analisi, non è producente andare a fare un raffronto fra questo prodotto e i film precedenti di Özpetek. Una serie tv è, per sua natura, una esposizione allungata, nei tempi e nei temi, di una narrazione. Ciò porta la sceneggiatura a creare rappresentazioni con un impatto diverso rispetto a quelle inevitabili in un lungometraggio.
La notevole produzione di serie queer oriented – anche da parte di OTT – ha portato la narrazione non solo ad essere conformata ma anche reiterata – difficile trovare personaggi non omonormati, come poteva essere Spadino in Suburra.
Il 2023 vede il regista turco collaborare con Netflix su due fronti. Il primo è The Istanbul’s Trilogy, serie di tre cortometraggi che non superano i ventidue minuti. Il secondo è Nuovo Olimpo, che sarà visibile, al momento, in esclusiva sulla piattaforma statunitense.
Le tre storie da Istanbul fra closet e omonormatività
Meze, Music e Muhabbet sono i titoli dei tre cortometraggi. Meze è una storia tutta al femminile, il cui inizio richiama i primi frame di Mine vaganti. Per quanto protagoniste siano le donne, l’omosessualità closet è presente nella figura del futuro marito della protagonista. Nel corto si sottolinea come l’uomo debba essere vigoroso, mentre il suo ripensamento fa pensare a una mancanza di mascolinità. Questa ipotesi è rafforzata dalla presenza della mamma accudente e protettiva, come da stereotipo. Anche le due donne che la protagonista chiama zie paiono avere un rapporto diverso rispetto alla sorellanza di sangue, ma è sempre tutto molto velato.
Music racconta il ritrovarsi di due giovani, che si erano conosciuti estemporaneamente da bambini durante una traversata del Bosforo. La storia principale è legata agli eventi casuali che possono cambiare la vita. Parallelamente vi è la relazione dei due giovani che pare ambigua, accentuata da sguardi e da una comunicazione non verbale equivocabile. Tenendo valido il closet dei protagonisti, diventa interessante la presenza della donna, sorella di uno dei due giovani, che riporta alla normatività.
Muhabbet mostra l’ambivalenza del protagonista mostrando una donna che era innamorata di lui e il suo amante, scomparso in circostanze imprecisate. Il rapporto fra i due uomini è ripreso da Rosso Istanbul, finanche in qualche battuta, per cui è certa la loro relazione anche se mantenuta entro certi confini. A questo controllo si aggiunge la solita presenza femminile, ad attestare una fluidità che deve prevalere sull’omosessualità, come omonormalizzazione richiede.
Quale rappresentazione in Nuovo Olimpo
Fermo restando che Ferzan Özpetek rimane un solido professionista del cinema italico, dalla sua ultima pellicola ci si aspetterebbe la raffigurazione della classica giovane coppia omosessuale omonormata. Questa sensazione è accentuata dalla trama: due ragazzi che cercano di stare insieme e che non si dimenticheranno fino al loro ipotetico ricongiungimento.
Una narrazione che va a richiamare Chiamami col tuo nome (2017) di Luca Guadagnino, ma ancor di più il romanzo che ne è il sequel. Cercami doveva essere riproposto in pellicola dallo stesso Guadagnino ma, a causa dei problemi con la giustizia di Arnie Hammer, il progetto è stato definitivamente cancellato.
Invece, Pietro ed Enea sono distanti da Alex e il Principe Henry di Rosso, bianco e sangue blu (2023). La loro relazione non ha uno sviluppo se non in funzione di un ricordo. Enea è il personaggio queer per eccellenza, apparentemente fluido, a cui viene affidata non solo la responsabilità di una relazione stabile omosessuale ma anche il piacere del sesso occasionale con una amica. Questa sua ambiguità è similare a quella del protagonista di Muhabbet mentre è ben diversa da quella non identificativa di Il bagno turco.
Il rapporto che Enea ha con il suo compagno è omonormato con il classico stereotipo di coppia – uno che si occupa della casa e l’altro che è impegnato fra amici e lavoro. Quello che Enea ha, invece, con la sua amica serve a dare supporto a questa normatività, con la presenza di una donna a sottolineare la necessità, anche sessuale, per un personaggio che non vuole avere relazioni eterosessuali. Alice, l’amica di Enea, pare essere degna erede di Grace della serie tv Will & Grace (1998-2020), anche se viene giustificata da Özpetek con un momento autobiografico.
Özpetek dall’omonormatività al queer baiting
Alla omonormatività, a cui il regista turco ci ha abituato dai tempi seguenti Le fate ignoranti (2001), si può aggiungere una buona dose di queer baiting. In Nuovo Olimpo, possiamo ammirare Pietro ed Enea non solo senza veli ma anche durante un amplesso amoroso. Questa rappresentazione, che potrebbe essere segnale di un coraggio (ri)trovato, in realtà è probabilmente dovuta a una scelta commerciale. Il film è una produzione Netflix, OTT decisamente più aperta a un certo tipo di contenuti. Inoltre, le scene più audaci sono relegate a cinque minuti della prima parte del film.
Una modalità, quella usata in Nuovo Olimpo – ma non solo – che possiamo definire high queer baiting, il quale è una evoluzione del classico queer baiting, diventato oramai anacronistico. Infatti, prima c’era l’esigenza di tenere nascosta la componente queer, andandola solo a paventare come possibilità e mantenendola closet – in quello che possiamo chiamare low queer baiting. Ad oggi, con una richiesta sempre più forte di prodotti queer, la velatura è diventata superflua e, per attrarre, tutto ciò che è queer viene esplicitato oltremodo, senza una stringente necessità.
Enea e il suo compagno non verranno mai ripresi in tali atteggiamenti – a sostegno dell’omonormatività, meglio rappresentata se si mantiene celato il sesso omosessuale. Infatti, il sesso omosessuale fine a sé stesso può essere ammesso, come una soddisfazione degli istinti, mentre l’amore fatto da due uomini che stanno in una relazione consoliderebbe una accettazione. E ciò, nel cinema italiano, non può ancora essere ammesso se non conformato.
Diamanti il trailer dell’ ultima fatica di Ferzan Ozpetek