Nella seconda giornata del Middle East Now arriva Q di Jude Chehab, proiettato alla presenza della regista. Straordinario esordio al lungometraggio e frutto di una co-produzione libanese e statunitense, il documentario di Chehab riflette sull’influenza che un ordine religioso matriarcale e segreto in Libano dal nome Al-Qubaysiat ha esercitato su tre generazioni di donne della famiglia della cineasta (compresa la sua). Il film mescola materiale d’archivio a conversazioni familiari, con una tessitura che eleva il montaggio ad espediente inamovibile per la composizione artistica e valoriale della storia. Premiato ai Festival di Tribeca (Best New Documentary Director) e di Sheffield (Grand Jury Award), il film racconta con acume e delicatezza insidie e tremori di un’affiliazione così profonda.
Il titolo della pellicola fa riferimento alla montagna denominata Q in arabo che nel sufismo rappresenta la massima destinazione spirituale a cui si può ambire in questa esistenza.
Q | La Trama
Io sono cresciuta sapendo che mia madre aveva un forte legame con questa organizzazione musulmana segreta. Era perciò molto difficile mantenere una separazione con la storia che intendevo raccontare. Ecco perché tornare negli Stati Uniti mi ha aiutato ad ottonere quella distanza di cui avevo bisogno per mettere a fuoco l’importanza di narrare questa vicenda. Tutto è nato dalla curiosità di saperne di più.
Jude ha sempre approcciato questo mistero con rispetto e interesse. Dopo essere cresciuta negli Stati Uniti, ricomincia la sua vita in Libano ed è lì che le si presenta l’ccoasione di trascorrere tempo prezioso con sua madre. Hiba è una donna affascinante e imperscrutabile. Indossa quotidianamente un hijab bianco. Prega costantemente, insegna il Corano agli studenti e partecipa ad alcuni reading di poesia. La seguiamo mentre dialoga con madre e figlia, avanzando dalle ferree certezze sulla sua vita ad un vagabondare questuante.
Jude desidera inquadrare il culto spirituale della madre, specialmente impegno e sacrificio nei confronti di un ordine religioso femminile di cui tutti sono all’oscuro, compresa Hiba. Non c’è destinazione altra né scelta individuale al di fuori dell’organizzazione. Hiba obbedisce senza tentennamenti ai dettami dell’Anisa (leader dell’ordine), che fa germogliare nei suoi seguaci l’inequivocabilità della preghiera e delle regole sacre come unica modalità di stare al mondo. Eppure Hiba vive appieno dubbi e tremori, mentre nel suo cuore l’amore si fa enorme, ancora di più quando le è negato.
Al-Qubaysiat è un’antica e segreta organizzazione religiosa che si leva con l’intento di ravvivare la fede islamica. Nasce e germoglie tra le donne, instillando in loro il desiderio di autodeterminazione: le porta fuori dal contesto domestico, le fa studiare, offre loro un lavoro. Eppure, come spesso accade, anche Al-Qubaysiat tradisce il suo intento iniziale e si trasforma in un sistema di controllo a più livelli.
Q si rivela così un viaggio dentro le ramificazioni che la fede intesse con i suoi cultori, ma anche il simulacro di quanto i legami che intendono salvarci sappiano invece come sconquassarci, scuotendo l’esistenza e i suoi incrollabili convincimenti.
- Qui per un’intervista alla regista realizzata per il lancio del film al Tribeca Film Festival.
Q | Disvelamento e sottrazione
Ci sono diversi livelli di complessità nella pellicola di Jude Chehab. Innanzitutto, si tratta di una storia familiare su un tema intimamente connesso alla trama emotiva ed esperienziale di ognuno dei presenti. Hiba, madre della cineasta, è la protagonista del lungometraggio. Per amore materno e forte connessione con l’anima del film, si lascia inquadrare e interrogare. La donna costituisce lo snodo attraverso il quale si dipana la narrazione delle altre persone coinvolte: la madre di HUba, suo marito, la stessa regista. La naturalezza con cui Hiba si srotola nel corso della pellicola è elemento di grande pregio, anche questo delicato: sta nel punto liminare tra l’assoluta ingenuità della sua esposizione e l’amara consapevolezza delle conseguenze. Ciononostante, come è tipico del disvelamento del sacro, è nel momento in cui si mostra che finisce per sottrarsi.
L’obiettivo di Q non è, infatti, quello di raccontare come funziona l’Al-Qubaysiat. O forse lo è solo parzialmente. La cineasta rende in maniera eccellente la velatura di mistero che caratterizza sia l’organizzazione che la relazione che gli adepti annodano con la stessa. Il film intende sviscerare il legame che la madre, e poi sua nonna, hanno con quest’ordine, quanto è profondo, che conseguenze ha originato e, soprattutto, il controllo emotivo che ha esercitato su Hiba per 40 anni.
Il cinema come torcia che fa luce sul dolore di chi amiamo
La grande sfida del documentario è stata reggere tutto il dolore di mia madre.
Se Q è un film su tre generazioni a confronto, che ne è dell’ultima, quella rappresentata dalla regista e figlia di Hiba? È possibile che la terza debba posizionarsi nel fuori campo per dare voce all’esperienza delle precedenti e, nel farlo, essere in grado di vederla chiaramente? Si percepisce una certa esitazione da parte della cineasta a lasciarsi coinvolgere nel film, o meglio nella schiera dei soggetti del racconto. Le cose potrebbero stare così: se è vero che Jude sapeva già tutto, non è detto che Hiba ne fosse consapevole, che avvesse adottato, invero, la stessa distanza dalla sua storia per osservarla realmente.
Ecco che la pellicola di Chehab diventa il pretesto per consentire a sua madre di esorcizzare un dolore, non risolverlo. Per accompagnare Hiba in uno spazio sicuro in cui palesare le proprie vulnerabilità. In questo senso, il mantenimento della posizione frontale di Chehab, sua figlia, ne facilita l’osservazione completa, l’empatia ma anche lo shock, necessario alla resa drammaturgica del film. Fotografia, montaggio e colonna sonora contribuiscono a dipanare questa epopea spirituale: iridi, suoni e un mare aperto di emozioni.