
Anno: 2012
Durata: 90′
Genere: Drammatico
Nazionalità: Bosnia-Herzegovina/Germania/Francia/Turchia
Regia: Aida Bejic
Menzione speciale a Cannes, nella sezione Un Certain Regard, il film bosniaco vincitore della 48esima edizione del Pesaro Film Festival (dove si è aggiudicato anche il Premio Giuria Giovani ed il premio ‘Cinema e Diritti Umani’ di Amnesty International), dal titolo originale ‘Djeca – Children of Sarajevo’, di Aida Bejic, è stato presentato in anteprima a Roma nel corso della manifestazione ‘Notti di Cinema a Piazza Vittorio’, organizzata dall’Agis Anec Lazio col sostegno di Roma Capitale, nella sezione Grandi Festival. La pellicola, che verrà distribuita in autunno nelle sale italiane dalla KitchenFilm di Emanuela Piovano con il titolo ‘Buon Anno, Sarajevo’, mostra come ai tanti orfani, indigenti e diseredati della Sarajevo post-conflitto non bastino l’impegno e la volontà per dimenticare e proiettarsi nel futuro: il passato e le sue conseguenze ritornano in mille rivoli a presentare il conto. Ciò è tanto più vero per i Djeca, i bambini, che danno il titolo al cupo film della giovane regista Aida Bejic (classe 1976, un’adolescenza che coincide pienamente con gli anni del conflitto 1992-1996).

Non si sottraggono a questa sorte ineluttabile neppure Rahima, una giovane donna di 23 anni, e il fratello Nedim, di 14, rimasti orfani a causa della guerra. Vivono soli, in uno squallido appartamento, tentando a fatica di tenere in sesto i pezzi di un presente precario imposto loro dalle circostanze, senza ricevere vera solidarietà ed aiuto da nessuno in una città rappresentata tetra e scolorita, priva di ogni forma di vita. Lei, bella e triste, porta il velo come segno di una religiosità stabilizzante, cui si è aperta dopo anni burrascosi: è totalmente concentrata sul lavoro, nelle cucine di un ristorante gestito da equivoci proprietari, e sull’accudimento del fratello, che a scuola (quando ci va) si comporta in modo aggressivo e sembra non essere interessato a nulla. La lite di Nedim con un ricco compagno di scuola, e con il facoltoso ed ottuso padre, sarà l’occasione per far scoprire a Rahima – attraverso un angosciante pedinamento nei bassifondi della periferia – il coinvolgimento del fratello in traffici illeciti, ai quali la donna cercherà di strapparlo con tutte le sue forze, mentre assistenti sociali duri e privi di umanità vivisezionano la povertà dei due per cercare di dividerli, portando via il fratello alla sorella. Ma esiste una speranza, tra la sporcizia e le macerie, nei meandri della disperazione, fra i ricatti della malavita e le vessazioni dei potenti e dei burocrati, e la s’intravede nel finale, quando i due fratelli/protagonisti si abbracciano, avvinghiati l’uno all’altra, in un momento catartico emblematicamente girato in un luogo che non concede nulla alla bellezza.

Alle riprese di fiction, spesso girate con la camera a mano, con l’intento di seguire ‘da vicino’ la vita frenetica e l’ansia di Rahima, si alternano quelle documentaristiche di repertorio, relative agli anni del conflitto ed alla vita che, nonostante tutto, si svolgeva nelle famiglie. Gli attori Marija Pikic (intensa e fiera nel ruolo di Rahima) ed Ismor Gagula (il giovanissimo Nedim) hanno accompagnato la regista nella kermesse cannense, a presentare un film che lascia un segno, più per le atmosfere opprimenti, la fotografia priva di luce, le interpretazioni rigorose, che non per la storia, pure interessante ma non originalissima. Il messaggio arriva dritto e chiaro: a Sarajevo la guerra è finita ma non del tutto, le convinzioni religiose producono ancora discriminazione, l’individualismo, la crisi e la speculazione dilagano, i figli della guerra sono abbandonati e la ricostruzione, esistenziale e materiale, è ancora una chimera.
Elisabetta Colla