Because I hate Korea di Jang Kun-jae (Juhee from 5 to 7) è un film coming-of-age tratto dal libro omonimo di Jang Kang-myung e presentato in apertura all’edizione del 2023 del Busan International Film Festival. È interpretato da Ko A-sung (Snowpiercer, The King), Kim Woo-kyum (Next Sohee) e Joo Jong-hyuk (Avvocata Woo).
Sebbene per alcuni possa essere la meta dei sogni, Because I hate Korea di Jang Kun-jae racconta di come la vita in Corea del Sud possa stare molto stretta ad alcuni, e in particolar modo per i Millennial, soprattutto per chi non nasce privilegiato e deve faticare per ogni conquista. Il film è uno sguardo obiettivo, pieno di rimorsi e di raggiunte prese di coscienza, sulla necessità di una fuga, per quanto questa possa essere sofferta.
Because I hate Korea di Jang Kun-jae, la trama
Kye-na (Ko A-sung), dopo aver conquistato il suo posto fisso in una grande azienda di Gangnam, un’aspirazione molto tipica della società coreana, si rende conto di quanto questa condizione non le si addica. Trova estenuante le lunghe ore di pendolarismo a cui è costretta, ancora legata alla sua famiglia di modeste origini che vive a Inchon ed è in una quotidiana battaglia con l’alloggio che occupa e le spese mensili. Malgrado il suo premuroso fidanzato ideale, Ji-myung (Kim Woo-kyum), anche questo rapporto senza scossoni e senza fervore, che è così sin dall’adolescenza, non la rappresenti più.
I didn’t chose, the company choose me.
Per questo inizia a considerare seriamente di andare altrove. Complice l’incontro con un amico dell’università ancora più provato di lei dalle aspettative e da un sistema di performance implacabilmente selettivo.
Inizia così la sua avventura in Nuova Zelanda, che le permetterà di diventare donna e valutare le scelte per ciò che veramente la rappresenta.
Il film e il libro
Because I hate Korea di Jang Kun-jae è un film sull’espatrio e l’implacabilità della Corea verso i propri giovani che se non riescono ad aderire al sistema, o piuttosto che farlo, fuggono o si uccidono. Il libro di Jang Kang-myung da cui il film è tratto, divenne un bestseller nel 2015, rappresentando pienamente quella fetta di pubblico Millennial, non solo insoddisfatta dalla Corea, ma del tutto adirata. E che aveva inoltre mire di abbandono della “Hell Joseon”, il nome antico della Corea qui accostato al termine inferno.
Lo scrittore stesso, nelle sue pubblicazioni, è diventato rappresentante delle voci deluse dei giovani sotto i trent’anni.
Umili ed empatia
Il film si pone con estremo rispetto nei confronti delle famiglie più umili, i cui sforzi per garantire ai figli battaglie meno faticose, spesso non sono fruttuosi. La loro vita è descritta con una regia vagamente costretta, così come i loro ambienti, minuti e ridotti (in termini di pyeong). Ma è gente con aspirazioni umane, apparentemente semplici: la salute e la felicità. Se non fosse che questa tanto agognata felicità sembra non poter essere indipendente dalle aspettative: è significativo il dialogo che i giovani musicisti hanno al tavolo la sera dopo il concerto. Si dibatte sul che cosa sia veramente “mainstream”; ma la conclusione a cui si arriva è che tutti siamo mainstream nel nostro angolo di mondo, perché il successo per alcuni potrebbe essere fuggire in Nuova Zelanda, mentre per altri è rappresentato dal supportare il proprio fidanzato nei concerti notturni.
Il film non fa che stimolare un’incredibile empatia, per via di quella serie di dolorosi schiaffoni che questi ragazzi ricevono mentre si fanno strada nel tentativo di individuare, ciascuno per sé, la giusta direzione.
There’s no hope in Korea.
E non poteva mancare il confronto con chi commenta l’ambizione di Kie-na di fuggire con “credi che altrove giri diversamente”? Per questo Because I hate Korea diventa anche un film sul rispetto delle scelte, che talvolta si realizzano in direzioni opposte al previsto: ognuno si ritaglia la propria libertà nei termini e nei modi che ritiene appropriati, anelando ai propri valori.
I just want to live a decent human life.
Egregiamente rispettoso anche della figura della protagonista, la quale è intrerpretata con affetto da una Ko A-sung efficace e ben diretta, ed esplorata dal linguaggio filmico di Jang Kun-jae, onestamente distaccato ma attento ai suoi pensieri.