C’era da aspettarselo prima o poi che un esperto della psiche e del cinema (e della complicità tra loro) come Ignazio Senatore, prima o poi ci avrebbe proposto un approfondimento su Blade Runner. Il film tanto amato da rimanere quasi sconvolto vedendolo in sala per la prima volta nell’82. “La rappresentazione di una Los Angeles distopica, la perfetta caratterizzazione dei personaggi, l’avvolgente colonna sonora di Vangelis mi squartarono il cuore”. Dice proprio così, Senatore: mi squartarono il cuore.
E ancora: “Gli interrogativi etici, posti dalla visione del film, scatenarono in me un misto di inquietudine, spaesamento e commozione”.
Blade Runner e il nostro debito di gratitudine
Esiste sempre un debito di gratitudine nei confronti dei film che ci hanno fatto emozionare. E che delusione quando non si ripete la stessa magia nel tempo, perché il film è invecchiato, o semplicemente perché noi, quelli di allora, più non siamo gli stessi (come diceva Pablo Neruda). Balde Runner no. E Ignazio Senatore può così coglierne e restituircene tutta la freschezza.
Sono passati ben quarantun anni da questo strano film, ambientato allora quarant’anni dopo, praticamente adesso. Non usiamo ancora le automobili volanti (ci stanno lavorando), ma in quante cose, ahinoi, possiamo ritrovarci! La narrazione, insieme ai suoi replicanti, affonda le radici nel passato che sbiadisce, e si affanna verso un futuro sempre più a breve scadenza. Un’iperbole, certo, ma è dal paradosso che filtra di solito la normalità. E dall’eccesso di questa storia riconosciamo le nostre angosce.
Blade Runner: una resa rigorosa e lieve
Per questo, il suo fascino è destinato a durare ancora per molto e Ignazio Senatore parla di una seduzione che non si attenua. Del bisogno di raccontarci tutto quello che può, dalla genesi del film all’accoglienza nelle sale, dalla produzione alla realizzazione. Compresa la mania di Ridley Scott per i dettagli, i litigi o gli attriti con Harrison Ford e con altri attori, costretti a girare le stesse scene più e più volte, di notte, sotto la pioggia.
E poi a Ignazio Senatore piace passare dalle schede informative, dalla raccolta di notizie, dalle argomentazioni personali, a uno sfizioso dietro le quinte che appassiona.
La sua scrittura è così: un’indagine cinematografica seria che si accompagna, davanti e dietro lo schermo, agli aspetti più lievi. Il cinema visto dal buco della serratura, aneddoti, curiosità, pettegolezzi, non a caso, è il titolo dell’altro suo libro pubblicato di recente. E con la stessa intenzione di guardare oltre la superficie, immaginiamo verrà condotta l’analisi critica del film al festival di Napoli. In equilibrio tra ricerca rigorosa e affettuosa vicinanza.
Perché Senatore tende sempre a presentarci un film, una biografia, un aspetto della vita o del cinema in modo riflessivo ma a tratti scanzonato, di chi il cinema e la vita li conosce molto da vicino.
I due capitoli che abbiamo apprezzato di più
Le riprese e le fasi di lavorazione
Non proprio dal buco della serratura, ma sicuramente da fonti ben informate, Senatore ci parla di tanti retroscena delle riprese. Le rinunce di Scott sulle location che aveva scelto in origine o le spese per gli effetti speciali, che sono state dimezzate. Gli accorgimenti per invecchiare le automobili e il personaggio di Sebastian (anzi, William Sanderson, che lo interpreta!), per simulare la pioggia perenne, ma soprattutto la fatica di lavorare dal tardo pomeriggio all’alba.
Un’immagine di Blade runner rimasta nell’immaginario
Le tensioni tra attori, regista, maestranze, persino tra Ridley Scott e le controfigure. Insieme a racconti, invece, di perfetta armonia nelle relazioni. Resoconti contraddittori che ci fanno pensare a quanto il cinema, nel suo farsi, sia davvero una struttura estremamente complessa, molto più di come lo immaginiamo.
Le fascinazioni legate al film
Questa la sezione del libro che ci è piaciuta di più per come si entra nei contenuti di Blade Runner e ci si sofferma sulla filosofia di fondo. Prima lo si colloca nel noir e nel neo-noir per le atmosfere, poi si riflette sul ruolo dei replicanti. Angeli caduti, ribelli al sistema, ma soprattutto specchio di quello che siamo. Non solo macchine create dall’uomo, ma esseri dotati di consapevolezza, che insieme a noi temono la morte e vogliono dare senso alla loro esistenza.
Per questo motivo, a Ignazio Senatore (e anche a noi) non piace la scelta dei The final cut, perché priva il film delle avvincenti sfumature noir, ma soprattutto perché azzera la lettura, seducente, dell’empatia tra uomini e replicanti. Se anche Deckart fosse un esemplare Nexus 6, come suggerisce la scena finale dell’origami sul pavimento, il nostro cult perderebbe gli spunti filosofici che lo impreziosiscono, e s’impoverirebbe il senso del racconto.
Ancora dell’altro
C’è ancora dell’altro nel libro di Senatore. La genesi di Blade Runner, le sue diverse versioni, le differenze tra il film e il libro di Philip Dick, una descrizione puntuale delle sequenze che ce lo fanno rivivere.
Insomma, un libro davvero ricco. Del resto, l’autore dichiara fin dall’inizio che ricorrerà a molte citazioni. Tante sono di Paul M. Sammon in virtù del suo La storia di un mito. Blade Runner. E altre ci fanno davvero sentire in buona compagna. Roland Barthes, Emanuelle Carrère, Erri de Luca, Milan Kundera…
Buon cinema, sì, ma anche buona letteratura!