Su RaiPlay è possibile vedere il lavoro che lascia trasparire la drammaticità degli eventi. Più che la tragedia, viene messa in gioco la visione di una gioventù oramai alla deriva.
Tre giovani protagonisti: Massimo, Antonio e Hanza. Tutti e tre vivono di espedienti e vedono la normalità del mondo che li circonda con spregio. La loro vita è segnata da una realtà che fanno fatica ad accettare. Si rifugiano nelle droghe e negli espedienti per ottenere, il più velocemente possibile, ciò di cui hanno bisogno: il denaro.
Angelica Gallo, già autrice del documentario La quarta parca (2019), cerca di affrontare una storia non facile usando i diversi piani che ha a disposizione. Dal punto di vista tecnico, l’autrice viene aiutata dalla fotografia di Marcin Szoltysek e dal montaggio netto, quasi brutale, di Massimo Da Re. La regista affronta le vite dei giovani andandole a indagare anche in maniera invadente ma efficace. Le inquadrature e cambi di piani e la macchina da presa a mano rendono la narrazione dinamica, oltre che significante.
Max, Antonio e Hamza, sono tre ragazzi qualunque, figli di un’Italia carburata con cocaina a basso prezzo e fake news su Facebook, dove le piccole province diventano violente senza apparente ragione. I giovani privi di prospettive e di cultura non sono solidali tra loro, non hanno voglia di reagire, di ribellarsi, anche perché senza strumenti non si sa bene perché e contro chi. E allora l’unico dio a cui votarsi è il denaro fine a se stesso, completamente svincolato da cosa si è fatto per ottenerlo.
Anche l’uso dei long take ha una sua ragion d’essere, soprattutto in virtù dell’elusione dal campo della voce degli attori. La regista mette in mostra le sue qualità di presa della storia. Ma è la storia che non la aiuta e neanche i suoi interpreti.
Dalle immagini alla parola
La notte brucia – Un frame del cortometraggio
Gli esordienti Eugenio Deidda – anche sceneggiatore della pellicola – e Valerio Bracale a cui si unisce Lorenzo Di Iulio – che ha già qualche lavoro alle spalle – mostrano la loro inesperienza per ruoli che sono più grandi di loro. Una maturità che ora gli manca – ma che acquisiranno con l’esperienza – che non lascia spessore alla lotta interiore dei loro personaggi. E, probabilmente, non sono aiutati dall’essere circondati da attori più esperti, che marcano la differenza. Aniello Arena, Marcello Fonte e lo stesso Abel Ferrara – presente con un cameo – evidenziano lo stacco interpretativo dai giovani colleghi.
Deidda, Bracale e Di Iulio non sono neanche aiutati dalla sceneggiatura, troppo frammentata e con salti talmente repentini che han reso difficoltoso agli interpreti seguire la crescita drammatica dei loro personaggi. Un limite di cui anche lo spettatore risente. Come dichiarato dall’autrice a The Hot Corn:
Farne un film? Sì, ci abbiamo pensato. Ma con un corto abbiamo voluto fotografare un momento ben preciso. Un corto che è anche una diapositiva istantanea e urgente nel raccontare il vuoto di quei ragazzi perduti.
Una leggerezza veniale che la regista, è ben consapevole, avrebbe colmato con un lungometraggio. Ciò avrebbe dato più spessore a quel vuoto che si vuole rappresentare, in vista di un finale non scontato e ben espresso.
Una riuscita parziale in cui è complice anche un sonoro che, in alcuni momenti, rende davvero difficile la comprensione dei dialoghi. E se, in alcuni momenti, diventa superfluo il parlato, in altri – come nel finale – avrebbe aiutato a chiudere un cerchio ben delineato.
Cosa racconta La notte brucia
La notte brucia – Una scena del cortometraggio
Max, Antonio e Hamza sono tre giovani che vivono di espedienti, con l’obiettivo di fare soldi il più velocemente possibile. Il lavoro dei loro genitori è da disprezzare, complice di una vita fatta di mediocrità. Fra un furto e una sniffata di cocaina, i ragazzi definiscono il prossimo obiettivo: un locale dove ci sarà un concerto di un cantante neomelodico. Con l’uso di uno spray urticante, i tre sperano in un buon bottino. Ma finisce in tragedia. Un epilogo che, mettendoli a confronto con la loro coscienza, non tutti riescono ad accettare.
Non esiste nessuna cultura del lavoro, perché non esiste nessuna cultura: esistono i brand delle case di moda, i profili Instagram delle star e delle influencer, quelli sì. Ma il luogo comune del laureato che poi finisce a fare lo spazzino permea la società. E allora persino i genitori che lavorano tutto il giorno onestamente per mille euro si trasformano in falliti, non ci può essere orgoglio per loro, figuriamoci la pietà. (Angelica Gallo nelle note di regia)