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‘The Straight Story’ restaurato – La recensione

Una storia vera e nel contempo semplice, il bellissimo film di Lynch

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Attualmente riproposto in sala, The Straight Story, tradotto da noi con Una storia vera, è l’ottavo film del visionario regista americano David Lynch. Film del 1999 interpretato da Richard Farnsworth (candidato per questo ruolo nel 2000 ai premi Oscar), da Sissy Spacek e Harry Dean Stanton. Alle musiche lo storico collaboratore Angelo Badalamenti. L’opera, basata su una vicenda realmente accaduta, è stata scritta dalla montatrice del film Mary Sweeney.

Il trailer – The Straight Story

 

Una storia vera

Alvin è un anziano 73enne dell’Iowa, accudito dalla figlia balbuziente e ritardata. Ha degli acciacchi, ai quali non dà alcun peso. Ma c’è qualcosa nel protagonista che lo angoscia. Alla notizia del fratello colpito da un infarto che non vede da dieci anni, Alvin si mette in marcia sul suo trattore per andarlo a trovare. The Straight Story è indubbiamente un film fatto senza calcoli per Lynch. È fin da subito sembrato un azzardo per un cineasta che usciva da quella pietra miliare del cinema noir che è Lost Highway. Fare tabula rasa di ciò che è sempre stato. Ma in fin dei conti, a guardare bene l’opera, è una delle migliori del cineasta americano.

Fin da subito emerge la voglia da parte di Lynch di concentrarsi sulle persone più che sui luoghi, sulla normalità del fine vita e sul recupero dei rapporti.  Anche se non mancano personaggi a pieno regime nella scrittura buffa e surrealista, come la figlia del protagonista, Rosie. Tutto perfettamente in linea nella descrizione dell’assemblaggio di frammenti di vita, rispetto ai quali Lynch non sembrava predisposto, scoprendosi invece profondo ed emotivo.

Nel viaggio di Alvin verso il fratello ritrovato, Lynch esplora la quiete dell’America campagnola con suggestivi tramonti e il calore lucente dello sconfinato Iowa. Una storia vera e semplice nel contempo. Perché Lynch usa l’obiettivo della cinepresa attraverso lo sguardo poetico e limpido di Alvin. Evidenziando negli oggetti e nelle relazioni che interconnette lungo il suo cammino la malinconia dell’anzianità verso ciò che è stato perduto nel non detto e che il protagonista vuole recuperare.

Il road movie dell’esistenza

Nel suo viaggio in cerca del fratello, Alvin cerca di colmare un vuoto e lo fa incontrando passanti e sconosciuti in cui si identifica. Notevole ed intuibile il discorso tutto lynchiano che il film fa dietro al tempo. La meta è lunga ed è stratificata nei cattivi ricordi, nei rimorsi di una vita che si sta esaurendo. I ciclisti, la ragazza incinta scappata di casa, un sacerdote, i coniugi e i due buffi meccanici. Ricordano la parte di Lynch grottesca e surrealista che non muore mai.

Ma a questo giro non serve per dipingere cupe atmosfere oniriche attorno ad un omicidio o un noir frazionato nel tempo. Sono invece rappresentazioni della vita che scorre, personaggi catalizzatori utili al viaggio di Alvin verso lo sterminato paesaggio americano del Wisconsin. Nel ricongiungimento verso il fratello.

Lo sguardo di due vite che si intrecciano

In ogni incontro che Alvin fa è presente il desiderio di chiarimento e di pace con il fratello. Una mission esistenziale che occupa tutta l’evoluzione interiore di Farnsworth. Lynch stupisce nella delicata messa in scena e nel tatto con cui amorevolmente riprende il suo Alvin. Allarga sul suo trattore, stringe sul viso rivelatore e auto-confessore dell’anziano in viaggio. È quasi rapito dal suo attore, interessato alle emozioni che vengono fuori dalla sua spontaneità con l’ambiente circostante ad uso e consumo del suo sguardo profondo e malinconico.

Finalmente col suo trattorino tosaerba arriva dal fratello Lyle. In una cascina trascurata e malandata che in toto rappresenta la vecchiaia del personaggio di Stanton. È un gioco di silenzi e di sguardi tra i due interpreti. L’occhio della cinepresa riprende i due fratelli insieme e ravvicinati, sepolti dal rancore per troppo tempo. Che riguardano per l’ultima volta le stelle assieme. Lo fanno bagnandosi nelle lacrime rivolte al cielo e al tempo perduto in quello rimasto.

The Straight Story è un road movie vero e semplice che diventa immensamente poetico nella ricerca del senso dell’essere anziani. Recuperare il tempo perduto si può, sostiene David Lynch, basta guardare le stelle. E la loro immensità. Il cineasta di Twin Peaks sorprende nella sua armonia, dimostrandosi capace di colpirci dritto al cuore. E di lasciarci un segno indelebile.

 

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