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Visioni dal mondo

‘How I Survived the Pyongyang Film Festival 3D’: la recensione del documentario di Martin Hans Schmitt

Visioni del Mondo presenta il documentario di Martin Hans Schmitt che racconta della sua esperienza come ospite al Pyongyang Film Festival 2018.

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How I Survived the Pyongyang Film Festival 3D

Prodotto e diretto dal tedesco Martin Hans Schmitt, How I Survived the Pyongyang Film Festival 3D è un documentario del 2022 in proiezione in versione 2D a Milano per Visioni dal Mondo. Ironicamente, il film è stato proiettato a settembre, mese in cui ha solitamente luogo il Pyongyang Film Festival.

Intervista al direttore di Visioni dal mondo Francesco Bizzarri

How I Survived the Pyongyang Film Festival 3D: Sinossi

How I Survived the Pyongyang Film Festival 3D è un documentario di animazione stereoscopica. Racconta le esperienze personali del documentarista Martin Hans Schmitt, che ha partecipato al Pyongyang International Film Festival nel 2018. Si tratta di un film che tenta di mostrare gradualmente come la dittatura influenzi la vita e i pensieri dei nordcoreani fino alle più piccole aree private, influenzando a sua volta anche il regista, dando l’impressione che il film sia una satira della vita reale. L’effetto da burattinaio che la Corea del Nord crea negli osservatori occidentali è sottolineato dalla plasticità dell’immagine 3D, che dà l’impressione di assistere a uno spettacolo teatrale, e che viene utilizzata per salvaguardare le proprie immagini.

L’aspetto retro-futuristico della capitale della Corea del Nord viene perfettamente reso grazie alla colonna sonora del film. Di fatto, la sua composizione musicale utilizza elementi della musica di fantascienza degli anni ’60, nonché un misto fra suoni pop e karaoke nordcoreani.

Nella scoperta di questo nuovo mondo, il documentario parte dall’arrivo a Pyongyang, analizzando diversi momenti lungo gli otto giorni, che terminano con il ritorno in Germania. 

Adattarsi a una nuova realtà

Si inizia con il piede giusto grazie a una dimostrazione oggettiva e senza pregiudizi di ciò che accade. Esplorandone anche l’aspetto umano, ovvero gentilezza e attenzione, oltre ai rituali di regime ai quali i partecipanti sono sottoposti durante la guida turistica. Di grande utilità e fascino è il reportage sull’organizzazione e lo svolgimento del festival: cerimonie molto lunghe, una bandiera e un inno solo per la kermesse, per non parlare di performance e pubblicità su ciò che il regime ha da offrire (compreso il razzo spaziale) per i suoi cittadini. Vi sono, tuttavia, momenti di disguidi e problemi, che mostrano un altro lato del festival, più disorganizzato: non viene mostrato un programma delle proiezioni e, alcuni dei registi, non vengono informati di quando i loro lavori saranno proiettati. 

Un particolare di gran interesse è l’alternarsi di citazioni dei vari Capi di regime sul cinema e l’importanza dell’arte come arma ideologica e rivoluzionaria, per allargare le menti e comunicare i propri ideali. Ma anche passi sulla protezione del popolo e dei bambini. Essi sono seguiti da diversi argomenti che riprendono il contenuto delle citazioni riportate, nella speranza di portare luce su tali questioni.

Un ritmo incoerente

L’approccio iniziale sembra molto più che promettente, considerando le poche informazioni sul regime, spesso “vittima” di fake news per due risate online. Uno sguardo nuovo su un aspetto così poco citato, ovvero un festival cinematografico che ha luogo in un regime noto in tutto il mondo per la sua mano oppressiva e minacciosa, attirerebbe chiunque. Ma  bisognerebbe avere il giusto spirito, che va scemandosi lungo il resto del lungometraggio.

Tuttavia, sembra riprendersi durante le scene finali, con informazioni più utili e lontane dalla comicità sottile, ma poco efficace, che ha caratterizzato la natura del documentario. La testimonianza delle parole espresse dalla guida turistica, le varie coreografie che hanno luogo lungo le strade per incoraggiare i cittadini al lavoro, tentano un risveglio narrativo per i suoi momenti finali. 

Martin Hans Schmitt termina il suo racconto con una comprensibile nota amara. Sia lui che lo spettatore avrebbero voluto conoscere di più, ma restano entrambi vittime delle stesse informazioni forse già in loro possesso prima del viaggio. 

Un racconto ingenuo

Nonostante i tentativi ben visibili di mostrare un lato nascosto di un Paese così controverso, il documentario non offre una prospettiva nuova o dettagli significativi, se non minimi grazie alla descrizione di come avviene il festival. Le problematiche politico-sociali che cerca di affrontare riprendono notizie trite e ritrite che sembrano la satira di un documentario giornalistico, ma rappresentano il frutto di una rappresentazione ingenua, le cui conoscenze sono limitate, e anche un po’ datate.

È da prendere molto in considerazione il fatto che i tour proposti dal governo per chi visita i luoghi, per qualunque motivo, sono limitati a una parte della città e non offrono una visione completa e senza filtri, ma uno scenario ideale e immaginario che si vuole mostrare all’Occidente. Tuttavia, l’approccio che il regista utilizza non solo non sembra prenderlo in considerazione, ma sfocia nell’aggiunta di battute tirate e per niente efficaci. Ma d’altro canto, questa ingenuità è giustificabile considerando i mezzi disponibili e la natura del lavoro, che non scaturisce dal frutto di un’analisi giornalistica e politica. Di conseguenza, il film si rivela interessante per moltissimi punti, in particolare riguardo l’approccio nordcoreano al cinema, e di come un occidentale, vissuto nella Germania dell’Ovest durante gli anni del Muro, può reagire a una realtà così distopica. 

How I Survived the Pyongyang Film Festival 3D: Ne vale la pena?

Vi è, in particolare, una scena che mostra le performance conclusive del festival, accompagnate da slogan pacifici e che, a detta del regista, stranamente non pubblicizzano l’utilizzo del nucleare contro i nemici del regime. Un commento sincero e allo stesso tempo sarcastico, ma che dimostra la mancanza di comprensione politica che confonderebbe anche chi non si intende di dittature e regimi. Un dettaglio che ne illustra lo sguardo confuso dietro la videocamere, lo stesso sguardo che ha descritto come il festival stia cercando di aprirsi al pubblico internazionale accettando film da tutto il mondo e tentando di mostrare un’immagine, probabilmente fittizia, di un paese rigido e opprimente. 

Quella che era la premessa del film, ovvero la dimostrazione di come si è sopravvissuti al festival nordcoreano, dopo quasi mezz’ora si allontana dalle intenzioni per riprendere invece un’analisi superficiale di un regime che, pur mostrandosi, non si fa scoprire nella sua interezza. Ciò fa nascere comunque un dubbio. Il regista all’inizio afferma: “Sono stato ospite al Pyongyang International Film Festival o, in altre parole, sono sopravvissuto alla Corea del Nord”. Ma cos’abbiamo imparato davvero dalla sua esperienza? 

How I Survived the Pyongyang Film Festival 3D

  • Anno: 2021
  • Durata: 75'
  • Genere: Documentario
  • Nazionalita: Germania, Corea del Nord
  • Regia: Martin Hans Schmitt

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