Vincitore della 53esima edizione del Giffoni Film Festival, nella sezione Generator +18, Il più bel secolo della mia vita assieme a Io Capitano è l’unico titolo italiano presente nel box – office settimanale. Interpretato da Sergio Castellitto e Valerio Lundini de Il più bel secolo della mia vita abbiamo parlato con il regista del film, Alessandro Bardani
Il più bel secolo della mia vita è distribuito nella sale italiane da Lucky Red.
L’inizio del film di Alessandro Bardani
La sequenza in bianco e nero che fa da premessa alla storia cita un classico come Marcellino Pane e Vino per introdurre il personaggio di Gustavo, il centenario interpretato da Sergio Castellitto. Come il piccolo protagonista del film spagnolo anche il tuo è un personaggio riottoso alle regole e con una grande voglia di libertà.
La citazione era voluta e mi serviva per creare un fil rouge tra le diverse epoche intendendo mostrare come, anche a cent’anni, Gustavo non avesse perso l’ardore e il modo di fare di quando era bambino. In generale un bambino e un signore così anziano hanno tante cose in comune, a cominciare dalla poca pazienza. Mostrare quel bambino nell’orfanotrofio che vuole fare i conti con Cristo mi serviva per richiamare la stessa attitudine nel personaggio di Sergio Castellitto. Spero che nei primi piani e nelle scene che lo vedono protagonista tutto questo emerga.
Una continuità, quella tra passato e presente, che è anche narrativa. Se la scena in bianco e nero si chiude con Gustavo bambino imprigionato dentro l’orfanotrofio, quella ambientata nel presente lo vede finalmente uscire da quel luogo.
Hai colto perfettamente la circolarità un po’ mozartiana della storia. Quella che volevo dare al film.
Il legame tra tempo e personaggi
Il bianco e nero della sequenza introduttiva e di alcuni inserti d’archivio presenti nel corso del film è il colore della memoria, ma anche di una cinefilia che si collega alla tradizione della commedia italiana, ma anche allo splendore del cinema americano rappresentato da Rita Hayworth, modello di femminilità destinato a ritornare più volte nei pensieri di Gustavo.
È un bianco e nero della memoria, ma anche di quella golden age in cui è vissuto Gustavo: della dolce vita romana e di quel periodo della città che è rimasto più impresso nella sua mente. È lì che Gustavo ha vissuto i momenti migliori della sua giovinezza. Per lui si tratta di una sorta di Eldorado che ritorna nel corso del film. Per esempio nella scena dell’hotel, quando tira fuori il fazzoletto di Rita Hayworth. Ha ancora quel tipo di immaginario della sua città e mi piaceva il fatto che, una volta uscito dal suo “carcere”, non va al Colosseo, ma preferisce tornare nel locale dove ha conosciuto l’unica donna a cui forse aveva aperto il cuore.
La contiguità tra la scena in bianco e nero e quella a colori in cui ritroviamo il personaggio di Castellitto invecchiato di novant’anni, riguarda anche il senso, dicendoci come Gustavo in fondo sia ancora vicino al temperamento e agli umori del suo io più bambino. Per contro Giovanni appare fin troppo più maturo rispetto alla sua età.
Sì, il personaggio di Giovanni come dicevi tu è sicuramente più vecchio della sua età, ma anche più intrappolato nelle ossessioni per un passato, il suo, di cui è certo di scoprire la verità, ma che gli fa perdere di vista il presente. Gustavo gli fa capire che forse quest’ultimo è più importante onde evitare di gettare via via la sua vita.
Richiami e riferimenti nel film di Alessandro Bardani
A proposito di riferimenti cinematografici a me almeno nella prima parte Gustavo è sembrato un personaggio monicelliano per il suo essere irriverente di fronte alle regole di buon comportamento.
Sì, in generale c’era l’intenzione di rifarsi un po’ alla commedia italiana però, se devo dirti, a ispirarmi per il personaggio di Sergio Castellitto sono stati nell’ordine Franco Califano, mio nonno che fu un partigiano molto tosto, di quelli che quando litigava con i fascisti arrivava a essere più duro di loro. Poi mi piaceva raccontare quel tipo di romanità che apparteneva a una generazione portata a sopravvivere più che a vivere. Dunque a quei personaggi di Monicelli a cui facevi riferimento, nella considerazione che lui è uno dei miei registi preferiti. A questi aggiungerei un po’ del protagonista di Nebraska di Alexander Payne.
Il secolo più bello della mia vita guarda anche al cinema americano contemporaneo per il suo essere a metà strada tra l’on the road e il buddy movie, con i due protagonisti destinati a conciliare le rispettive diversità non prima di essere passati attraverso una serie di divergenze.
Esattamente, il film è un po’ il mashup di quello che piace a me, alla mia idea di cinema. Amo la commedia italiana però sono cresciuto guardando film come Clerks di Kevin Smith che avendo una forte propensione per i dialoghi e venendo io dal teatro, mi si addiceva in maniera particolare. In più qui ho voluto riportare il sentimento espresso da Payne in Nebraska, un mood dolce, ironico e dissacrante, che però non sfocia mai nella gag. Nel film ho sacrificato anche alcune cose comiche che potevano far trascendere la storia, cercando di ricreare le atmosfere che si vedono in certo cinema d’oltreoceano in cui tutto è al servizio della storia. La sequenza della vigna è divertente, ma prima di tutto esprime la volontà di Gustavo di urinare in piedi. Il film ci gioca un po’ sopra però si parte sempre da un bisogno reale del personaggio. Ho evitato le cose fine a se stesse, quelle che in gergo teatrale si chiamano caccole.
La realtà
In effetti non prendi nessuna scorciatoia, anche laddove il personaggio e un attore come Castellitto si prestavano a qualche esagerazione e ad assoli da grande mattatore. Anche perché il film prende spunto dall’esistenza di una legge assurda che ancora oggi in Italia impedisce ai figli non riconosciuti di sapere chi sono i propri genitori fino al compimento del centesimo anno di età. Partendo da lì la storia di Il più bel secolo della mia vita si mantiene sempre attaccata al reale.
Sono d’accordo. Il film aveva due personaggi molto fiabeschi, di cui uno centenario, che di per sé è un tipo umano difficile da trovare nel cinema italiano. Per non dire della personalità di Giovanni, un po’ surreale e per certi versi anche grottesca. Mi piaceva mantenere entrambi con i piedi a terra mentre si confrontavano in modo molto schietto e reale. Ho voluto evitare la sindrome da soliti idioti, cioè il giovane nerd e il vecchio parolacciaio incavolato e scorretto. Nel contempo li ho tratteggiati come se fossero uno il carnefice dell’altro perché anche Giovanni riserva a Gustavo non poche staffilate. Nei dialoghi abbiamo cercato di attenerci a dinamiche abbastanza reali anche nei toni, leggeri, ma comunque capaci di affrontare discorsi seri. Con Sergio abbiamo lavorato molto sulla voce, preferendo concentrarci sulla stanchezza, constando che appena alzava la voce si perdeva la sensazione che il suo personaggio avesse cento anni.
Una giusta misura, quella di cui parli, ben sintetizzata dal make up di Sergio Castellitto, perfetto nel non stravolgere il viso dell’attore, ma capace di rendere l’età del personaggio senza eccessi caricaturali.
In questo caso il merito è tutto di Andrea Leanza, un fuoriclasse del suo lavoro. È lo stesso truccatore che ha trasformato Pier Francesco Favino in Bettino Craxi.
Gli interpreti
Mi chiedevo se il rapporto tra i personaggi abbia in qualche modo rispettato quello tra i due attori, tenendo conto del carisma di Sergio e della giovane età di Valerio Lundini.
In parte sì, in parte no. Sul set Sergio è stato un perfetto compagno di viaggio. Ci ha trattato sempre alla pari e in lui ho trovato un grande uomo di cinema a cui ho chiesto spesso consigli anche in termini di regia. C’è stato un confronto a trecentosessanta gradi. Valerio invece ha una personalità che si incastrava benissimo con quella di Sergio. Questo mi ha permesso di mischiare mondi diversi un po’ come succedeva con François Cluzet e Omar Sy in Quasi amici. Se Valerio fosse stato un attore canonico non ci sarebbe stata la scintilla che ha reso il rapporto tra Gustavo e Giovani così scoppiettante.
Hai lavorato molto sulle differenza dei corpi. Si vede soprattutto in certi campi lunghi in cui la figura rigida e nervosa di Giovanni si staglia su quella stanca e un po’ ricurva di Gustavo.
Abbiamo lavorato molto sulla fisicità partendo da com’è Valerio nella vita, di suo un po’ a disagio con il contatto fisico. Con Sergio ci siamo soffermati un po’ di più sul tremolio tipico della vecchiaia e su un tipo di invadenza che per forza di cose non era fisica ma psicologica, fatta di continue domande con cui Gustavo cerca di punzecchiare il ragazzo.
Gli altri personaggi del film di Alessandro Bardani
Il più bel secolo della mia vita è un film di dialoghi e di performance attoriali. Una qualità che si mantiene alta anche al di fuori dei ruoli principali. L’esempio più lampante è quello di Carla Signoris, la cui interpretazione si mantiene sempre sul filo dell’emozione.
Nella scena con Sergio, quella in cui pranzano insieme, Carla è davvero strepitosa per emozione, intensità, verità e dolcezza. Mentre la si guarda, scossa dal senso di colpa tipico dei genitori nei confronti dei figli ti verrebbe voglia di abbracciarla.
A proposito de La vita com’è, la canzone di Brunori Sas sembra scritta apposta per il film per l’attinenza del testo con la vicenda dei protagonisti. Peraltro è molto bella, ma questa non è una novità.
Sì, l’ha scritta per il film non prima di aver visto un po’ di scene e dopo esserci incontrati in studio con lui e il produttore, Riccardo Sinigallia. Oltre a essere molto bella e dunque a inserirla due volte nel film, all’inizio e alla fine, secondo me è quasi un quarto personaggio.
Il tuo lavoro precedente, il cortometraggio intitolato C’è l’hai un minuto? introduce temi come quello del viaggio e situazioni come quella dell’incontro tra culture diverse poi sviluppati in questo film.
Sì, è assolutamente vero. Quel corto è un po’ il prequel del film. Sono molto attratto da dialoghi surreali di opere come Aspettando Godot, con i personaggi che si confrontano attraverso un fitto scambio di battute. De Il secolo più bello della mia vita il corto è stato una sorta di antipasto drammaturgico.
Il cinema di Alessandro Bardani
Parliamo del cinema che ti piace
Come ti dicevo sono cresciuto con film come Clerks che poi ho continuato a guardare attraverso commedie come Little Miss Sunshine e appunto Nebraska. In generale mi piacciono quei film che cercano di andare a scavare nell’animo umano e nei rapporti tra le persone. Tra gli attori mi piace molto Adam Sandler che ho trovato magnifico in Diamanti Grezzi. Di questi film amo il modo di mettere in difficoltà i personaggi, strattonati da conflitti interni ed esterni: un po’ come succede a Giovanni nel mio film.