Un opening shot con un subdolo serpente ci suggerisce subito come il film punti ad insinuare angoscia nel pubblico. Il protagonista del film è Kaleb, interpretato da Théo Christine (conosciuto per Skam France), un giovane solo e in crisi sulla soglia dei trent’anni. Persa la madre in tenera età, ora il ragazzo vive in un condominio di periferia di Parigi insieme alla sorella, interpretata da Sofia Lesaffre. I due stanno affrontando un periodo molto stressante, dividendosi tra un processo per ottenere un’eredità di famiglia e la rivendita di scarpe Nike per pagare l’affitto. Ma Kaleb ha una grande passione: gli insetti. La sua stanza infatti è tappezzata di luci a led per tenere al caldo i suoi ospiti e vari terrari di fortuna dove alloggiano gli animaletti. Il ragazzo non crede ai suoi occhi quando, in uno spaccio, trova un ragno che sembra poter diventare il gioiello della sua collezione. Purtroppo, non tutto andrà secondo i piani.
Uno storytelling limpido fin dall’inizio
Il film si apre con un prologo che contestualizza uno dei protagonisti: il ragno (o meglio, i ragni). Nel deserto del Marocco, quattro uomini sono alla ricerca di un particolare aracnide. Il ragno sfoga dunque il suo veleno assassino su uno di loro, lasciandolo tramortito mentre gli altri due fuggono con il bottino. L’inizio non lascia molto spazio all’immaginazione su ciò che avverrà in seguito. Kaleb infatti, per fortuite coincidenze, ritrova esattamente lo stesso ragno. Cosa mai potrà accadere? Il ragno si riprodurrà in modo esponenziale e infetterà tutta la palazzina, costringendo le forze dell’ordine a mettere l’edificio in quarantena. Gli inquilini dovranno trovare da soli un modo per sconfiggere il nemico e uscire dal condominio indenni.
Il silenzio è d’oro
Già dalla prima scena, il pubblico ha tutti gli elementi per capire ciò che succederà in seguito. I momenti di paura, jump scares tipici dei monster movies, vengono perennemente anticipati dalla colonna sonora, che ben preannuncia quando sta per succedere… il peggio. Il film infatti si avvale di una soundtrack apparentemente “giovane” e contemporanea, sulle note della musica trap francese. Conoscendo già i pericoli del nemico dall’inizio e avendo la musica come fida compagna, gli spettatori non dovranno temere troppo le sorprese dietro l’angolo. La tensione infatti non viene costruita scena per scena, e i personaggi non vengono approfonditi a sufficienza per empatizzare con loro, rimanendo bidimensionali per tutta la durata della pellicola.
Il film non è sottile come il serpente iniziale nel comunicare concetti ed angosciare il pubblico: le inquadrature larghe a figura intera rendono assai più evidente la finzione della scena, spezzando la magia della suspence. La fotografia è movimentata, traballante, a riprodurre il movimento emotivo dei personaggi. Tuttavia, nella nostra società, e soprattutto nei giovani, silenzio e immobilità sono le più grandi paure. Il silenzio da soli con noi stessi, e capire fino in fondo chi si vuole essere e l’immobilità in una società che ci costringe all’azione.
Uno sguardo giovane sulla società
Il regista definisce il film come “un progetto molto personale, dipinge la periferia francese in un modo vero, lontano dalle caricature dei film commedia”. Siamo ben lontani dalla Parigi delle influencers, dalla “città dell’amore”: la scenografia di Vermin è scura e decadente, con lo sguardo sulla povertà in cui vivono i ragazzi. É evidente lo sguardo sociale che il film propone sotto l’occhio del largo pubblico: una gioventù in degrado, che lotta per sopravvivere contro ogni difficoltà, simbolicamente rappresentate dai ragni.
Si riscontrano poi analogie con il periodo di pandemia da Covid-19: mascherine, quarantena, un virus che infetta le persone della palazzina. Un argomento molto sentito dai giovani di oggi, gli stessi che rivendono Nike e altri prodotti modaioli proprio come Kaleb. Il target del film è rappresentato infatti proprio dai giovani, coinvolti anche dalla colonna sonora di musica trap che invade le scene action del film. Si nota una passione e uno studio di film di genere, essendo la scrittura un arco completo tipico dei film horror come Escape Room, Il buco e The Cube. La scena finale è chiaramente dedicata a quest’ultimo.
L’uomo tende sempre a porsi con violenza verso lo sconosciuto, quando a volte basterebbe cercare di comunicare ed ascoltarsi.
In conclusione…
Vermin, lungometraggio di debutto di Vaniček in chiusura della Settimana della Critica, non è rivoluzionario nel cinema di genere, ma può essere una buona scelta per vedere un film horror d’autore.