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‘Conversazioni con altre donne’ conversazione con Francesco Scianna

L’uscita di ‘Conversazioni con altre donne’ di Filippo Conz è l’occasione per parlare con Francesco Scianna, protagonista del film insieme a Valentina Lodovini

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Protagonista al cinema con Adler Entertainment – Conversazioni con altre donne – e sulla piattaforma – A casa tutti bene – La serie di Gabriele MuccinoFrancesco Scianna conferma le sue doti di attore poliedrico passando da un personaggio all’altro con la versatilità dei grandi. Con Francesco Scianna abbiamo parlato del film di Filippo Conz e fatto il punto sul momento della sua carriera.

Francesco Scianna in Conversazioni con altre donne

Se in inglese recitare si traduce con il termine to play Conversazioni con altre donne ne esalta il significato permettendo a te e Valentina Lodovini di giocare con lo spettatore sull’identità di personaggi che fingono di essere qualcun altro.

Per noi attori la scommessa e, se vogliamo, la parte più eccitante di questo progetto era la presenza di una scrittura da teatro inglese. Una danza a due in cui i protagonisti si cimentano per buona parte del film, fino a quando, un poco alla volta, non scopriamo il loro vero rapporto. Il gioco è la componente che li unisce di più perché attraverso quest’ultimo si danno la possibilità di comunicare in profondità e su più livelli. La maschera che indossiamo è infatti la punta dell’iceberg della nostra parte più profonda, quella che portiamo per paura di mostrare la nostra natura. Interpretare il mio personaggio è stata una bellissima sfida perché richiedeva di lavorare su diversi livelli di realtà, cercando di capire laddove era una danza oppure un combattimento. Il testo aveva un ritmo musicale che mi ha fatto subito pensare al teatro inglese in cui, come in una canzone, si attraversano diversi stati d’animo. Con Valentina Lodovini avevo fatto I milionari. Ci siamo ritrovati entrambi più maturi e lei è stata una collega meravigliosa.

Parlando di grandi partner, il tuo esordio ne Il più bel giorno della mia vita ti vedeva recitare in un cast di grandi attori italiani e internazionali. Lavorando a stretto contatto con Margherita Buy ti sei reso conto fin da subito quanto sia importante l’intesa con il proprio partner. 

Oltre a Margherita Buy c’era anche Virna Lisi che alla prima lettura del copione pronunciava le sue battute con una verità che mi sembrava impossibile raggiungere. Virna era una donna di incredibile generosità, sempre attenta e disponibile. Potendo scegliere i progetti ho avuto spesso la possibilità di lavorare con grandi attori, ma anche con persone bellissime.

La voce

Un tratto caratteristico delle tue interpretazioni è l’uso della parola. Dal punto di vista drammaturgico la tua voce concorre a raccontare lo stato d’animo del personaggio, arrivando allo spettatore prima ancora della tua immagine. Parliamo di una costante che accompagna da sempre la tua carriera.

Non ne sono così consapevole perché è una cosa che fa parte di me, però, venendo dal teatro, la mia formazione ha fatto sì che la voce sia considerata corpo e materia. Lavorandoci costantemente diventa in automatico uno strumento attoriale.

Te lo chiedo perché anche in Italia la voce come strumento che produce senso è tornata a fare la differenza soprattutto nel cinema d’autore, e penso per esempio agli ultimi lavori di Marco Bellocchio. In più nella serie A casa tutti bene hai preso il posto di Pierfrancesco Favino, un altro attore che ha un’attenzione sacrale verso questo aspetto della recitazione. 

Sì, beh, per certi aspetti abbiamo una formazione simile e probabilmente anche un tipo di natura, non solo vocale, ma anche interpretativa, che sposa delle linee simili. Mi viene in mente il lavoro fatto da Vittorio Gassman, da Gian Maria Volontè, per non parlare di Carmelo Bene. I grandi attori teatrali hanno sempre giocato con la propria voce: pensa a Gigi Proietti. Schopenhauer, diceva che nell’arte non era importante il fenomeno, cioè quello che vediamo, ma l’idea della realtà. All’arte dunque spetta il compito di cogliere l’idea, là qualcosa si può raggiungere con naturalezza o attraverso la tecnica. Per molti lo senti che tutto nasce molto organicamente, senza tecnicismi. Ci sono altri che magari utilizzano una combinazione delle due cose. La cosa migliore è trovare la maniera per aderire a sé il più possibile in modo da essere sempre autentico.

A proposito di riferimenti, oltre a quelli inglesi ho pensato a Marivaux e in generale a certo cinema francese per quel mix di alti e bassi che contraddistingue il gioco amoroso. 

Il regista Filippo Conz è un uomo di grande cultura e come tale è riuscito, a mio avviso, a mettere dentro diversi registri, anche visivi. Penso anche a Bergman. Lui ha la formazione da montatore per la quale ha ricevuto dei riconoscimenti importanti, e per la sua opera d’esordio ha abbracciato il cinema francese, inglese, americano. La cosa bella però è che non si sente l’insistenza di voler usare un linguaggio riconoscibile. La sua è una pennellata molto elegante che passa da elementi molto semplici, anche a livello visivo, ad altri quasi pittorici. Quello di cui parli tu sicuramente c’è. Anche perché, appunto, lui è influenzato nel suo sguardo da tutta questa cinematografia.

I personaggi di Francesco Scianna e Valentina Lodovini

Il fascino dei vostri personaggi sta anche nella loro inafferrabilità. In realtà il fatto di fingersi qualcun altro non è solo un gioco, ma anche la necessità di tenere lontano un passato doloroso. 

Beh sì, come dicevamo prima, è un po’ una sorta di protezione perché quando incontri un vecchio amore ti trovi di fronte a sentimenti contrastanti. Da una parte hai paura, dall’altra non ne puoi fare a meno. Attrazione e repulsione sono parti dello stesso discorso, quello che ci porta alla ricerca di momenti eccitanti e avulsi dal nostro quotidiano. Così succede anche al mio personaggio.

Conversazioni con altre donne ti dava l’opportunità di costruire una drammaturgia della parola. Nel contempo il dinamismo della regia ti regalava la possibilità di esprimerti anche con il corpo, con la mdp che vi accompagna in una sorta di danza. In realtà la vostra relazione va di pari passo con la progressiva conquista dello spazio all’interno della villa. 

Sì, è come se fosse una danza in cui più ci si muove e prima si arriva al cuore della villa e dunque all’intimità dei personaggi. Devo dire che in questo Filippo è stato molto bravo perché l’uso della macchina da presa e della direzione sul set sono andate alla ricerca di una dimensione di libertà. Nonostante la partitura sia teatrale e musicale lui è riuscito a metterci nella condizione di vedere cosa succedeva momento per momento. Il testo non prevedeva una serie di appuntamenti prestabiliti, ma ci lasciava liberi di spiazzare l’altro allo stesso modo in cui era lui a farlo con noi. La sensazione era quella di dire, ok, questa è la scena. Facciamola e vediamo cosa succede. Una costruzione simile ha il vantaggio di far percepire al pubblico l’intimità tra i due personaggi.

La bellezza

La vostra è una performance basata sulla parola e sul suo ascolto, ma anche sulla gestualità dei corpi. L’equilibrio tra i diversi elementi serve anche a stemperare il rischio di ribalta di uno o dell’altro. Così facendo il piacere del pubblico consiste non solo nell’ascoltarvi, ma anche nella vista dei vostri corpi.

Anche a me viene da dire questo perché poi la percezione del pubblico è diversa da noi che stiamo dentro il film. Certo, non posso dire che io e Valentina siamo due brutte persone. Sicuramente siamo piacevoli da vedere però la cosa bella è che entrambi non avevamo l’atteggiamento di chi ha intenzione di sedurre lo spettatore. La stessa cosa vale per lo sguardo del regista. Non è una bellezza che sottolineiamo, impegnati come siamo a conquistare l’altro personaggio. Non c’è dunque l’interferenza dell’attore Narciso che ti vuole mostrare quanto è bello. Peraltro si tratta di personaggi che si mettono a nudo con le loro fragilità. È questo a renderli belli. Il fatto di concedersi delle debolezze.

Il fatto di non sentirsi belli pur essendolo è un tratto distintivo della sensualità anche nella vita di tutti i giorni.

Sono d’accordo con te.

Tu e Valentina venite dal cinema d’autore però frequentate anche il genere mainstream in cui i corpi sono anche un mezzo per attirare il pubblico in sala e farlo appassionare alla storia. La bellezza è un vantaggio ma ha anche il rischio di farvi rimanere legati a questo tipo di stereotipo. Qual è il tuo rapporto con l’aspetto esteriore? 

In generale negli anni ho cercato di dimenticarmi il più possibile di quella che era la mia estetica e quindi di come venissi percepito. Anch’io nella mia giovinezza ho avuto difficoltà ad accettare alcuni aspetti di me come il naso e i capelli ricci. Insomma, c’è stato un percorso di accettazione. Poi, certo, mi fa piacere essere riconosciuto come un bel ragazzo. Però quello che conta è sentire quando emani la luce interiore perché quella è la bellezza che hai dentro. A volte mi è stato detto di essere troppo bello per certi ruoli. Non è bello sentirselo dire perché può diventare un aspetto limitante. Però sai, nel momento in cui ne hai la possibilità puoi scegliere ruoli sempre diversi, cercando un poco alla volta di esplorare territori opposti. Adesso, per dirti, grazie alla serie di Muccino di colpo la gente si è accorta che posso fare il romano. Piano piano con la mia tenacia e ambizione farò capire che posso fare anche un brutto.

Il personaggio di Francesco Scianna

Il tuo personaggio è un avvocato, ma è stato un musicista. In effetti appare un tipo piuttosto classico anche per certi suoi cliché ma comunque in grado di sorprendere i suoi interlocutori. Soprattutto quando si tratta di riparare a certi rovesci del destino. Tu che idea ti sei fatta di lui? 

Dal punto di vista narrativo il passato musicale rimaneva fuori campo salvo segnalarsi nel mio modo di approcciare le battute in cui l’ho usato come parte consapevole di uno che sa cos’è la musica e che se ne serve laddove si tratta di trovare subito le parole giuste. Lui conosce il ritmo del linguaggio, quindi ho giocato molto su quello.

Quando ballano insieme è lui a guidarla e poi spesso per introdurre un discorso sembra volersi dare un ritmo musicale tipo 1, 2, 3… in generale ha un’eleganza e una leggerezza nel muoversi che la musica potrebbe avergli dato. 

Sì, ha una certa eleganza. Come attore ho cercato il più possibile di rispettare me stesso, senza strafare. La cosa meravigliosa di questo mestiere e di alcuni personaggi in particolare è la possibilità di liberarti sempre di più. La nudità intesa in senso metaforico diventa qualcosa di desiderato, quindi questo personaggio l’ho sentito anche in quella direzione. Cioè lui è uno che a un certo punto deve togliersi la maschera e lo fa anche con dolore e conflitto. Quindi quello è stato l’atteggiamento: cercare di spogliare, spogliare, spogliare. Devo dire che a un certo punto ho visto anche delle cose diverse rispetto a quelle che di norma mi appartengono. Se vedo la serie di Muccino o un film come Cattiva Coscienza vedo un altro tipo di attore. Diverso e nuovo.

Altri ruoli

Peraltro sei uno che ha sempre amato esplorare personaggi agli antipodi. In quello dei tuoi che ho amato di più, Latin Lover, decostruisci da par tuo la figura dell’amante latino, oltre a regalare un ritratto affettuoso dei grandi interpreti del nostro cinema, da Gassman a Mastroianni. Un tipo di mascolinità che hai raccontato anche ne Il filo invisibile

Sì. Tu hai citato Latin Lover che per me è un film divertentissimo. L’ho girato in un periodo difficilissimo perché facevo le tragedie a Siracusa e in particolare Coefore, Ominidi e L’Oresta che erano le stesse interpretate da Gassman negli anni ’60. Voglio imparare a fare tutto senza pormi limiti. Per fortuna ancora oggi ho lo stesso desiderio di imparare di quando avevo quindici anni, quindi mi auguro di poter essere sempre credibile in tutti i ruoli. Soprattutto spero di poter avere sempre questa libertà di scelta. Per dire, adesso sono fermo da otto mesi perché ho bisogno di sentire di voler interpretare un determinato film. Non voglio lavorare tanto per lavorare.

L’alchimia tra te e Valentina è uno dei punti vincenti del film. L’intimità che riuscite a riversare sullo schermo fa dimenticare qualsiasi funzione rendendo partecipe lo spettatore alle emozioni dei corpi. Come si fa ad arrivare a una verità così forte? 

Ognuno ha sicuramente una sua preparazione che porta sul set e quello deve essere sicuramente un po’ la base. Poi c’è l’affinità con il proprio partner professionale che quando esiste è fantastica. Io e Valentina amiamo tanto le sfide ma per divertimento, non per primeggiare. Lei è di quelle attrici che ogni volta riesce a sorprenderti per cui non sai mai in anticipo come porti. È divertentissimo perché devi sempre provocarla, quindi la recitazione diventa un gioco non per stabilire chi è più bravo, ma per divertirsi insieme. L’intimità dipende dalla disponibilità, dal grado di apertura, ma soprattutto dalla stima e dall’affinità degli interpreti. Ho sentito di attori che si odiavano, ma che erano capaci di apparire sullo schermo in totale sintonia. In questo caso con Valentina c’è veramente un grande amore, quindi mi sento di dire che noi durante il lavoro ci siamo voluti bene.

Il cinema di Francesco Scianna

Parliamo del cinema che preferisci.

A istinto ti rispondo con la prima cosa che mi è venuta su dall’inconscio e cioè che piacerebbe lavorare con Abdellatif Kechiche. Lui è un tipo di regista che potrebbe regalarmi un’esperienza nella dimensione che vorrei provare oggi. Se dovessi recitare con qualcuno direi invece Daniel Day Lewis che non so se farà un altro film. Magari se gli propongo un ruolo torna a lavorare.

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