“Che senso ha la vita?”.
Ognuno di noi, almeno una volta nel corso della propria esistenza, si è trovato dinanzi alla domanda delle domande, all’interrogativo che più intriga e inquieta.
È lo stessa domanda sulla quale il regista Vito Robbiani ha fondato il suo ultimo lavoro dal titolo Il senso della “mia” vita, coinvolgente e delicato documentario di 95 minuti prodotto da MediaTREE insieme a RSI Radiotelevisione svizzera.
Il senso della “mia” vita è in concorso al Festival Internazionale del Documentario Visioni dal Mondo in programma a Milano dal 14 al 17 settembre 2023.
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‘Il senso della “mia” vita’, la recensione
Il “mia” del titolo chiarisce da subito l’intenzione del racconto: non l’utopica ricerca di una verità assoluta, ma un interessante, a tratti lirico percorso alla scoperta di visioni e punti di vista strettamente personali sul significato e sul valore dell’esistenza.
Giunto ai cinquant’anni – età di bilanci e nuovi orizzonti – Robbiani rivolge a se stesso e ai propri familiari e amici il quesito filosofico par excellence. Ed inoltre, interroga sull’argomento il web, la moderna Pizia che sembra avere una risposta a tutto. Ottiene in tal modo una ricca galleria di video-testimonianze “private” e “pubbliche” che, integrate dai filmati del suo archivio personale e amalgamate dall’ottimo montaggio di Adriano Schrade, riescono nel difficile compito di armonizzare spirito intimista e afflato universale di un’opera proiettata nel presente dei mezzi di comunicazione “online”.
Il regista italo-svizzero riflette sul punto affidandosi ai ricordi personali, ascoltando attentamente le persone a lui care, scandagliando con cura la “rete” dove personaggi famosi e sconosciuti propongono la propria visione esistenziale. Eppure, non si tratta soltanto di una questione di riscontri. Perché per Robbiani, in fondo, interrogarsi sul senso della vita non significa soltanto cercare una risposta ai propri dilemmi, ma anche esprimere l’esigenza di dar voce ad “una compagna di viaggio fedele e preziosa” che “ci aiuta a fare delle scelte […] e, alla fine, fa bene al nostro esistere”. È infatti grazie a domande come questa che comprendiamo noi stessi, formiamo la nostra personalità ed evitiamo ai nostri giorni di scorrere piatti e privi di slanci.
Il significato ultimo del film
Ed è così che si chiarisce il significato ultimo di un’opera che altro non vuol rappresentare se non un’attenta riflessione sulla misteriosa complessità dell’esistenza umana aggiornata al tempo di Internet. In tal modo, amore e solidarietà, scienza e arte finiscono per incrociare odio e malattia, povertà e violenza. È da qui che lo sguardo di Robbiani vira al sociale rievocando l’orrore dell’Olocausto attraverso la testimonianza di Liliana Segre ed affrontando il tema dell’eutanasia con le parole di dj Fabo. La guerra, il Covid, le difficoltà del vivere dell’uomo prendono corpo nei bei quadri dell’amico pittore Cesare Lucchini.
E nonostante ciò, il racconto non finisce mai per acquisire un tono aspro o cupo. Nemmeno quando la morte fa il suo ingresso attraverso l’intimo ricordo del padre Dario e degli amici Alberto e Paolo. È questo, anzi, il momento più emozionante e coinvolgente de Il senso della “mia” vita. Proprio qui, infatti, quegli elementi di delicatezza e poeticità che pervadono l’intero social-movie toccano il loro punto più alto e si sublimano in una sorta di piccolo prodigio narrativo frutto della sensibilità di un autore che, attraversato da una sottile vena malinconica, finisce per celebrare il miracolo dell’esistenza e della sua bellezza, e pare invitare chi osserva a cogliere l’attimo e a seguire le proprie passioni e attitudini. Perché – ci ricorda Robbiani – “credere in quello che si fa e farlo in modo unico e personale è forse anche credere nella vita”.