Biennale del Cinema di Venezia

‘Welcome to Paradise’ L’intervista a Leonardo Di Costanzo

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Welcome to Paradise : presentato in Selezione Ufficiale – Fuori Concorso – al Festival di Venezia

Prodotto da Carlo Macchitella, Pier Giorgio Bellocchio, Manetti bros., in collaborazione con Paola Pedrazzini, il film è una produzione Mompracem con Rai Cinema, in collaborazione con Fondazione Fare Cinema, presieduta da Marco BellocchioXNL PiacenzaFondazione di Piacenza e Vigevano.

Nel cast: Marta CammiSofiane BahariGiorgia RestelliLuca MassariMatteo LorenzoVincenzo Michelini e Giovanni Rossi.

Scritto da Alessandra Rosso, diretto da Leonardo Di Costanzo che ne ha parlato con noi.

Welcome to Paradise: la trama 

Il cortometraggio racconta la storia di Nadia, una ragazzina solitaria e diffidente, che porta una benda su un occhio. Lungo la riva del fiume, in cerca di avventure in compagnia di alcuni gattini randagi, vede un ragazzo maltrattato e rinchiuso in un capanno abbandonato dai ragazzini del paese. Nadia si allontana. Poi, curiosa, torna e tenta di liberare il “prigioniero”. La parete che li separa apre in Nadia la possibilità di giocare ad essere un’altra e a provare, nella seduzione, un’improvvisa voglia di crescere.

La recensione

la vicenda di Welcome To Paradise potrebbe essere quella di una qualsiasi adolescente di oggi. Isolata, probabilmente per vergogna data la benda sull’occhio, la ragazza trova rifugio vicino un vecchio capanno dove si occupa di alcuni gatti. In mezzo alla natura può essere se stessa e prendersi cura di qualcuno che la apprezzi per quella che è. Quando assiste all’arrivo di un branco che trascina Fausto, il “prigioniero”, Nadia si nasconde osservando la scena e aspettando il momento giusto per andarsene. Ma quando Fausto chiede aiuto, Nadia si avvicina iniziando a parlare con lui.

Leonardo Di Costanzo adotta una regia semplice e concentrata sulle emozioni, che pone così anche lo spettatore nella condizione di approfondire i personaggi. Nadia e Fausto, distanti fisicamente, sono umanamente più vicini di quanto credano. Soli e osservati come fossero presenze aliene, non si lasciano condizionare nel loro dialogo. Uno scambio che, probabilmente sentito da entrambi, porta a un momento di sincerità e di condivisione sentiti e veri.
Un’intenzione voluta dalla giovane sceneggiatrice e confermataci dal regista.

Welcome to Paradise: intervista a Leonardo Di Costanzo 

Dopo la visione del cortometraggio, il primo pensiero è quello che si tratti della storia di due solitudini. Quella di Nadia e di Fausto (il prigioniero). È così, oppure nel finale i due si incontreranno? Per il personaggio di Nadia, si può parlare di una crescita? 

Sì, loro sono due solitudini. Rispetto all’accaduto c’è stata una possibilità di incontro ma c’era la separazione. Non si vedono. La ragazza fa un passo animata da quello che è successo la mattina. Va la sera ma non ha la forza di andare e dire “Guarda, sono io”; sta per farlo ma a un certo punto è delusa della sua capacità di andare verso l’altro e se ne va, scompare. L’indomani mattina ritorna lì…

E appunto ho pensato si incontrassero!

Lui va, però non sa chi trova, la persona non la conosce, non sa chi sia. Non sa niente. Ci va per ritrovare le sensazioni di quel piccolo contatto che c’è stato prima. Perché sa che c’era questa ragazza che si occupava dei gatti.

Quindi non sappiamo neanche noi cosa accadrà!

Esatto! Chissà, magari lo vedremo in un film!

Ha anticipato quello che volevo chiederle! Il cortometraggio sembra la base per qualcos’altro. Secondo lei ci sarà un seguito in un film?

Non lo so, è stato fatto all’interno del laboratorio.. non lo so! Magari li ritroveremo tra cinque anni con dei figli! (ride) Il cortometraggio è scritto da Alessandra Rosso, una ragazza giovane.

Com’è stata la scelta della sceneggiatura?

Ho scelto io tra quattro sceneggiature; questa mi sembrava la più sentita. Si misura con il mondo dell’adolescenza che in passato io ho già studiato. É qualcosa di diverso da ciò che faccio. Non napoletano. Però mi sembrava autentico.

Mi è molto piaciuto infatti il tema dell’adolescenza, oltretutto è un tema sociale. Oggi questa generazione ha difficoltà ha parlare.

Sì, sono cose che mi dice anche mio figlio nonostante non sia adolescente. Lui mi dice di un rimpianto per l’adolescenza e la gioventù che abbiamo avuto noi. Hanno la sensazione di un senso della comunità, della condivisione anche in prospettiva di cambiamento se vogliamo. Loro sentono di non averlo. Sono lasciati a loro stessi. Hanno nostalgia. La mia generazione non aveva nostalgia dei tempi di mio padre. E non me l’aspettavo francamente.

C’è bisogno di parlare e di essere ascoltati.

Questo è un ruolo che dovrebbe ricoprire la società degli adulti. C’è un problema di formazione, di andare incontro.

Il film è stato realizzato  nell’ambito di “Bottega XNL – Fare Cinema”, il corso di alta formazione cinematografica di Fondazione Fare Cinema. 

I ragazzi di questo film che sono venuti una settimana nella Bottega erano invitati ad esporsi. All’inizio erano restii. Non sono abituati a parlare di sé. Alla fine quando ho dovuto dire loro di aver trovato delle persone, pensavo che gli esclusi avessero una reazione di dispiacere. C’è stata, ma molto labile. Hanno rivalutato il percorso di condivisione, erano sempre presenti sul set. Il percorso per loro è stato importante.

Com’è stato girare in un luogo diverso da Napoli?

Fino ad ora ho sempre filmato a Napoli, ho sempre cercato di andare a trovare i sentimenti, tentavo di non accontentarmi dell’apparenza. Cercavo le strutture portanti. Non ho sentito nessuna differenza perché il contenuto era lo stesso. A parte il dialetto diverso, il rapporto diverso tra corpo e voce, ma le strutture portanti erano le stesse.

Com’è tornare a Venezia?

Sono venuto la prima volta con un documentario A scuola, poi con L’intervallo, Ariaferma e due volte come giurato. É bello. Mi fa piacere.

 

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