L’eccentrico e funambolico Wes Anderson ha sempre costruito nei suoi film mondi visivi pieni d’immaginazione colorata, spaziando anche nel cinema di animazione (Fantastic Mr. Fox, 2009, anch’esso da Roald Dahl; L’isola dei cani, 2018) che in La meravigliosa storia di Henry Sugar combina con fondali teatrali e attori in carne e ossa, in quello che sembra un ritorno alle origini del cinema, anche nel formato, un mediometraggio da circa quaranta minuti.
In La meravigliosa storia di Henry Sugar, presentato fuori concorso all’Ottantesima Mostra del Cinema di Venezia (mentre in Italia sta per uscire il lungometraggio presentato a Cannes – Asteroid City) e disponibile su Netflix dal 27 settembre 2023, racconta dello scrittore Roald Dahl (dal suo Un gioco da ragazzi e altre storie il film è tratto) che parla di Henry Sugar che legge in un libro la storia di un medico di Calcutta che narra la vicenda di un uomo che ha imparato da un santone a vedere pur se completamente bendato. Appresa tale tecnica, dopo anni di esercizio, Henry Sugar la utilizza per quella che è la sua principale occupazione: il gioco d’azzardo, con esiti imprevedibili.
La recensione del cortometraggio
Questi diversi strati di racconto nel racconto sono, per Wes Anderson, il pretesto per costruire il suo mondo fatto di colori pastello, l’enfasi di scenografie invadenti quanto immaginifiche e una carrellata di grandi attori (Benedict Cumberbatch, Ralph Fiennes, Dev Patel, Ben Kingsley) che danno vita a un film colto e libresco, inverosimile e fiabesco, in cui ogni finzione narrativa e cinematografica è evidentemente esibita dagli interpreti che ci parlano direttamente nella macchina da presa.
L’effetto è quello di un gioco intellettuale e divertente, che strizza continuamente l’occhio, come fosse un riassunto cinematografico, a tutti i film precedenti del regista texano e, in particolare, all’Oriente di Un treno per il Darjeeling (2007), in un puro esercizio di stile Wes Anderson.