In concorso nella sezione Orizzonti dell’80esima edizione della mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia il film Tereddut Cizgisi diretto da Seiman Nacar.
Il film turco ruota intorno a un processo che, mescolato ai drammi familiari della protagonista, non cerca una vera vittima e un vero colpevole, ma interroga lo spettatore.
La trama di Tereddut Cizgisi
L’avvocata penalista Canan divide il proprio tempo tra le mattine in tribunale e le sere in ospedale al capezzale della madre. Il giorno dell’udienza di condanna di un sospettato di omicidio che sta difendendo, Canan deve fare una scelta morale che influenzerà le vite di sua madre, del giudice e dell’imputato. (Fonte: La Biennale)
La recensione di Tereddut Cizgisi
La traduzione italiana del titolo del film è Ferita da esitazione che riassume perfettamente le dinamiche della storia sullo schermo. Al centro c’è una ferita, una ferita profonda, che va a toccare più ambiti.
La protagonista, Canan, si divide tra lavoro e famiglia, ma in realtà l’una interferisce nell’altra inevitabilmente, tanto da andare anche a immischiarsi in maniera non sempre positiva. Un aspetto che emerge, in modo particolare, nell’arringa in tribunale che coincide anche con il momento di massimo climax del film e delle emozioni della protagonista. Canan deve prendere una decisione difficile e, al contempo, deve cercare di salvare il proprio assistito. Improvvisamente si sente cascare la terra da sotto i piedi e reagisce esagerando e concentrando tutta la propria energia nella difesa in tribunale.
Famiglia o lavoro?
Il film non fornisce una risposta, che di fatto non esiste, a questo interrogativo. Ci mostra la fragilità e l’energia della donna nei due diversi ambiti. Aiuta, in qualche modo, a empatizzare con il suo stato d’animo e con le sue decisioni, non sempre così condivisibili. Pone degli interrogativi ai quali è lo spettatore a dover trovare delle risposte. Ma ci sono davvero delle risposte?
Il difficile rapporto che Canan ha con il prossimo è evidente sia con la propria famiglia (nel caso specifico con la sorella) sia con il proprio assistito.
Ed è interessante la scelta del regista di non raccontare niente o quasi del background familiare e lavorativo. Si fatica nei primi istanti a comprendere chi sia la donna protagonista e come possano collegarsi tra loro gli eventi mostrati sulla scena. Possiamo solo tentare di mettere insieme i pezzi del puzzle tramite alcuni dialoghi e alcuni racconti.
Un personaggio universale
Canan è, infatti, chiunque. Non fornendo informazioni troppo precise e dettagliate tutti possono identificarsi con la donna e con gli ostacoli che si ritrova di fronte.
Dalle difficili decisioni che deve prendere alla (s)fiducia che nutre nelle altre persone. Una sfiducia che la fa agire in un modo sbagliato ed esagerato. E poi anche il mondo intorno si adegua alla donna, cominciando letteralmente a sgretolarsi quando le sicurezze le sfuggono di mano e non ha più il polso della situazione.
La ciclicità di Tereddut Cizgisi
Infine, un aspetto tecnico e stilistico interessante, oltre al tema affrontato, è anche la ricerca di una ciclicità che arriva sia temporalmente (la storia si sviluppa in meno di una giornata) sia visivamente con un lungo piano sequenza che mostra la realtà intorno ai personaggi. Realtà destinata a modificarsi in base alle scelte operate. Perché alla fine la riflessione è su ciò che scaturiscono la fine del processo e la decisione che Canan prende insieme alla sorella.
Solo una ferita da esitazione?
Sono Veronica e qui puoi trovare altri miei articoli