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In Sala

Venti Anni

“Venti Anni” è una barca che fa acqua da tutte le parti e merita di affondare sotto il peso dell’inconsistenza di un progetto che entra senza meriti dalla porta principale, mentre altre opere più valide restano confinate nella terra dell’invisibilità

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Anno: 2011

Distribuzione: Bim

Durata: 80′

Genere: Docu-fiction

Nazionalità: Italia

Regia: Giovanna Gagliardo

 

I venti anni che suggeriscono il titolo all’ultima fatica dietro la macchina da presa di Giovanna Gagliardo congiungono lungo una direttrice spazio-temporale due svolte epocali che hanno segnato, l’una nel bene e l’altra nel male, la Storia passata e quella più recente. Due crolli separano il prologo dall’epilogo: da una parte quello del Muro di Berlino, il 9 novembre 1989, e dall’altra il collasso economico della Banca a stelle e strisce Lehman Brothers, datato 16 settembre 2008.

La regista ce li racconta attraverso le parole e i ricordi di Giulio e Marta, una coppia di innamorati che di quegli eventi porta nella mente e nel cuore cicatrici indelebili fatte di tante speranze e di altrettante delusioni. Entrambi possono dire io c’ero. Ora li ritroviamo quarantenni a Roma, dove vivono svolgendo lavori precari e di scarse prospettive. Tuttavia non sono privi di quel certo “ottimismo della volontà” che consente loro di tenere gli occhi aperti sul futuro e di vederne soprattutto i sintomi positivi. Ci raccontano le loro vite parallele, le loro esperienze, le loro fatiche e i loro successi: nel mondo della finanza lui, in quello dell’editoria lei. E in un balzo temporale che riavvolge il nastro riviviamo attraverso flashback e ricostruzioni la loro storia che si va a intersecare con quella con la “S” maiuscola.

Il tutto si traduce in una narrazione che si alimenta della pratica dell’ibridazione, con il reale che si mescola senza soluzione di continuità all’artefatto, dando vita a ciò che comunemente chiamiamo docu-fiction. Gli esiti francamente lasciano perplessi e sbigottiti, vuoi perché capaci di trovare inspiegabilmente la via della sala e in primis perché resi possibili da finanziamenti statali. Venti Anni è una barca che fa acqua da tutte le parti e merita di affondare sotto il peso dell’inconsistenza di un progetto che entra senza meriti dalla porta principale, mentre altre opere più valide restano confinate nella terra dell’invisibilità.

Lo script lavora per accumulo, cerca la strada della contaminazione dei linguaggi del cinema di finzione con quello documentaristico, ma ciò che ne emerge non ha assolutamente nulla da dire su e da nessuno dei due fronti. Il loro incontro fa sì che l’uno fagociti l’altro e a pagarne il prezzo più alto è la componente del reale. L’archivio e il repertorio viene declassato e depotenziato rispetto alla sua forza intrinseca emozionale e rievocativa. Il suo utilizzo appare dal primo all’ultimo fotogramma utile didascalico e persino posticcio quando il vero viene piegato alla logica della mistificazione, come nel caso degli orribili foto ritocchi. Ed è questo che sorprende di più in negativo del film della Gagliardo, capace come pochi altri cineasti di plasmare il materiale d’archivio nel migliore dei modi, di valorizzarlo e assemblarlo in maniera straordinariamente efficace e a tratti poetica come nei due capitoli di Bellissime o nel pregevole Vittime.

Ciò che rimane è un doppio binario che viaggia parallelamente per poi far deragliare chi vi transita sopra. La messa in scena lascia il tempo che trova, così come gli attori che si prestano all’operazione che sa di falso, tanto da irritare lo spettatore durante e soprattutto dopo la visione.

Francesco Del Grosso

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