Il film Backstage, presentato alla 20a edizione delle Giornate degli Autori di Venezia 80 il 5 settembre 2023, è un dramma minimale sulle relazioni umane dai forti connotati suggestivi.
Diretto da Khalil Benkirane insieme con Afef Ben Mahmoud, che lo ha anche prodotto e interpretato, il film Backstage è una coproduzione tra Marocco, Francia e Belgio. Prodotto da Iota Production, Lycia Productions e Mésanges Films vede tra gli interpreti Sondos Belhassen, Afef Ben Mahmoud, Saleh Bakri, Sidi Larbi Cherkaoui, Sofiane Ouissi, Hajiba Fahmy, Ali Thabet, Abdallah Badis, Salima Abdel-Wahab, Nassim Baddag.
Backstage, la storia
Una compagnia di danza sta per concludere il suo fortunato tour in Marocco; manca la sola importantissima tappa di Marrakech per suggellare il trionfo.
Durante il penultimo spettacolo, Aida (Afef Ben Mahmoud) provoca il suo compagno Hedi (Sidi Larbi Cherkaoui) che, reagendo, la spinge procurandole un infortunio.
Il timore che la tappa conclusiva venga cancellata per l’infortunio di Aida, compromettendo il successo del tour, crea contrasti, palesi o striscianti, tra i danzatori. Questa dinamica, nuova per la compagnia, si manifesta nel pullman che li porta a Marrakech.
Un incidente che mette fuori uso il pullman costringe il gruppo a vagare nella foresta per tutta la notte tra paesaggi mozzafiato. Questo sarà per ciascuno di loro il vero “viaggio”, e un banco di prova decisivo per la tenuta dell’armonia e dell’affiatamento della compagnia.
La danza è una materia sottile
L’immagine d’apertura dello smalto che ricopre le unghie di piedi pronti per il palcoscenico ci suggerisce due cose. Una è che in Backstage c’è una ricerca estetica abbastanza palese ma che non è mai fine a se stessa ma sempre a servizio del racconto. Due, l’elemento principe del film è la danza. Questa sì, arte nell’arte, sospettata di essere lì solo per mostrare se stessa, anche per la relativa debolezza della trama. È però quasi subito scagionata e con pezzi assai suggestivi costituisce un vero valore di arricchimento di questo film.
Backstage è un film vagamente polimorfo. Inizia quasi come un kammerspiel, con un dramma intimo condiviso. Diventa poi un movimentato on the road che strizza l’occhio all’avventura. Ha una release centrale in cui prevale la forma-arte nel simbolismo della foresta. Una risoluzione finale che pone fine ai conflitti del cuore come in un dramma sentimentale. E tutto ciò funziona molto bene.
Anche se le vicende narrate e le ambientazioni descritte si attengono esclusivamente al mondo reale, si ha sempre la sensazione di una dimensione onirica/fantastica nascosta da qualche parte. Come una pellicola adesiva tra due corpi, la realtà tiene insieme, ma lasciandoli separati, due mondi. In alcuni punti della storia questo strato sottilissimo si lacera: è lì che sogno e creazione dilagano in toccanti rappresentazioni coreutiche dell’animo umano. Fra tutte, quella del dolore di Nawel (Sondos Belhassen) per l’inspiegabile scomparsa del compagno avvenuta in passato. Un’evocazione così forte che fa in modo che la stessa possa incontrarlo in una sorta d’incanto sospeso.
Una notte buia che non fa paura
Nonostante il gruppo sia perduto nel buio della foresta, indeboliti dalla disabilità di Aida e attaccati da un branco di scimmie aggressive, non si perde mai d’animo. Nella certezza di una nuova alba, sembra quasi che a proteggerli ci siano le loro magnifiche danze in una natura mozzafiato, rituali apotropaici eseguiti in paesaggi incantevoli.
L’attraversamento della foresta è una ricerca esistenziale, un compito con delle prove da superare, rappresentate dagli aggressivi primati, probabile simbolo di una natura selvaggia e ancestrale da cui evolversi.
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