De l’amour perdu (Lost Love) di Lorenzo Quagliozzi è in concorso all’80ª edizione della Mostra Internazionale di arte cinematografica di Venezia. Il cortometraggio è presentato nella sezione Settimana Internazionale della Critica.
Insegnami a soffrire perché impari a salvarmi. Forse allora l’anima brucerà di un amore ineffabile, prega una monaca nella Francia occupata dai nazisti. Sotto le bombe nemiche e il giudizio divino, il cuore della giovane è diviso tra Dio e una passione umana.
La linearità e la rigidità della vita monacale tentano di imporre il silenzio ai suoi tormenti: baci alla croce, inginocchiamenti, preghiere e Pater Noster cercano di soffocare un amore, quello terreno, con un altro, quello della fede.
Arriva però un momento in cui questi tentativi sembrano essere stati vani. Il tempo sospeso dell’esistenza monastica incontra il tempo della Storia e quello personale e intimo della protagonista. Sabotaggi, tradimenti, SS, torture e fughe travolgono il mondo che la ragazza ha provato a rendere piccolo e l’amore, che non deve esistere ed esprimersi, risuona invece assordante.
Un amore che ritorna, vivo ed intenso, e come torna se ne va, inerme e perduto.

De l’amour perdu e la scissione dell’animo
Lorenzo Quagliozzi in De l’amour perdu delinea la crisi interiore della protagonista, combattuta tra una tensione incontrollabile e ostile alla sua condotta morale e la richiesta di perdono al Signore che la osserva e la giudica.
E lo fa con uno sguardo delicato e duro allo stesso tempo, sofisticato ed estetico. Le luci, le ombre, le inquadrature e le simmetrie delle immagini rispecchiano la scissione d’animo della giovane monaca. Così come il suo animo, anche il cortometraggio appare diviso in due.
Una prima parte è segnata dall’oscurità illuminata soltanto da una fioca candela, da sguardi rivolti verso l’alto, da un silenzio scandito solo da preghiere. Uno spazio in cui la piccola figura sembra sovrastata da Gesù in croce che la segue e la sorveglia.
La seconda parte di De l’amour perdu diviene più luminosa e privata. L’erba è mossa dal vento, la monaca affannosamente cammina e ritrova sul letto di morte l’amore vanamente nascosto. L’occhio del regista si concentra sui volti e sulle mani intrecciate della protagonista e dell’amata; il silenzio è rotto dal dialogo, da parole che svelano un senso di colpa e una richiesta di perdono, a chi le sta di fronte e a chi da un piano superiore sentenzia.
È della persona che ha a fianco che ha bisogno, è per lei che vorrebbe vivere. È un amore, cui non sarebbe concesso esistere per religione e politica, che vive, brucia e consuma. Ed è un amore che se ne va, abbandona definitivamente il corpo e la terra ma raccoglie chi rimane.
Che senza velo e con sguardo diretto a noi, sembra dirci, forse, di essere adesso abbastanza forte per affrontare questo dolore.