Luc Besson torna alla regia con un film che racconta la straordinaria storia di un bambino, segnato dalla vita, che troverà la salvezza attraverso l’amore dei suoi cani.
Accolti da un fragoroso applauso in conferenza stampa, durante l’80esima edizione del festival di Venezia, il regista e il cast hanno raccontato la loro esperienza in questo film così speciale dove gli attori non sono solo esseri umani ma cani.
” Questo film nasce da un articolo che ho letto anni fa e che raccontava la storia di un ragazzino francese cresciuto in una gabbia dove lo avevano rinchiuso i genitori. Mi sono domandato: che cosa ne sarà di questo ragazzo dopo aver subito questo abuso orribile? Diventerà un terrorista? Un assassino? Come riesce una persona a sopravvivere e a gestire la propria sofferenza? Con Dogman ho voluto esplorare questa tematica”.
Nel film c’è una battuta che dice: “Le nostre radici sono la base dell’essere umano ma sono invisibili. Noi vediamo l’essere umano ma non le sue radici. Cosa succede se tagliamo le sue radici?”
Le religioni parlano di fede, ma come possiamo mantenere la fede se ci succede una cosa del genere? Se ci fosse un Dio, come potrebbe permettere una cosa del genere? Una crudeltà su un bambino? Forse la risposta si trova alla fine, ovvero la risposta non c’è. Ognuno la trova dentro di sé.
La sofferenza è uno stato che accomuna tutti noi e il solo antidoto per contrastarla è l’amore. La società non ti aiuterà, ma l’amore può aiutare a guarire.
L’amore e l’arte ci possono salvare, non certo i soldi.
È l’amore della comunità di cani che Dogman ha fondato a fungere da guaritore e da catalizzatore.
La mia sceneggiatura è nata così; mi sono ispirato alla cronaca. In generale sono affascinato dalle persone che incontro per la strada. Le guardo e cerco di immaginare le loro vite: cosa fanno, chi conoscono…
Questo per me è il modo migliore di esercitare la mia immaginazione.
Non sono un appassionato di cinema, per cui fatico a dire se sono ispirato da altri autori, anche perché sono cresciuto in una casa senza televisione.
Sul set di Dogman c’erano 25 addestratori; alcuni dei cani presenti sul set erano delle vere e proprie erano star. Sono stati necessari due mesi per ottenere il risultato che volevamo e fare una squadra.
C’era la necessità di tenerli nascosti dalle telecamere e non è stato semplice.
Ogni volta che dicevo “azione!”, tutti gli addestratori davano il comando ognuno nella propria lingua ai cani.
Per due o tre minuti era il panico…
Una vera e propria follia, ma alla fine ci siamo abituati.
Inizialmente, ero preoccupato di trovare un attore abbastanza pazzo per interpretare Douglas.
Quando Caleb ha interpretato una scena chiave, cantando “Non, je ne regrette rien” di Edith Piaf, ho capito che avevo fatto la scelta giusta.
Dogman non sarebbe il film che è senza Caleb Landry Jones. Questo complesso personaggio aveva bisogno di qualcuno che potesse incarnarne le sfide, la tristezza, il desiderio, la forza, la complessità.