Il lungometraggio Sibyl della regista francese Justine Triet, vincitrice della palma d’oro a Cannes 2023 con il suo Anatomy of a Fall, è interpretato da Virginie Efira, Adèle Exarchopoulos ( La Vie d’Adèle ) e da Niels Schneider che ritroveremo nell’ultimo film di Woody AllenCoupe de Chance. L’opera della Triet, girata tra Parigi, Lione e l’isola di Stromboli, fu presentata in concorso a Cannes nel 2019. È disponibile su MUBI.
IL TRAILER – Sibyl
Psicologia discontinua – Sibyl
Sibyl di Justine Triet rappresenta una perfetta sintesi tra la concezione relazionale contorta e complessa del cineasta svedese Bergman, e la costruzione/distruzione del dramma borghese di Woody Allen. Già nel dialogo inziale, mentre la protagonista Sibyl parla con un suo collega, durante un pranzo al sushi, della concreta possibilità di lasciare il suo lavoro da psicologa per iniziare quello da scrittrice, ci accorgiamo di come verranno concepiti i dialoghi. Pieni di nevrosi, taglienti e riempiti di alienazione discorsiva.
Sibyl, la protagonista della Triet, sembra veramente uscita da un film di Woody Allen e dalle sue rare e ben fatte opere drammatiche. Solo che la regista francese mette in prima persona il ruolo dello psicologo disponendolo al centro della scena e colorandolo di tutto il bagaglio autodistruttivo. Il personaggio della Efira è in preda a una sorta di crisi di mezza età. Non solo dettata dalla voglia di scrivere qualcosa di suo e trovare nuove ispirazioni, ma anche dal passato e dal ricordo di un uomo che non l’ha lasciata ancora del tutto.
Nel corso del film infatti saranno centrali i vari tagli sulla temporalità passata della Triet. Parentesi in flashback che delineeranno in maniera precisa la psicologia di Sibyl. Una donna timorosa di ripercorrere i passi della madre e ingabbiata, per sua volontà, in una relazione con un uomo più giovane, Gabriel. La regista francese sottolinea l’incompiutezza umana di Sibyl che oscilla tra l’oggettivazione di natura sessuale dell’uomo, e il bisogno di avere una spinta per esistere. In Sibyl sembra di rivedere la fase più cupa e riflessiva della filmografia del cineasta newyorkese.
Di fatti, la psicologa della Triet non sembra così dissimile dalla scrittrice Marion Post in Un’altra donna o dalla perdita del controllo e di sé che ha Cate Blanchett in Blue Jasmine. La regista francese fa un quadro duro, autoritario e nel contempo fragile e ambivalente del personaggio di Sibyl. Che è in assoluto un personaggio alleniano per la forma chele viene data. Partendo dalla scrittura come lunga modificazione di una tortuosa personalità schiava di troppi traumi, compresi quelli auto-inflitti.
Due donne allo specchio
La vita di Sibyl cambia quando non riesce a lasciare andare la drammatica situazione di Margot, un’attrice di fronte a una terribile scelta. Abortire o no il bimbo che aspetta dal suo amante Igor. Una situazione ancora più critica essendo quest’ultimo il marito della regista del film che entrambi stanno girando. Margot e Sibyl fin da subito, dopo le iniziali reticenze della seconda nel non prendere più pazienti, istaurano un rapporto che è il riflesso dell’altra. Sibyl prende spunto dalla vita fatta di segreti e crolli emotivi dell’attrice, trasferendo su di sè i rimorsi per il rapporto terminato con Gabriel. Il film da qui in poi si inserisce nella sua componente di meta-cinema.
La Triet sviluppa un secondo atto tutto dentro il set di Margot sull’isola siciliana e il suo segreto con la regista del film e il suo amante Igor. Il ruolo di Sibyl è diviso tra l’essere l’unica persona che può sbloccare l’emotività di Margot e l’improvvisato ruolo di coordinatrice di intimità sul set. Le due donne sembrano vedersi allo specchio, riproducendo stesse paure e fragilità, compresa la questione dell’aborto. Qui affrontata dalla Triet come un peso e dopo come un pezzo di se stesse che manca alle due donne. Sibyl e Margot sembrano rispecchiarsi nel mancato ottenimento di ciò che vorrebbero avere dai rispettivi partner. Scambiano la passione con l’amore. Confondendo i due sentimenti ma non riuscendo né a scinderli, né a fare meno di entrambi.
La disfunzionalità relazionale e il legame con Bergman
La conflittualità tra la regista, Margot e Igor, diventa il triangolo relazionale di mutamenti e metamorfosi dei sentimenti, che vede Sibyl dapprima come guida di questo caotico quadro emotivo e poi parte integrante di essa. È innegabile come la Triet usi la spiaggia del set siciliano come Bergman usava le sue algide case al mare per aprire il turbine psicologico dei suoi personaggi. A vederle bene Sibyl e Margot non sono così diverse dall’infermiera e dall’attrice muta di Persona. Entrambe vivono una convivenza fisica e interiore di difficile distacco, e l’aborto che le accomuna è trattato similmente allo stupro di Alma. Un atto di eguale violenza, seppur emotiva, che le macchierà a vita e le lascerà eternamente indecise sulla loro vera identità.
La Triet non è nuova ad ispirazioni bergamiane come si è visto nel suo ultimo film palma d’oro. Opere come Una vampata d’amore, Una lezione d’amore, Sorrisi di una notte d’estate e lo stesso Persona, sono i riferimenti al maestro svedese che applica al melodramma esistenziale della sua protagonista. E lo fa unendo la coralità di Bergman a quella individuale e auto-lesionista della donna blasé di Allen. Due mondi che si incrociano nello sguardo fermo al passato di Sibyl e in quello al presente con il suo alter-ego, Margot. Mentre la regia indugia su silenzi e sovrimpressioni che distanziano la protagonista dalla storia centrale, verticalizzando il suo stato d’animo del rapporto decostruito ma mai perso del tutto con Gabriel.
Il finale risolutore e apparentemente felice di Sibyl nasconde in realtà la consapevolezza del raggiungimento dell’infelicità. In ciò somiglia ad Allen quando fa se stesso sul finale dei suoi film. Sibyl sa cos’è l’amore vero ma ne vuole stare lontana, avendo la certezza che solo nella non comunicazione risieda la durata di un legame senza fuochi ma nemmeno senza incendi. La psicologa della Triet, divenuta scrittrice affermata, stabilizza l’amore nella morale platoniana del non compiuto. Che Sibyl accetta nel finale con rassegnazione e serenità. Concludendo che amare è avere l’altro senza possederlo.
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