‘22 luglio’. Il film sulla strage di Utoya. La carneficina che scosse una nazione
Su Netflix il film di Paul Greengrass sulla strage compiuta da un simpatizzante fanatico dell’estrema destra norvegese ai danni dei giovani partecipanti a un campo estivo
Il 22 luglio 2011 la tranquilla Norvegia fu scossa da un duplice, drammatico evento. La ferì profondamente, portandola a perdere quell’immagine di pacificazione che si era creata negli anni, a partire dalla fine della Seconda guerra mondiale.
Paul Greengrass è un regista britannico autore, fra l’altro, di Bloody Sunday, United 93 e Green Zone. Con 22 luglio, realizza un film prodotto da Netflixe presentato in concorso a Venezia. Il lungometraggio ripercorre quel giorno in cui il trentaduenne Anders Behring Breivik compì, nell’arco di poche ore, due stragi. Il bilancio finale fu di 77 vittime, mentre altre 200 circa rimasero ferite, alcune in maniera grave.
Da quel giorno tutto il mondo conobbe il terrorista Breivik. Si tratta di un simpatizzante dell’estrema destra norvegese imbevuto di idee xenofobe, antimarxista e antislamista. Autore, tra l’altro, di un farneticante memoriale di oltre 1500 pagine dal titolo 2083 – Una dichiarazione europea d’indipendenza nel quale si definisce “salvatore del cristianesimo” e “difensore della cultura conservatrice in Europa”.
22 luglio: i fatti
Quella mattina d’estate Breivik (Anders Danielsen Lie) uscì di casa travestito da poliziotto. Guidava un furgone che fece esplodere nei pressi della sede governativa norvegese, allora guidata dal Primo Ministro Jens Stoltenberg, oggi Segretario generale della Nato.
Lo scoppio del furgone causò la morte di otto persone e rappresentò un diversivo propedeutico alla seconda parte del suo piano criminale. Fingendosi sempre un appartenente alle forze dell’ordine, Breivik si recò presso l’isola di Utoya nei pressi di Oslo, nella quale si stava svolgendo l’annuale campeggio estivo della Lega dei Giovani Lavoratori, appartenenti al Partito Laburista Norvegese. Qui, armato di un fucile di precisione, iniziò a sparare all’impazzata sui ragazzi presenti. Ne uccise in totale 69, ferendone molti altri.
Breivik venne infine catturato dalle forze speciali norvegesi accorse sull’isola. Sottoposto a processo, venne dichiarato affetto da schizofrenia paranoide, ma fu lui stesso a chiedere al suo avvocato Geir Lippestad (Jon Øigarden) di rinunciare all’infermità mentale. Desiderava essere considerato capace di intendere per poter divulgare in aula le proprie convinzioni nazionaliste e suprematiste. L’avvocato, pur riconoscendo in lui un mostro, accettò di difenderlo, restando coerente con la propria deontologia professionale che vuole che chiunque abbia diritto a una difesa.
Al termine del processo, il terrorista venne condannato a 21 anni di carcere, pena massima prevista in Norvegia, che da tempo ha eliminato l’ergastolo dal proprio ordinamento giuridico. Breivik, a tutt’oggi, sta scontando la pena in una prigione di massima sicurezza.
Un film suddiviso in due parti ben distinte
Il film di Greengrass è tratto dal libro della giornalista norvegese Åsne Seierstad, Uno di noi – La storia di Anders Breivik. La pellicola riporta alla mente altre due lumgometraggi ispirati a stragi compiute ai danni di vittime innocenti (Polytechnique di Denis Villeneuve e Elephant di Gus Van Sant),
Di fatto, è un’opera divisa in due parti. Nella prima, sicuramente la più dinamica e carica di tensione, vengono raccontate le terribili azioni criminali di Breivik sino alla sua cattura. La seconda, molto più lunga, mette a confronto due elementi centrali del racconto. Da un lato la follia paranoica del terrorista, dall’altro il disperato tentativo di “tornare a vivere” da parte di Viljar Hanssen (Jonas Strand Gravli), uno dei giovani presenti a Utoya rimasto a lungo in bilico fra la vita e la morte.
Girato con uno stile classico, il film del regista londinese si muove su questo doppio binario, alternando le scene in cui Breivik è in aula o a colloquio con il suo avvocato a quelle in cui viene mostrata la profonda sofferenza fisica e mentale di Viljar. Ciò permette a Paul Greengrass, in maniera sobria e assolutamente priva di retorica, di entrare in contatto con i vari protagonisti della vicenda. Sia con il dolore delle vittime, che con la lucida pazzia di un uomo mai pentitosi del proprio gesto e pervaso da un odio profondo nei confronti dell’umanità.
L’elaborazione del lutto da parte delle vittime e di un intero paese
22 luglio è un film dal forte impatto emotivo, ma anche di stampo giudiziario, con le due parti che possono apparire un po’ sbilanciate fra loro. La seconda rappresenta un’occasione per Greengrass per scavare nella mente dei due protagonisti: Breivik e Viljar. Un’opportunità non pienamente colta dal regista che riesce a mostrare parzialmente i demoni che, seppur in maniera diversa, li dilaniano.
Tuttavia il film, nonostante la lunghezza forse eccessiva, non possiede mai grossi cali di tensione. Inoltre, rende bene il tentativo di elaborare il lutto da parte non solo delle vittime, ma anche di un’intera nazione. Lo dimostra il fatto che, qualche anno dopo la strage, quando l’isola di Utoya ha accolto altri giovani per il primo campeggio dopo il massacro, i partecipanti erano più che raddoppiati. A comprova della volontà di una generazione di continuare a sperare in un mondo migliore. Anche se, come testimoniato all’Agenzia Reuters dieci anni dopo la strage da Astrid Hoem, una sopravvissuta “Quelle opinioni, quelle teorie del complotto, quell’odio… oggi sono più forti di quanto non lo fossero dieci anni fa”.
Nazionalita: Norvegia, Islanda, Stati Uniti d'America
Regia: Paul Greengrass
Data di uscita: 10-October-2018
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