Alle Giornate degli Autori, nelle Notti Veneziane, era stato presentato il documentario Acrossdi Irene Dorigotti. Ora arriva a Trento al Trento film festival di cui Taxi drivers é media partner. Proprio a Irene Dorigotti abbiamo chiesto qualcosa a proposito del film.
Across di Irene Dorigotti
Vorrei chiederti una riflessione sulla prima scena del documentario, quella del tuo primo piano e del tuo tuffo in piscina intervallato da immagini animate. Una scena che io ho letto come il tuo tentativo di immergerti in qualcosa di nuovo, il rendere in maniera concreta l’espressione tuffarsi in una nuova avventura.
Alla fine si tratta di un attraversamento, quindi ognuno può vedere quello che vuole.
Questa scena l’abbiamo girata nel 2018 con SimoneRosset. Per quanto riguarda l’animazione una parte degli schizzi era stata disegnata prima e veniva da un racconto che avevo scritto. Poi mentre giravamo eravamo in Svizzera, ricordo che era il giorno del mio 30esimo compleanno e siamo andati in questa piscina di Saint Moritz dove sono stata invitata a fare qualcosa che non avevo mai fatto. Non mi ero mai tuffata da così in alto. E mi ricordo che mi hanno presa in giro tutto il giorno per il mio tuffo. Solo dopo abbiamo capito che era l’inizio del film.
Quindi inizialmente non era pensato come l’inizio del film?
No, era uno dei preludi possibili del film, però Across non è partito da quella scena lì.
Non solo un documentario
Parlando, invece, più in generale del film secondo me definirlo solo come un documentario lo banalizza. L’esperimento che hai fatto va oltre, arrivando quasi a mescolare finzione e realtà, con l’aggiunta di immagini animate e inserendo anche considerazioni personali. Come lo definiresti?
È sicuramente qualcosa di più. Siamo partiti dall’idea che era un documentario, ma adesso siamo a un punto che non sappiamo più cos’è. È un film e basta. Enrico Giovannone, il montatore, ha sottolineato che, per girarlo, abbiamo usato tutto, tutti i registri filmici, anche come materiale per le immagini: dai vhs al super8 ai video girati con gli Iphone, al 6k. E poi c’è anche una forte componente performativa.
A proposito di questo mi viene in mente una scena, quella che si può definire quasi una rappresentazione teatrale-pittorica con due attori. Una scena che si può leggere come la rappresentazione visiva e fisica di quello che viene detto nel film, cioè una sorta di contrapposizione tra sacro e profano. E che si può ricondurre anche all’immagine della Sacra Sindone che viene mostrata poco prima.
Questo film è in realtà molto stratificato e questa scena l’abbiamo girata nel 2015 assieme al nucleo della Sindone. E proprio per quanto riguarda la Sindone (e considera che spesso ero completamente sola a fare le riprese anche perché c’era una sovraesposizione mediatica incredibile) ci sono un sacco di cose che ho filmato e che sono state scartate.
Mi sono resa conto poi che avevo bisogno di qualcosa di molto fisico perché alla fine la Sindone è la prima fotografia di Gesù. Avevo l’idea di trasformare qualcosa che fosse un corpo nudo che viene esposto. Mi sembrava la stessa cosa delle persone che andavano a vedere la Sindone in adorazione, era come un trasfigurare un corpo in qualcosa che non è vero.
C’era l’idea di costruire dei tableaux vivants per portare alla corporeità del sacro.
Il tema del sacro nel film di Irene Dorigotti
Il tema che è al centro del film è complesso, ma usando, come hai detto, tecniche diverse, materiali diversi, alla fine è stato reso in qualche modo anche universale sotto tutti i punti di vista. E, collegandomi a quello che hai appena detto sulla corporeità, mi viene in mente l’utilizzo della figura di Gesù che viene presentato con la voce over che afferma “Gesù esiste e vive a Torino: è irriverente e non ha nessuno scrupolo eppure per le persone rappresenta il bene”. Non so se è stato un incontro casuale o meno, se conoscevi questa persona o no, ma il suo inserimento all’interno del film mi sembra esemplificativo di quello che hai appena detto.
In realtà è stato un po’ un misto. Io ero stata chiamata a fare questo film collettivo sulla Sindone che è un progetto che non è andato in porto. C’erano inizialmente 105 autori che dovevano entrare dov’era la Sindone e filmare. E proprio lì, mentre filmavo una regista trentina mi ha detto sai che c’è il mio montatore che fa Gesù?.
Io poi lo vedevo ogni giorno e siamo diventati amici. Con lui abbiamo girato varie scene, addirittura tutta una parte che non abbiamo montato di lui che va in giro per l’Italia per vedere le reazioni delle persone. Il cuore pulsante iniziale erano le reazioni delle persone a lui che appariva nei luoghi. Poi siamo andati per sottrazione e abbiamo semplificato e asciugato. Anche se era interessante vedere la reazione a questo Gesù in carne e ossa. Era diventato un brand, un gioco. E non ci telefonavamo per concordare le cose.
Alla fine questa presenza dà anche una punta di ironia al film.
Sì, ma infatti era anche un po’ un gioco. Io sono anche ritornata scout per girare il film. Non solo per un discorso di tema, ma anche perché, dovendo stare invisibile, quello era l’unico modo. Anche se questo, però, ha scatenato altro. All’inizio non avevamo previsto che io raccontassi la storia in prima persona, era solo un modo per stare lì dentro. Poi due giorni prima che chiudessero la Sindone abbiamo capito che mancava chi potesse raccontare questa storia.
Ci sono spesso nel film delle riprese statiche, di opere, monumenti, la stessa Sindone che contrastano con le immagini animate. Che può essere letto anche come una contrapposizione tra sacro e profano.
In tutto il cristianesimo ci sono molte opere. Il cristianesimo ha fatto produrre tante opere in questo senso. Avevamo una grandissima responsabilità sia dal punto di vista cinematografico che dal punto di vista estetico.
Il viaggio
Oltre al tema del sacro c’è anche il tema del viaggio e il richiamo, all’inizio, alla tua famiglia. Quello che hai compiuto con Across è un viaggio sia fisico che astratto.
In realtà questo è un elemento delle mie ricerche, essendo laureata in antropologia. Ho sempre viaggiato molto, anche con la mia famiglia. Non sono un’antropologa da tavolino.
E per questo all’interno del film le cose che sono state scelte un po’ sono capitate e un po’ sono un percorso. L’idea del film è che fosse un road movie spirituale.
Irene Dorigotti in Across e oltre
Com’è stato essere protagonista e regista del film?
Un po’ un mix. Ci sono tanti blocchi dove io non ci sono perché ero io che filmavo. Le altre riprese, invece, le hanno fatte persone che ho incontrato. Di tutte le scene, però, abbiamo fatto storyboard: le animazioni e le riprese sono precise perché le avevamo disegnate prima; avevamo già in mente che cosa ci poteva servire. Prevedendo anche come muovermi e cosa poteva piacermi. Il montatore, infatti, dice che il film lo abbiamo fatto in 3/4. Poi le riprese dalla grotta le ho fatte da sola. Gesù è stato il primo montatore di Across.
E tutti questi montaggi ci hanno aiutato a capire. Io solitamente monto sempre quello che giro. In questo caso lo facevamo nella notte. E questo mi ha permesso di scoprire che c’era un buco narrativo. Sarebbe stato strano fare queste domande a qualcun altro.
Progetti futuri?
Questo è un cantiere costante. Ho due/tre film in mente, ma vediamo cosa succederà. Across l’ho iniziato nel 2015 e ho finito quest’anno, quindi vediamo.
Vuoi mettere in gioco le tue competenze di marketing e data analysis? Il tuo momento è adesso!
Candidati per entrare nel nostro Global Team scrivendo a direzione@taxidrivers.it Oggetto: Candidatura Taxi Drivers