Dopo la Settimana Internazionale della Critica, Life Is Not a Competition, But I’m Winning approda su Mubi. Il doc, opera prima di Julia Fuhr Mann, ribalta con lungimiranza la prospettiva di genere del concetto di competizione sportiva:
se la Storia è scritta dai vincitori, che ne è di coloro a cui non è stato mai permesso di partecipare alla gara?
Un collettivo di atleti queer entra nello stadio Panathinaiko di Atene (qui nacquero i primi giochi olimpici dell’era moderna) per onorare e rappresentare tutti coloro che non hanno mai potuto far parte del gioco.
Life Is Not a Competition, But I’m Winning è un lavoro felicemente atipico. Moderno, visivamente attraente nella costruzione della riflessione che imbastisce: un viaggio nel passato e nel presente dell’agone sportivo sotto la lente dell’atletica e del genere.
I futuri atleti dei prossimi millenni, i nostri eroi queer, si intrufolano nelle immagini d’archivio dei giochi olimpici, terreno di contesa in principio esclusivamente maschile, nel quale le donne a fatica sono riuscite ad inserirsi.
La linea sottile che unisce la narrazione è la falsa propaganda di uguaglianza dei corpi nello sport: dietro la maschera, pregiudizi sull’inferiorità fisica delle donne e l’irremovibilità del divario binario di genere.
Apprendiamo che nel 1928 i primi 800 metri contesi da 9 donne sono stati anche gli ultimi che le hanno viste coinvolte. Passeranno ben 32 anni prima di rivederle nuovamente correre questa distanza. Conosciamo Stella Walsh, una record woman dell’atletica dei primi del ‘900 dalla ‘doppia identità’. Nel nostro tempo ritroviamo invece Amanda Reiter, che incarna al meglio l’impotenza di una runner transgender (un’amazzone, come ama definirsi) contro una burocrazia che tarpa la sua voglia di correre e di vincere. Fino ad Annet Negesa e la sua terribile vicenda umana e sportiva: mezzofondista ugandese con un disturbo XY dello sviluppo sessuale ed un livello di testosterone naturale nella gamma maschile.
Unione utopica radicale
Come Julia Fuhr Mann ha dichiarato, l’approccio alla concezione e realizzazione di Life Is Not a Competition, But I’m Winning è stato differente rispetto a come in generale le questioni associate alla comunità queer vengono affrontate. Era fondamentale non restare imbrigliati narrativamente nella sofferenza dei protagonisti: abbracciare quella prospettiva, paradossalmente, avrebbe allontanato maggiormente l’accento su di loro. La regista ha invece puntato, vincendo indubbiamente la sua sfida, sulla rappresentazione compatta, coesa, degli esclusi, pensati come il futuro dell’umanità, il futuro dello sport. Un’utopia che appare l’inevitabile evoluzione della nostra specie. Una potente premonizione: il futuro (anche dello sport) sarà transgender. I suoi precursori si stagliano come profeti su ciò che è stato e su ciò che attualmente è.
La troupe del doc ne riproduce la filosofia alla base anche nella sua composizione: esclusivamente donne e persone queer. Esigenza maturata per creare la giusta atmosfera interiore, basata su chi vive una condizione marginale da sempre.
Una questione di stile
Life Is Not a Competition, But I’m Winning affascina per uno stile di rappresentazione eccellente. Tutto è curato nei minimi dettagli: dagli stessi protagonisti e il loro look, a un campo di inquadratura mai banale, sempre sottile ed arguto nello stimolo visivo di ciò che decide di osservare. I luoghi deputati ai cd. giochi sportivi assumono per la prima volta una reale identità, privati di veli di apparenza e mistificazione. La colonna sonora è un contrappunto in chiave moderna ad ogni passo del racconto. Dal montaggio dei filmati d’archivio e contemporanei, alla fotografia, il doc incarna al meglio tutta l’utopia e la preveggenza di cui si fa portatore.
La regista Julia Fuhr Mannha studiato filosofia, letteratura, sociologia e, a seguire, documentario, all’Università della televisione e del cinema di Monaco. Curatrice del Festival di Cinema Femminista Bimovie, è parte dell’organizzazione Queer Media Society. Il suo cortometraggio Riot Not Dietè stato presentato in oltre 60 festival internazionali (compreso Hot Docs Documentary Film Festival), aggiudicandosi numerosi premi.