Alla 80° Mostra Internazionale D’Arte Cinematografica di Venezia, Matteo Garrone presenterà in concorso il suo undicesimo film: Io Capitano.
Il lungometraggio racconterà la storia di Seydou, un giovane senegalese, che intraprenderà insieme al migliore amico, un terribile viaggio dal paese d’origine per arrivare in Europa. Nel tragitto finale, in mezzo al mare mediterraneo, Seydou dovrà prendere il ruolo di “capitano” del barcone dove sta viaggiando, per salvare la vita agli altri passeggeri.
Il tema del viaggio (e più in particolare, dell’immigrazione), non è una novità nel cinema del regista romano. Anche quando non è al centro delle vicende raccontate, rimane sempre un tema ricorrente (metaforicamente o meno), in tutti i suoi film.
Il mondo diegetico è infestato da questo spirito portatore di inquietudine, ma anche rinnovamento, che possiede i personaggi spingendoli a compiere azioni impensabili nella loro quotidianità. Questa, altro non è che la speranza.
Il viaggio inizia da qui: dall’irrefrenabile desiderio di sbloccare quella granitica immobilità in cui vivono i protagonisti all’inizio della loro storia.
Se il “Viaggio Dell’Eroe” è alla base di ogni storia alla base dei tempi, Garrone lo ha modernizzato, portandolo nel cinema italiano per parlare del mondo in cui è nato e cresciuto e i suoi abitanti.
Roma, la sua provincia, quella italiana più in generale.
Matteo Garrone: tra documentario e fantastico
La filmografia di Garrone si dipana in due anime diverse: il documentarismo e la fiaba.
Dall’avvento del nerorealismo, nella storia del cinema italiano è avvenuta una divisione, spesso inconciliabile almeno per la critica, tra realismo e fantastico.
Per decenni, i registi del fantastico vennero rilegati sotto l’etichetta di “cinema di serie B”, Mario Bava e Lucio Fulci in primis.
Tra i più noti del cinema d’autore, solo Fellini riuscì a essere considerato per il suo impiego del realismo magico nei suoi film, pur se, a volte, con qualche riserva da parte della critica, nelle opere di maggiore stravaganza: vedasi Giulietta Degli Spiriti (1965).
Garrone è al giorno d’oggi il vero discendente artistico del maestro riminese, proprio per la mescolanza di vero e fantasioso, delicato e grottesco presente nelle sue opere.
Ma non solo, Garrone riprende le vicende dei suoi film da eventi reali (il “nano di termini” nell’Imbalsamatore, 2002) o situazioni più generali (l’immigrazione nelle periferie in Terra Di Mezzo (1996) e Ospiti, 1998), ma comunque rimandanti a una realtà ben precisa e localizzata. Queste divengono fiabe, partendo dalle azioni dei personaggi, che ricercano un qualcosa di irreale (per gli standard da cui sono vissuti e partiti), indefinito e immaginifico.
Mentre in Fellini ritornava sempre l’onirico come ricordo del passato, il fantastico di Garrone si presenta piuttosto come un sogno per il divenire; un futuro immaginato, ma irrealizzabile per fattori esterni o barriere dell’inconscio.
Illusione e realtà
Le armi sono l’oggetto magico che incanta i giovani criminali di Gomorra (2008), spingendoli a sognarsi come gangster capaci di soggiogare tutto e tutti grazie alla potenza di fuoco. Il loro sogno terminerà proprio a causa di altre armi da fuoco, in mano a mafiosi navigati che hanno superato l’illusione e sono quindi capaci di utilizzarle oltre la loro fascinazione spettacolare.
Questa divisione tra bello/immaginifico e grottesco/realista crudo è esemplificata ulteriormente dalla regia di Garrone.
In un primo momento abbiamo visto l’euforia dei giovani sparare sulla spiaggia, esibendo i loro corpi atletici, in un piano sequenza che amplifica da vicino l’esuberanza della violenza. La loro morte però, non avviene durante una battaglia epica, e i loro sicari non presentano niente di esteticamente bello nei loro corpi. Tutta la scena finale gioca su riprese a grado zero, freddamente descrittive di una morte anonima, seguita da una sepoltura altrettanto anonima, se non disumana. La violenza armata ha mostrato il suo vero volto.
Lo stesso si può dire di Marcello in Dogman (2018), che sognando un futuro insieme alla sua tenera e solare figlia, durante le luminose immersioni subacquee o il lustro delle gare di toelette per cani, vede questo sogno spegnersi nella violenza a cui è portato nella grigia periferia, di fronte ai soprusi e l’indifferenza di chi ritiene suo amico.
In Reality (2012) Luciano viene stregato dal provino per il “Grande Fratello”. Il sogno di entrare in televisione, lo porterà alla pazzia facendogli credere di essere circondato dalle telecamere del programma. Per adempiere interamente al suo sogno, abbandonerà la famiglia a Napoli per immergersi nelle illusioni di fama propinategli dal mito di Roma città dei VIP.
Il suo principe azzurro, porta Viola (Il Racconto Dei Racconti, 2015) a finire in sposa di un vero e proprio orco, vivendo con lui in una grotta immersa in un paesaggio selvaggio e duro.
Su questo caso, si può fare un paragone tematico con la trama di Primo Amore, che parla dello stesso argomento delle relazioni tossiche, e della violenza sulla donna.
In entrambi i film, per liberarsi dalla prigionia, le due principesse devono abbassarsi al livello dei loro aguzzini, uccidendoli. In un certo senso, si sono fatte in parte orchesse. Hanno compreso che la legge del mondo fa uso della violenza per stabilire l’autorità.
Viola non è più succube del padre (che è tra l’altro fisicamente morente), come quando ha cercato di convincerlo a parola a non lasciarla andare via con l’orco. Per dimostrare la sua forza e divenire regina, ha dovuto portare la testa sanguinante dal marito di fronte alla corte, che ora si inginocchia a lei.
Il viaggio non è quindi solo uno spostamento fisico (in questo caso, casa-letto coniugale-ritorno al focolare), ma psicologico ed esistenziale. Sonia e Viola sono sopravvissute al loro sogno, hanno padroneggiato la fiaba di cui sono protagoniste. Hanno intrapreso un viaggio personale che le ha fatto comprendere cosa desiderassero veramente: non la bellezza, ma la libertà.
Solo uscendo dalla proiezione dei desideri altrui, divenuti immaginario, i protagonisti riescono a divenire reali, individui completi e pensanti autonomamente.
Mentre Marcello, Marco e Ciro, hanno fatto ricorso alla violenza soltanto perché gli è stata suggerita da altri (gli amici del bar in Dogman e la cultura delle armi in Gomorra), le due donne sono partite da una condizione di passività imposta, a una di attività autonoma. Per raggiungere l’obiettivo però, hanno dovuto prima intraprendere un viaggio nella caverna del loro peggior nemico. I protagonisti maschili degli altri due film avrebbero dovuto allontanarsi da essa, ma non si sono resi conto di stare essendo trascinati nel baratro della sua oscurità.
Psicogeografia e ambientazione
Il dispiegarsi della trama è condito da descrizioni d’ambiente, che danno voce ai luoghi in cui avvengono. Non limitandosi a semplici suggestioni visive, i quartieri popolari, i paesaggi di provincia e quelli naturali sono parte integrante della psicologia stessa dei personaggi.
Gli spazi liminali, le loro architetture brutaliste e brutalizzanti, materializzano la condizione psicologica dei personaggi, dando motivazione al loro desiderio di muoversi, senza doverlo spiegare a parole.
Matteo Garrone riprende il concetto situazionista di “psicogeografia” e lo motiva narrativamente. I protagonisti dei suoi film non possono stare fermi perché la bruttura generale che li circonda (o è dentro loro), genera in loro un’ansia esistenziale, spingendoli a ricercare la bellezza.
Un viaggio pericoloso
Una volta incontrata, questa abbaglia in un singolo istante il/la protagonista, che inizia il suo viaggio per inseguire quella splendida illusione. Un fattore scatenante tipico della fiaba, calato in contesti reali e tangibili (L’imbalsamatore, Primo Amore, Estate Romana, Dogman) oppure direttamente fiabeschi nel caso di Il Racconti Dei Racconti o Pinocchio.
Così Peppino si invaghisce di Valerio perché è tutto quello che non è lui stesso: alto, bello, forte. Valerio a sua volta viene affascinato dalla bellezza di Deborah e dal desiderio di mettere su famiglia con lei. I due giovani dovranno porre fine al sogno di Peppino insieme alla sua vita per realizzare il loro.
Marcello ha un complesso di inferiorità nei confronti di Simone, ma inconsciamente lo ammira e vorrebbe essere capace come lui di farsi rispettare. Questo si vede nella scena seguente alla sua uscita dal carcere, dove cerca di atteggiarsi a bullo per avere i soldi indietro da lui, ma fallendo miseramente. Il punto di svolta di Dogman sta nella purezza di sua figlia Alida, che facendo leva sulla tenerezza paterna di Marcello verso lei e i cani, lo spingerà a cercare di liberarsi del rivale uccidendolo.
In Pinocchio (2019), il burattino di legno capirà finalmente di voler diventare umano e di prendersi cura del suo babbo, solamente dopo aver visto in tutta la sua bellezza eterea la Fata Turchina cresciuta. Gli ambienti polverosi e poveri del paese dove Geppetto lo ha scolpito, sono antitetici al paesaggio bucolico della casa dove vanno a vivere insieme dopo essere sfuggiti alla balena. Se in un primo momento era stato Geppetto a prendersi cura del figlio, ora che lui è divenuto un vero bambino e compreso l’empatia umana, Pinocchio è divenuto il bastone della vecchiaia di suo padre.
Corpo come mappa del viaggio
Come abbiamo visto, le differenze fisiche (e quindi l’apparenza esteriore in contrasto con la persona), sono veicolo della bellezza e quindi del viaggio nei film di Garrone.
Il suo cinema è corporeo, sensibile e materiale. La metamorfosi è la bussola che ci permette di capire a quale punto del viaggio siamo arrivati.
Le due sorelle (Racconto Dei Racconti) sono anziane e zitelle all’inizio della storia, una di loro diventa giovane grazie alla magia di una strega, e quindi può divenire sposa del re. L’altra ricorrerà a una misura estrema per cercare di imitarla, finendo soltanto per morire. Questa a sua volta, ritornerà al punto di partenza ritornando vecchia, a causa del senso di colpa per averla abbandonata.
Sonia (Primo Amore) viene costretta a dimagrire per cercare di piacere a Vittorio. Pinocchio è una storia interamente basata sulle trasfigurazioni corporee del protagonista.
Si può notare come le trasformazioni con connotati dolorosi, siano quelle che portano i personaggi a cambiare.
Solo dopo essere diventata uno scheletro vivente, Sonia comprende quanto sia tossica la sua relazione con Vittorio. Dopo che sua sorella si è fatta scorticare, Dora ritorna a essere la vera sé. Solo dopo che il suo volto è stato tumefatto dai pugni di Simone, Marcello trova il coraggio di ideare un piano per ucciderlo.
Il dolore è catarsi, ma anche lo spettatore deve sentirlo appieno per fare parte della storia. Da qui, la preferenza per la camera a mano in non poche di questi film (Gomorra, Dogman e Primo Amore in primis), col suo sguardo ondulatorio e nevrotico. Essa aumenta il grado di partecipazione di chi vede, personificando le immagini come se fossero la soggettiva di uno spettatore agli eventi, dentro la scena ma terzo ad essi.