
Anno: 2012
Durata: 110’
Genere: Dramma
Nazionalità: Spagna/ Usa / Messico
Regia: Antonio Méndez Esparza
Le voci del Messico presenti a Cannes, quest’anno, erano tante e diverse: fra queste, un’opera prima essenziale, quasi documentaristica, firmata dal regista spagnolo Antonio Méndez Esparza, dal titolo Aquí y Allá, si è aggiudicata il premio della Sémaine de la Critique (Nespresso Grand Prize), la sezione festivaliera ideata e curata dal Sindacato francese dei Critici cinematografici, che ha premiato anche Sophia’s Last Ambulance di Ilian Metev (France 4 Visionary Award) e God’s Neighbours di Meni Yaeshuno (Prix SACD).
Aquí y Allá descrive – in modo apparentemente semplice e lineare – uno spaccato di vita nel villaggio messicano di Guerrero (l’aquí del titolo) dove un bel giorno fa ritorno Pedro, giovane uomo emigrato in USA (l’allá) clandestinamente per lavorare ed assicurare un futuro migliore alla sua famiglia rimasta a casa: le due figlie, lasciate da piccole, sono così cresciute che neppure riconoscono questo padre-fantasma, che non riesce a ritrovare un ruolo nella vita quotidiana del villaggio e nel cuore della sua famiglia. Ed è qui dove vuole portarci il film, all’interno di un dramma collettivo (l’emigrazione dalla povertà, con la speranze di una vita migliore) che smembra gli affetti familiari, che indebolisce o recide i legami, che mette a dura prova la lotta quotidiana di chi non si arrende ma che, per questo, deve pagare spesso un prezzo molto alto. È anche la storia di tanti che, forzatamente, abitano fra due mondi diversissimi e non ritrovano più la loro identità in nessuno dei due. Teresa, la moglie di Pedro, lo accoglie, pur convinta che lui abbia un’altra donna in America e, a poco a poco, le cose sembrano riassestarsi: arriva un nuovo bambino, Pedro compra degli strumenti musicali per mettere su la banda che ha sempre sognato, cerca di lavorare nei campi, unica fonte di sostentamento quando il raccolto è florido (altrimenti c’è la fame e la miseria).

Il regista, Méndez Esparza, prende spunto per il film dall’incontro reale avvenuto col giovane Pedro, che lavorava all’epoca come commesso in un magazzino di New York, con il quale avvia un’amicizia e gira un cortometraggio, creando a poco a poco lo script della pellicola oggi vincitrice della Sémaine. “Con Pedro, il protagonista, abbiamo costruito la storia di questo film – racconta il regista – e volevamo che fosse il più trasparente possibile. Si tratta di un’opera sulla nostra vera casa, e sui sentimenti che si hanno di essa quando siamo lontani, sul tornare a casa, ed indossare di nuovo i propri panni, continuando però a pensare al luogo dove siamo stati (l’America nel film) come un’ombra che ci sovrasta”.
Di fatto quasi non c’è storia, forse il film è davvero troppo minimalista, ma ottiene ciò che si prefigge, una descrizione autentica e non edulcorata, che lascia vedere qualcosa di cui difficilmente si parla, un aspetto intimo della dura realtà, uguale, disgraziatamente, in tanti e tanti luoghi del mondo.
Elisabetta Colla