Calabria Movie Film Festival

‘HUB – Sulla propria pelle’, la recensione del cortometraggio di Francesco Barozzi

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Distribuito da Sayonara Film, HUB – Sulla propria pelle è un cortometraggio del 2022 diretto da Francesco Barozzi, attualmente in proiezione a Crotone al Calabria Movie Film Festival.

HUB – Sulla propria pelle si presenta come uno spaccato di vita sulle condizioni precarie dei lavoratori durante la crisi sanitaria da Covid-19.  Premiato nella categoria “Fulgor” all’Amarcort Film Festival di Rimini, dove è stato presentato in anteprima assoluta, presenta un cast d’eccezione: Angela Ciaburri, famosa per aver recitato nella serie televisiva Gomorra, e Giuseppe Sepe, noto attore teatrale che aveva già lavorato in diversi progetti di Barozzi.

HUB – Sulla propria pelle: La sinossi

Nel mondo del delivery,  come quello Amazon, “l’hub”, che significa “centro” o “fulcro”, indica il luogo transitorio in cui un oggetto viene raccolto prima di essere spedito a destinazione. Il mondo di Angela (Angela Ciaburri) e Beppe (Giuseppe Sepe), i due protagonisti, ruota attorno proprio a un hub: la loro roulotte. Parcheggiata vicino alla società per cui Beppe lavora, essa funge da sorta di “trampolino di lancio” da cui cercare di cambiare la loro vita.

Angela e Beppe vivono ai margini della vita quotidiana: lui lavora sempre di notte, mentre lei si sente sola e invisibile, intenta a cercare aiuto. Purtroppo, le intenzioni di chi si dimostra altruista non sempre sono le migliori.

La roulotte: simbolo di soffocamento ed emarginazione 

Come già anticipato, la roulotte rappresenta l’elemento principale del cortometraggio, un centro gravitazionale che funge da separatore tra il mondo del lavoro – il capannone con i suoi turni infiniti, le campanelle e le pettorine gialle – e quello domestico, dove l’affetto della famiglia e la tranquillità del riposo fortunatamente non vengono a mancare.

Nonostante non sia una vera e propria dimora, il veicolo viene utilizzato come residenza, risorsa per la coppia, luogo in cui può ripararsi. Tuttavia, questo luogo trasformato in casa accogliente, spesso può fungere anche da prigione. Il simbolo di una vita in pericolo e sospesa nell’incertezza.

Chiusa nella sua gabbia, Angela guarda il treno che si dirige verso la città e spera, un giorno, di passare da una situazione di emarginazione sociale a un posto in cui sentirsi sicura e utile; proprio come il treno che passa, portando i passeggeri in un luogo pieno di vita e possibilità. Tuttavia, questo desiderio è costantemente messo in pericolo dalla situazione economica in cui due protagonisti vivono e dai pericoli che circondano la roulotte. Tre lavoratori della società in cui lavora Beppe, che hanno appreso la situazione difficile della coppia, si presentano da lei fingendo di conoscere il caporeparto e promettono di darle un lavoro, sfruttando la sua situazione, e allo stesso tempo, nascondendo il loro scopo sessuale. Angela sa tutto e li evita il più possibile finché, successivamente, tutti e tre non torneranno, confermando che una piccola roulotte non può fornirle una protezione sufficiente.

Una storia fragile sul precariato durante il COVID-19

C’è un grande divario tra ciò che la storia vuole rappresentare e i dialoghi che tentano di esprimerlo. Alcune conversazioni risultano forzate, talvolta troppo teatrali. Vi sono sicuramente volti che si distinguono, come quello di Angela Ciaburri. La fotografia, tuttavia, riesce a rifarsi. Essa coinvolge lo spettatore a livello emotivo, esprimendo un senso di disperazione ma anche di rassegnazione che caratterizza i protagonisti. Il messaggio arriva forte e chiaro, e i suoi simboli risultano decisamente d’effetto ma, talvolta, il mezzo non è sufficiente a rendere alcuni dei personaggi credibili, facendo sembrare la storia per certi versi debole.

Il personaggio sicuramente più interessante, e forse il più riuscito, è appunto quello di Angela. Mostra i suoi timori al compagno quando inizia a temere per la propria incolumità e sa che la parete di una roulotte durante la notte non è sufficiente come difesa. Lo invita a pensare se accontentarsi di un solo stipendio continuando a vivere in quel posto, oppure lasciare tutto e sperare di trovare una nuova opportunità altrove. La paura che prova Angela all’interno della roulotte è vera, soffocante e persistente. 

Beppe è sicuro che le cose cambieranno, ma intanto Angela vive in bilico, sospesa nell’incertezza più totale, poiché disoccupata e rinchiusa in uno spazio angusto. Questo conflitto non fa che danneggiare la coppia, ma è un conflitto che, a quanto praticità, nasconde una dimensione esistenziale dove nessuno vince. E, di fatto, Beppe, impaziente di comunicare ad Angela che è stato assunto, trova la roulotte vuota quando oramai è troppo tardi. 

Non a caso, “Se sparisco domani, nessuno se ne accorge”: sono le parole che Angela ha pronunciato a Beppe la sera prima di scomparire. Il finale aperto consente diverse interpretazioni sulle possibilità effettive di riscatto sociale dei personaggi e fa riflettere sulla sottile linea che separa il successo dal fallimento.

Una realtà struggente che viene scoperta e che aggredisce i suoi protagonisti, mentre in sottofondo riecheggia Ragione e Sentimento di Maria Nazionale. Un quadro che cerca di dare voce a una condizione già esistente, ma ulteriormente esacerbata con la pandemia. Angela e Beppe non sono gli unici a vivere tutto ciò; attorno a loro, una piccola comunità sradicata che campa alla giornata, preparando il caffè nel parcheggio, o cantando e divertendosi insieme per trovare un po’ di spensieratezza.

Nonostante i dialoghi deboli, HUB – Sulla propria pelle riesce facilmente a far trapelare, tra fotografia, ambientazioni e suspense, il suo messaggio. La storia di Angela e Beppe non è altro che quella di molti lavoratori, che senza scelta arrancano, vivendo letteralmente ai margini della società da anni, in particolare nel mondo post-pandemico.

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