Locarno Film Festival

‘Z.O.’, ecco perché il corto di Loris Nese su Salerno è stato premiato a Locarno 76

Un corto su Salerno est in cui s’intrecciano con ruvido realismo memoria e immaginario

Published

on

È una questione di orgoglio. Parlare di Z.O. del regista salernitano Loris Giuseppe Nese, classe ’91 e già buona esperienza (Sundance, Venezia, Torino), significa innanzitutto rivendicare l’orgoglio di quello spicchio d’Italia che ha ben figurato alla 76esima edizione del Festival di Locarno. Il bel cortometraggio, montato e prodotto dalla conterranea Chiara Marotta (Lapazio Film), nonché impreziosito dalla voce di Francesco Di Leva, è stato infatti premiato dalla Giuria Giovani nel concorso internazionale. È questione di orgoglio, o appartenenza, anche quella rivendicazione nel titolo – l’allusione, sin da subito esplicita, alla Zona Orientale di Salerno.

È proprio con immagini di archivio della città campana che s’avvia il film, sulle note dolci di una nenia al pianoforte. Senza volerlo davvero, e senza saperlo nemmeno, quell’archivio era già più poesia che documento. L’estratto che fa da prologo a Z.O. fu realizzato dall’attuale sindaco Enzo Napoli quando era assessore all’urbanistica, per la regia di Vincenzo Bassano e i testi di Epifanio Ajello. Vi si contestava il piano regolatore della città, la cui dolcezza della collina che s’inerpicava sulla striscia parallela al litorale veniva turbata dalla proliferazione di zone residenziali: Torrione, Pastena, Mercatello. E chi più ne ha, per favore, non ne metta, perché quegli “agglomerati caotici” – così dice la voice over – generavano una Salerno squilibrata, nel disordine: “una Salerno di cartone… quasi una finzione della memoria, potenzialmente già in rovina”. Da qui parte Loris G. Nese: tra cartone e cartolina, tra animazione e realtà, tra finzione e memoria. Se si preferisce, tra appartenenza e alienazione.

Il trailer di Z.O.

La trama di Z.O.

Bambolina passa le sue giornate con Biscotto e Banana in circolo di tifosi. La scoperta di una scatola piena di petardi crea l’occasione per mettere in piedi una bravata, dietro cui in realtà si nasconde un ordine partito dai piani alti: la criminalità organizzata a cui sono legate le famiglie dei tre adolescenti. È il momento di una resa dei conti tra Bambolina e Biscotto, separati da un conflitto che ricalca quello tra i loro genitori. (Sinossi ufficiale. Fonte: Lapazio Film)

Bambolina e barracuda

Si chiama Bambolina, ma a scanso di equivoci è un ragazzo. Già inconfondibile per un tic all’occhio, era stato così soprannominato per “i capelli da femmina”. È a lui che Francesco Di Leva, premiato ai David 2023 come miglior attore non protagonista in Nostalgia, presta la voce narrante che accompagna il cortometraggio. Voce perfetta: perché tra raucedine e militanza cinematografica – si pensi al recente La cura di Francesco Patierno – il tono risulta perfetto per evocare storie di malavita. Dal mezzo racconto di Bambolina, narrato per fotografie, filmini un po’ stinti e ricordi più ammiccati che spiegati, emerge un mondo di barracuda (i volti dei giovani protagonisti sono quelli di Tancredi Marotta, Lorenzo Filosa e Francesco Cifelli). Alle spalle della Costiera Amalfitana, c’è questo sommerso di criminalità a far da sfondo a questo piccolo diario della resa dei conti.

Un calcio ai rancori

Ma tante pagine sono scritte d’inchiostro granata. C’è la passione per la Salernitana, la squadra di calcio, con tanto di storico club dei tifosi. Che, un po’ come la città, alterna fioriture a momenti di abbandono. I tre ragazzotti che giocano ai videogame, saporitamente vintage come il bigliardino del club, ricreano sul divano della stanzetta saghe calcistiche che evocano la passione condivisa.

Nella realtà, però, così come la città si disarticola dal punto di vista urbanistico, le ferite sociali restano e divaricano. Faticando, lì un po’ ai margini, a rimarginarsi; anche dove il calcio unirebbe. Di qui, la piccola storia di vendette e sgarri tra Bambolina e Biscotto, con le colpe dei padri che ricadono sui figli, si abbozza con efficacia intrecciando memoria personale e collettiva, in una finzione profondamente realistica. Roba da scatenare il tifo cinematografico degli appassionati di cinema.

Occhi bianchi sul pianeta Salerno

Il lavoro di squadra di Z.O. va infatti felicemente a segno. La scrittura di Loris G. Nese e il montaggio di Chiara Marotta si contrappuntano felicemente per non lasciare l’abbozzo a bozzetto: la storia schianta, sa percuotere anche in quattordici minuti. Similmente, in maniera forse decisiva, Z.O. riluce per il per il perfetto lavoro “tattico” tra immagine e suono. La caratteristica principale del corto è quella di aver scelto di far gemmare l’animazione dalla realtà, trasfigurando la zona orientale e i suoi luoghi simbolo nell’allucinazione filmica, ma lasciandone un’ossatura tangibile. Il bianco e nero appunta i propri toni chiari su occhi e labbra dei protagonisti, facendosi quasi carnoso, tendineo.

È un’animazione materica, pastosa, in cui i pixel volgono quasi in gesso o tempera. A questo ruvido linguaggio, così connotato, anche il suono apporta fisicità. Oltre alla musica di Raffaele Caputo, colpisce l’incisività di certi scarti sonori: come il ticchettio nervoso delle dita sui joystick o l’evocazione di una cornice che si rompe (sulla testa di Bambolina). Salerno è così un pianeta, o un microcosmo – ma non è a gravità zero: Loris G. Nese ci fa atterrare, ci fa appartenere a questo non-territorio, sospeso tra il cinema e il reale, tra il vissuto e l’immaginato. Evviva i suoi occhi da zona orientale: occhi da regista vissuto.

Exit mobile version