La giuria internazionale presieduta dall’attore francese Lambert Wilson ha assegnato il Pardo d’oro del 76° Locarno Film Festival a Mantagheye bohrani (Critical Zone), di Ali Ahmadzadeh, costretto a restare in Iran per negazione del visto e già sottoposto a interrogatori dalle forze del regime, da tempo informato che il film è stato girato senza le autorizzazioni specifiche delle autorità politiche e religiose.
Un’opera girata illegalmente, con una produzione ridotta e rischiosa che deve aver fatto presa, per la sua portata politica e per l’urgenza nel presente, sui criteri valutativi dei giurati, tra i quali si segnala la presenza dell’attrice iraniana Zar Amir Ebrahimi, Palma d’oro per la migliore interpretazione femminile a Cannes 2022 con Holy Spider di Ali Abbasi.
Se però Holy Spider, duro e notevole thriller di denuncia del patriarcato, era stato girato in Giordania per aggirare i veti artistici della dittatura, a firma di un regista espatriato in Danimarca, Critical Zone è un viaggio al termine della notte in un’autentica Teheran di anime morte, un taglio visivo radicale e calamitante sotto la fitta coltre della censura, un coraggiosissimo e meritevole baluardo di resistenza per la libertà espressiva, ma anche un (cine)occhio che può uccidere i suoi realizzatori.
Nelle note di regia che accompagnano il film, Ali Ahmadzadeh ha infatti dichiarato:
Girare questo film è stato una ribellione. Farlo vedere è per noi una vittoria ancora più grande.
Sinossi
Amir, un giovane che vive da single nella capitale iraniana, viaggia in auto di notte per le strade della città, fornendo stupefacenti a uomini e donne che trovano nelle sostanze una valvola di sfogo ai loro baratri interiori, una dimensione di sopravvivenza alla vita sotto la dittatura.
Nascondendo accuratamente la droga in cioccolatini, Amir dispensa pace dei sensi a queste anime tormentate (anziani in un ospizio, ma soprattutto donne), guidato all’interno del veicolo dal GPS, che gli segnala anche i blocchi di controllo nelle prossimità. L’incontro con un’assistente di volo narcotrafficante segna un episodio particolare per Amir, ma sarà l’aiuto offerto alla madre di un tossicodipendente a rivelare i risvolti più tragici di un’intera nazione perseguitata.
Un’ardita produzione thrilling
Critical Zone, la zona critica. Quella penetrata dalle cineprese nascoste del regista, costretto anche a ricorrere a una handycam bel occultata in una sequenza in aeroporto; quella popolata da figure incarnate da persone reali e non da interpreti (ad eccezione dell’attore protagonista); quella profanata con una narrazione audace di contenuti scabri resa possibile solo con false autorizzazioni e corruzioni di agenti di polizia, come racconta al Festival di Locarno il produttore del film, Sina Ataeian Dena, da tempo trasferitosi in Germania:
Direi che l’intera lavorazione è stata come un film di spionaggio. Ali Ahmadzadeh ha approfittato di questa adrenalina del cast e della troupe, per raccontare quello che voleva dire come regista.
Ma la zona critica è anche quel paesaggio antropologico di dissesto psicologico e dipendenze tossiche setacciato nel suo sfrecciare rapidissimo da Amir per le strade metropolitane, semideserte e spettrali, riprese in una complessiva fluidità formale, in realtà l’ennesimo versante di una produzione difficoltosa e obbligatoriamente sperimentale, come spiega ancora Sina Ataeian Dena:
Diventi creativo quando hai a che fare con situazioni ed elementi imponenti. Ha diviso il film in dieci cortometraggi, ciascuno con la propria produzione e postproduzione e alla fine abbiamo messo insieme il film che vedete adesso. Non in un tempo di ripresa standard, ma durante un tempo molto lungo. La troupe era molto piccola: l’attore principale, il regista, un cameraman e un fonico.
Filmare la notte collettiva senza fine
In un intreccio inestricabile e simbiotico tra condizioni lavorative, politica culturale ed espressione cinematografica (identitario nei film recenti perseguitati dal regime iraniano), fuoriesce un inabissamento cupissimo e claustrofobico nei meandri dello stato di oppressione, con una tensione narrativa adrenalinica e ansiogena al tempo stesso.
Neppure i toni messianici e consolatori del protagonista, un driver solitario e affabile senza passato, riescono a risollevare una galleria di ritratti ai limiti dell’esistenza, ben caratterizzati da una scrittura che li rende emblemi di exempla rovesciati, dove qualsivoglia salvezza nell’umano è ormai preclusa e ci si può affidare solo alle alterazioni della mente.
Le luci artificiali smorzate in una fotografia asciutta e livida, che elude per limiti di mezzi e per scelta figurativa ogni forma di iperrealismo che tanto ha prevalso nell’immaginario dei nostri road movie urbani occidentali, captano la solitudine più oscura e la depressione fagocitante di un consorzio umano oppresso nell’invisibilità infernale dei desideri e delle personali possibilità.
La regia di Ali Ahmadzadeh, che non aspira al semidocumentario, lavora sapientemente sulle tensioni generate dal fuori campo a cui accenna la voce artificiale del GPS, tesa a potenziare la cappa infernale e minacciosa che serpeggia come un virus nel ventre di una Tehran sopita, invisibile, rassegnata.
Persino le incursioni nel visionario (come in una sequenza eroticamente allusiva e schizoide che ha creato non pochi problemi al regista in patria), i movimenti di camera car convulsi e antirealistici, le angolazioni ardite, rovesciate, vorticose, più che ampliare le porzioni di sguardo fuori dall’abitacolo, svelano il cuore affaticato di Critical Zone, che come i tormentati che raccatta è intaccato da una tristezza senza lirismo, da un’intensità prosciugata, da una coscienza civile senza utopia, da cui poco si affranca l’ambivalente finale, che chiamando in causa le conseguenze dello spaccio di Amir si allarga alle storture violente dell’intero sistema.