Prima della recensione
American Animals è un film del 2018 scritto e diretto da Bart Layton, ispirato alla vera storia della rapina avvenuta nel 2004 alla Transylvania University di Lexington.
Prodotto dalle case RAW, AI Films e Sierra Films, il lungometraggio è stato distribuito nelle sale italiane dalla Teodora Films il 6 giugno 2019. È stato oltretutto presentato nel gennaio dell’anno precedente al Sundance Film Festival.
Nel cast figurano Barry Keoghan, Evan Peters, Blake Jenner, Jared Abrahamson, Ann Dowd e Ugo Kier.
Il film è attualmente reperibile in streaming sulla piattaforma Prime Video.
La trama
Lexington, Kentucky. Spencer Reinhard (Barry Keoghan) è uno studente d’arte che vorrebbe qualcosa di eccitante nella sua vita troppo ordinaria, così da poter accendere la sua stessa creatività.
Warren Lipka (Evan Peters) è uno studente ribelle con una borsa di studio di atletica, anche se non gli interessa molto lo sport e sta frequentando il college solo per compiacere la sua famiglia.
Dopo aver visitato la collezione di libri rari della biblioteca della Transylvania University, i due progettano di rubare una preziosa edizione di The Birds of America di John James Audubon ed altri libri rari.
Tra docu e drama
Bart Layton riconferma la strategia narrativa già ampiamente sperimentata nella sua opera prima The imposter-L’impostore. Siamo inizialmente di fronte a un tipico film narrativo. In questo caso un riflessivo ma intrinsecamente comico heist movie, che dovrà ben presto confrontarsi con la realtà nuda e cruda esposta dagli stessi protagonisti di quella fatidica rapina, ricostruita contestualmente attraverso canoniche interviste frontali davanti alla cinepresa.
Durante le interviste non vengono poste domande. Il ricordo riemerge da sé, visualizzandosi come un flusso inesauribile di rimorso e delusione, oltretutto trascurando quella limpidezza di dettagli che incrementerebbe soltanto una generale aura di negatività. La verità nei suoi più minuti dettagli non è importante: c’è solo la volontà di intrattenere e, soprattutto, di non dimenticare. American Animals è il doloroso memoriale di quattro vite andate in pezzi a causa di un atteggiamento profondamente nichilistico e rinunciatario nei confronti delle istituzioni e dei loro costumi.
Il film si esalta grazie a una regia estremamente concisa e obiettiva, che riesce a far leva contemporaneamente sul senso di pietà dello spettatore e sull’indiscutibile assurdità della situazione, percepita come un’inutile prova di forza. A condire il tutto vi è infine un sottile strato di sarcasmo, che passa gradualmente dall’irriverenza dei personaggi all’insormontabilità di un contesto socioculturale che rende possibile anche bizzarrie di questo genere. Si è dunque invitati a percorrere, insieme ai protagonisti, una tortuosa via di riscoperta e rivalutazione, per giungere a una catarsi che non vuole affatto rivitalizzare lo spirito, ma che vuole anzi tenerlo sotto scacco.
Chi ha il pane non ha i denti?
Come mai, dopo vent’anni esatti, una storia simile può risultare così attuale e indurre a una perfetta identificazione con quei quattro “malcapitati”?
Quella di Spencer, Warren, Chas ed Eric è una vicenda che stupisce non tanto per i fatti in sé, quanto per il carattere e le doti di chi ha deciso di addentrarvisi fino in fondo. Si tratta di quattro studenti del college promettenti e destinati, almeno sulla carta, a futuri brillanti. A sentire le loro stesse testimonianze verrebbe inevitabilmente da invidiarli, da odiarli addirittura.
Nonostante ciò, il film, come già detto, ci fa empatizzare con la loro sofferenza e con il rimpianto di aver indebitamente buttato via una vita intera, senza una giusta controparte. E tutto questo nasce da un intrinseco senso di inutilità, di spiazzante ordinarietà, che porta prima Spencer, e poi gli altri, a lanciarsi in questo delirio di onnipotenza che non tiene conto di nulla e di nessuno.
É tempo di schiarirsi le idee
È dunque giusto pensare che la causa di tutto questo sia un generale benessere che, tralasciando i tanti problemi irrisolti, ha reso i nostri protagonisti apatici, svogliati e arroganti? Eppure, non appena si presenta una vera opportunità in cui credere, nessuno di loro rinuncia ad alcun tipo di sforzo e perversione. Non sembra, dunque, di essere di fronte a persone che indugiano, anzi… Ma allora cosa li ha spinti così lontano, senza alcuna chance di ritrattare la propria tesi?
Non rimane che incolpare le istituzioni, garantiste di un apparato culturale e burocratico che le nuove generazioni, abituate a un mondo di ben altre potenzialità, potrebbero non (voler) comprendere. Ma ciò darebbe effettivamente conto di come sia stato facile portare avanti un piano simile?
L’unica certezza è quella di dover ampiamente riflettere su una vicenda che, sulla scia dei tanti e storici casi di “colpo perfetto” (i quali hanno generosamente alimentato Hollywood, come ad esempio Formula per un delitto), rivela delle falle sistemiche su tutti i fronti coinvolti. È tempo di schiarirsi le idee.