Dopo Alice in Borderland, Netflix decide di puntare nuovamente sul mangaka Haro Aso adattando questa volta il suo Zombie 100 – Cento cose da fare prima di non-morire. Quello che ne esce è un film – diretto da Yusuke Ishida e disponibile dal 3 agosto sulla piattaforma – dissacrante e divertente che, sebbene incapace di smarcarsi da un filone abusatissimo, riesce comunque a portare avanti un discorso tutto sommato non banale sulla contemporaneità e i mali del sistema. Giapponese e non.
Zombie 100 – Trama
Il giovane Akira (l’attore e modello Eiji Akaso), fresco di laurea e pieno di aspettative, viene preso nell’azienda dei suoi sogni. Ben presto però si rende conto che il mondo del lavoro non è tutto rosa e fiori e lo sfruttamento è sempre dietro l’angolo. Dopo un anno fatto di straordinari non pagati, notti massacranti in ufficio e pensieri suicidi ecco che arriva, però, salvifica, l’Apocalisse. Finalmente Akira può non andare a lavoro senza sensi di colpa e, soprattutto, può avere il tempo che fino a quel momento gli era mancato. Quale occasione migliore, allora, per stilare una lista con le cento cose da fare prima di diventare cibo per zombie?
Zombie e capitalismo
Pare seguire alla lettera il vecchio adagio per cui sarebbe più facile immaginare la fine del mondo che quella del capitalismo, Zombie 100. È proprio alla luce di questa massima che va infatti in scena l’avventura tragicomica di Akira, impiegato sfruttato e a un passo dal burnout di colpo catapultato nel bel mezzo dell’ennesima apocalisse zombie. Un immaginario abusatissimo (da The Walking Dead a Benvenuti a Zombieland, passando per 28 giorni dopo) cui si accompagna, però, una riflessione semplice ma mai davvero banale su un sistema che imprigiona chi vi sta dentro, impedendogli di realizzare sogni, aspettative e progetti.
Un’intuizione felice
È così che Akira coglie la palla al balzo dell’apocalisse per poter fare quello che ha sempre sognato ma che non ha mai avuto il tempo, il coraggio o l’ambizione di fare. Un’impostazione che ribalta la regola cardine del genere (sopravvivere a ogni costo), in favore di una libertà senza più limiti e confini. Un cambio di paradigma che modifica anche la struttura stessa del racconto e i suoi espedienti narrativi (la lista delle regole per sopravvivere di Zombieland sostituita con quella delle cose da fare prima di diventare zombie). Dalla paura al desiderio, dunque, dal dramma a una commedia sopra le righe che non disdegna i momenti più assurdi (fino a lambire i territori di Sharknado) ma non cede mai completamente alla parodia pura.
Tra satira e luoghi comuni del genere
Il risultato è così un’avventura che se da un lato ricalca i classici del genere, compresi gli horror asiatici degli ultimi anni (da Train to Busan ad #Alive), dall’altra se ne serve per imbastire una critica divertente e divertita sull’attualità. Una satira immediata ed efficace su un intero sistema, che Ishida, nella sua trasposizione, cerca di non pervertire o snaturare, sebbene paghi l’inevitabile tributo a un immaginario cinematografico ormai imperante e che non accenna a dare segni di cedimento. Che sia più facile immaginare la fine del capitalismo che quella degli zombie movie?