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Interviews

Intervista a Tummolini e Merone

Un altro pianeta è stato presentato alla 65° Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia, nella sezione Giornate degli Autori dove ha vinto il Queer Lion Award.
Abbiamo incontrato il regista, Stefano Tummolini, e l’attore/protagonista, Antonio Merone.

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Trama: Salvatore fa una lunga passeggiata in spiaggia, ha voglia di trascorrere un pò di tempo da solo con i suoi pensieri. Un incontro inaspettato, però, lo costringerà a fare i conti con il suo passato e gli consentirà di aprirsi nuovamente alla vita …

Mi ha colpito molto l’incipit del film, la macchina da presa si muove in un modo quasi febbrile, tu pedini il personaggio. Non lo abbandoni mai, ad eccezione di alcuni momenti. Mi pare che ci sia una rispondenza tra la regia e il percorso di Salvatore, che è, in sintesi, un percorso di autoconsapevolezza: la prima sequenza del film è un esempio significativo di regia non gratuita perché trova piena giustificazione nel senso della storia.

Tummolini: Lo stile deve essere funzionale al racconto a meno che il senso del film non sia legato ad una sperimentazione formale e in qualche modo il contenuto non è che l’aspetto secondario ma quelle sono altre operazioni. Io volevo raccontare una storia, dei personaggi per cui non avrebbe avuto senso fare il virtuoso con la macchina da presa; oltretutto non avevo mezzi a disposizione: forse c’è una sequenza in cui mi sono permesso un piccolo virtuosismo ed è quella in cui Salvatore rivede Cristiano e cammina sul bagnasciuga. Quella è stata fatta con una steady cam; Roul Torresi, l’operatore, è stato abilissimo: in quel caso ha dovuto quasi correre intorno agli attori perché per quanto loro camminassero lentamente andavano in direzione opposta; quella sequenza ha richiesto una certa rielaborazione e non ringrazierò mai abbastanza Roul che nel film è riuscito a fare miracoli con niente. L’incontro è anche e una piccola citazione di un film di Fassbinder, Marta; qui l’incontro avviene sulla scalinata di Trinità dei Monti e si capisce subito che è un incontro stregato.

Il pedinamento, in effetti, è vero e si sente molto soprattutto nella prima parte del film; io praticamente lì faccio il voyeur, seguo Salvatore in mezzo alle fratte: questo è uno dei momenti che mi piace di più a livello visivo, trovo che l’immagine sia ben costruita.

L’idea del pedinamento è stata una cosa che ho rincorso per un pò, mi sarebbe piaciuto raccontare la storia senza soluzione di continuità, stando sempre con Salvatore, senza ricorrere a cesure di tempo e spazio. Ad un certo punto, però, mi sono accorto che non ce la facevo, che quello che volevo raccontare mi richiedeva dei momenti di pausa, degli stacchi. La storia aveva bisogno di digressioni. Le cesure di tempo mi sono servite per dare uno scarto psicologico ai personaggi e a allora è stato necessario sacrificare l’idea del pedinamento iniziale.

Gli ambienti hanno un ruolo tutt’altro che secondario. Instauri un rapporto con i luoghi quasi intimo. Allo spettatore restano impresse quelle dune…

Tummolini: La località in cui abbiamo girato il film è Capocotta, vicino Ostia. È un posto veramente fuori dal mondo. È un altro pianeta nel senso che quando sei lì non senti neanche i rumori della spiaggia, non senti il mare ma solo silenzio. Poi c’è anche una sospensione morale. Nel senso che è un pò la terra di nessuno, dove puoi fare incontri inaspettati: insomma è uno spazio un po’ al di fuori del luogo quotidiano che ha delle leggi a parte e sicuramente è proprio il cuore del film. Perché il titolo, oltre ad avere un valore metaforico (la storia di due mondi diversi che si incontrano, ndr) è anche la storia di quel luogo. Si trova a due passi dalla città ed è una giungla dove le leggi che normalmente regolano i rapporti inter personali vengono messe un da parte.

Nell’ultima sequenza risulta ormai evidente il rapporto di Salvatore con il passato. Come mai hai ricorso ad un’apparizione?

Tummolini: È stato Antonio a suggerire l’apparizione. Inizialmente io volevo mantenermi su un piano di realismo totale per cui quell’apparizione fantasmatica mi sembrava fuori corda. Però lui insisteva nel dire che il film aveva bisogno di un momento di emozione più forte e che questa emozione poteva arrivare solo attraverso la visualizzazione di questo fantasma, più volte evocato. Io ho posto molta resistenza, poi alla fine ho ceduto e non mi sono affatto pentito perché quasi tutti quelli che hanno visto il film mi dicono che è il momento più emozionante.

L’incontro ravvicinato con la donna, forse rappresenta anche un’elevazione nel percorso di Salvatore? L’apertura all’altro, all’inedito, è sempre una crescita.

Merone: Qualcuno ha detto che l’ultima scena è una scena di sesso. è una consolazione di solitudine piuttosto. C’è sicuramente una riconciliazione con il passato. Qst personaggio trova una strada per continuare a vivere, nel consolare un’altra persona bisognosa di calore. Vivere entrando in comunione: questa è una strada per metabolizzare il dolore.

Il personaggio anche nella scena d’amore, non ha un orgasmo, il suo è più un atto di generosità…

E infine è un’evoluzione perché lei ha un senso sociale più spiccato. È più educata, colta e in questo senso ricorda l’ex fidanzato.

Tummolini: e non è un caso che proprio durante l’amplesso lui riveda il suo ex. Durante un momento di condivisione. È anche il momento di rielaborazione totale del lutto: lui si riscopre ancora capace di amare.

Salvatore è un personaggio molto problematico. Lo spettatore avverte il suo dissidio interiore, e in qualche modo ne è partecipe. Qual è stato il tuo approccio al personaggio? Come lo hai affrontato?

Merone: Questo personaggio l’ho costruito su un vero disagio interiore, su una vera sofferenza. Quindi c’è stata una totale compenetrazione. È un personaggio molto costruito e nell’avvicinarmene mi sono preoccupato di trovare il modo più giusto per trasmettere la sua sofferenza.

Abbiamo lavorato molto di maschera, in questo Stefano mi ha aiutato molto. Volevo mantenere nell’espressione il rigetto che sentiva, la diffidenza, questa durezza, il disgusto. In fondo quello di Salvatore è un personaggio meraviglioso, è una vittima. Non è un santino, però. E non è neanche univoco, Salvatore mi diverte perché è anche pieno di contraddizioni.

In che termini hai collaborato alla sceneggiatura?

Merone: Innanzitutto, l’idea del film nasce perché avevamo voglia di lavorare insieme…

Sicuramente il mio apporto è stato fondamentale nell’evoluzione dei personaggi, nel tracciare il loro percorso psicologico. I protagonisti vivono in una dimensione mentale particolare e la difficoltà era rendere chiara e il più possibile verosimile questa realtà. Un personaggio ben scritto è più facilmente interpretabile. In questi dieci anni avevamo fatto solo una sinossi. Io ho insistito per scrivere una sceneggiatura, convinto del fatto che così avremmo trovato un produttore. Cosa che non è successa. Poi, sulla sceneggiatura definitiva iniziammo con un altro cast ma non andò a buon fine, le persone erano troppo impegnate e il progetto è saltato. Trattandosi di una cosa che ci stava molto a cuore, abbiamo ripreso la sceneggiatura in mano, riunito il cast e fatto tantissime prove. Stefano aveva con sé uno storyboard di una gran parte del film. Sono state fatte prove come in teatro. A tavolino. Poi in un centro sociale, riimmaginando gli spazi, poi in loco con il direttore della fotografia/operatore, solo così siamo riusciti a portare a casa il film in una settimana effettiva di riprese.

Stefano parlami del lavoro con gli attori e in particolare del tuo lavoro con Merone. Lui ha concorso alla costruzione del personaggio ma concretamente, sul set, come ti sei comportato?

Tummolini: È stata una bellissima esperienza, ho avuto un rapporto diverso con ogni attore.

Quando incontrai per la prima volta Lucia Mascino, l’approccio non fu positivo. Poi passò del tempo, il progetto l’avevo accantonato e quando lo ripresi, con l’idea di finirlo, una mia amica mi ha riparlato di lei. Io non me ne ricordavo. Quando ci siamo riincontrati ci siamo piaciuti subito. Poi il personaggio è cambiato anche perché lei ha messo del suo.

In generale, però, è stato molto faticoso. Per esempio Antonio è un attore abbastanza indomabile. Non si abbandona. È molto difficile conquistarsi la sua fiducia. Sul set abbiamo molto discusso. Però è anche bello e fertile avere un contraddittorio continuo perché questo ti costringe a mettere alla prova le tue idee sul personaggio, a porti dei dubbi. Per cui per quanto scomodo, ti costringe a dare il meglio di te stesso. Sia come direttore di attori ma anche come autore.

Insomma, sei un regista democratico, che si lascia completare dagli attori…

Tummolini: Io credo di si ma chiedilo agli attori…

Merone: io avevo tempi molto stretti, che normalmente un attore non ha. Stefano ha dimostrato un rigore, una severità che mi ha sbalordito. E proprio grazie a questo atteggiamento siamo riusciti a terminare il film. Ci facevamo coraggio a vicenda. Tutti sapevamo in quale direzione volevamo che andasse anche il film.Una volta abbiamo incontrato un produttore che voleva che la storia virasse più verso l’erotico e non siamo stati d’accordo. Poi hanno chiesto a Stefano di usare tutto un altro cast di attori. In quel caso io ero d’accordo: pur di vedere il film finito avrei rinunciato anche alla mia parte da protagonista.

Tummolini: Per me non avrebbe avuto senso fare il film con altri attori. Era nato da un’esigenza comune per cui sarebbe stato snaturato…

Trattandosi di un progetto di dieci anni fa, che rapporto hai con questa materia, oggi?

Tummolini: Io ad un certo punto non ne potevo più di questo film. Arriva un momento in cui perdi le speranze. Mi ero quasi arreso. Quando invece è giunta la notizia di Venezia me ne sono riinnamorato, soprattutto perché rivedendolo in pellicola e sul grande schermo è stato come riscoprirlo. È stato come rivederlo per la prima volta. E adesso ho ancora voglia di rivederlo.

Com’è avvenuto l’incontro con il produttore, Angelo Draicchio?

Tummolini: Tramite Maurizio Ponzi, che è amico di entrambi, persona con la quale, tra l’altro, ho lavorato. Fu lui a presentarmi Angelo, che ha amato il film e ha deciso di investire dei soldi per la post produzione audio e video e per fare la copia in pellicola.

Uno sguardo sulla situazione attuale del cinema italiano

Tummolini: Il problema è che la situazione è in mano a persone incompetenti. E sono a maggior ragione contento dei risultati che abbiamo ottenuto. Anche se ci sono voluti tanti anni.

Merone: È una situazione di inquinamento. Ormai gli attori sono quei personaggi che provengono dai reality, ho l’impressione che non si vada più alla ricerca del talento. Ma del viso conosciuto, che fa presa sul pubblico. E inoltre, un altro problema dell’Italia, è la poca versatilità: non c’è un mutuo rapporto tra cinema e teatro, per cui gli attori si prestano ad una o a un’altra cosa; in questo senso il film di Sorrentino è stato un miracolo. Dieci anni fa non glielo avrebbero mai fatto fare.

Quali sono i vostri progetti futuri?

Tummolini: Ho tanti soggetti, vari trattamenti nel cassetto. Un film fatto con queste modalità oggi sarebbe impensabile. È una fatica che ci si può concedere una sola volta nella vita per cui mi piacerebbe trovare un produttore.

Merone: Adesso farò un corrispettivo di Un altro pianeta ma in teatro (Under My Skyn, regia di Daniele De Plano, in tournée tra Milano, Firenze e Roma, al teatro Colosseo dal 19 gennaio 2009; ndr). Cambia l’autore, cambia la regia però è la stessa operazione, siamo solo due attori. Si tratta di uno spettacolo in cui crediamo molto e che è nato un pò di tempo fa per una rassegna curata da Rodolfo Di Giammarco.

Edvige Liotta

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