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‘Mission: Impossible 1’ – il Thriller Hitchcockiano
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1 anno agoon
Su Sky sbarca Mission: Impossible 1.
Ispirata alla serie anni 60’ di Bruce Geller, l’unico film diretto da Brian De Palma è l’inizio della saga e dell’iconico personaggio di Tom Cruise: Ethan Hunt. Scritto dal premio Oscar Robert Towne, è come tutti i film prodotto dalla Paramount e dalla casa di produzione di Cruise, la Wagner Productions. Nel cast Jon Voight e Jean Reno nei villains principali, Vanessa Redgrave, Emmanuelle Béart, Ving Rhames e Henry Czerny.
Il trailer di Mission: Impossible 1
Mission: Impossible 1 – Svuotare il corpo, riempire il volto
Mission: Impossible 1, oltre ad essere un film De Palma fino al midollo, ha nelle sue origini lo svotamento, almeno nella sostanza, dell’eroe di gomma interpretato da Cruise nei film avvenire. La performatività dell’Ethan che tutti noi amiamo e conosciamo, qui viene svuotata in favore di un Cruise in una delle sue più grandi interpretazioni espressive. Lascia da parte infatti la propria biomeccanicità. Fa parlare il volto e lo fa mettendosi nelle mani di uno dei più grandi esecutori della suspence cinematografica, almeno della New Hollywood. De Palma infatti sviluppa una trama cospirativa facendola vivere molto poco nelle esplosioni e nel dinamismo esasperato di Ethan, ma molto in ciò che la mimica del nascente eroe ci dice e prova.
Adottando vari primi piani e soprattutto obliqui e supini, registra una tensione che vive dello sguardo di Cruise ogni volta che attacca di campo-controcampo con gli altri personaggi con cui si interfaccia. Mirabile è la scena del suo primo confronto con il direttore dell’IMF, Eugene, all’interno di un ristorante. Prima di essere incolpato ed etichettato come traditore, De Palma si serve delle strette inquadrature sui due attori per costruire, accellerare e spezzare la tensione. Una obliquità delle inquadrature che il regista di Scarface userà in dose massiccia ogni volta, e quindi spesso, che il personaggio di Cruise si troverà alle strette col significato del suo ruolo all’interno del sul intrigo internazionale.
La lezione di Alfred Hitchcock
Che De Palma sia un noto estimatore del maestro della suspence, è cosa nota. Così come lo è anche la sua ossessione di portare tecniche e sue grammatiche fino all’eccesso. In Mission: Impossible 1, lo fa con le porzioni giuste, avendo sempre in mente la storia di Ethan, e non di MI, che è una spy story a tutti gli effetti ma scegliendo il piano del thriller inglese come epicentro dell’agire di Ethan. Non solo facendo vivere espressivamente il film con la maschera emotiva di Cruise, ma rendendo l’opera iper tensiva e strutturalmente inquietante. Perché ci vuole coraggio. E De Palma lo ha da vendere, ad applicare a un film di portata blockbuster, tecniche particolari e che muovono la cifra del film più che il suo contenuto. Pensiamo a quella scena straordinaria in cui Ethan incontra gli ex agenti dell’IMF per un accordo.
De Palma poteva benissimo riprenderli già in macchina, e invece decide di fare questa soggettiva tutta in camera a mano mentre Ethan sale e guarda i suoi interlocutori, inscenando una implicita interpellazione nei nostri confronti. E ancora il fattore treno, uno degli esempi più evidenti del thriller hitchcockiano depalmiano. La scena finale sul treno ad alta velocità Londra-Parigi, diventa un’altra metafora della vita/viaggio e della casualità del destino. E campo della lotta e della fuga. Come del resto avviene nei due film di Alfred Hitchcock L’altro uomo, Il club dei 39, e in Mission: Impossible 1. Dove Ethan deve far fronte al redivivo villain Phelps e tener fede alla sua integrità verso l’IMF.
Intrigo Spy Story
Il film, come è evidente per quasi tutti i film di Brian De Palma, vive del rifacimento di strutture hitchcockiane a discapito della trama stessa. De Palma nei fatti è più interessato a sorprendere lo spettatore più che rendere avvincente la trama. Ovviamente Mission: Impossible 1 ha i suoi indubbi punti di forza che ti aspetteresti da un action cospirativo. L’eroe, qui Ethan, ostaggio del sistema, il suo fuggire tra i due mondi dei servizi segreti americani, e la difficoltà nel distinguere il falso dal vero. La trappola in cui cade Hunt all’inizio film fa scatenare nel personaggio di Cruise la voglia di vederci chiaro e giocare nel gioco.
Diventando pedina e poi merce di scambio grazie alla sua impossibile arguzia nel crearsi situazioni di baratto. Si veda il furto a Langley e il possesso della lista degli agenti CIA sotto copertura. E Jon Voight, assieme a Reno, fa sempre la sua straordinaria figura. La sua maschera da vittima e poi doppiogiochista è incalzante per come riesca a essere un fenomenale contraltare per Ethan. Efficace nemesi che nei capitoli successivi non verrà riproposta così efficacemente. E non manca nemmeno la mission impossible girl, qui interpretata da Emmanuelle Béart, capace di far battere il cuore ad Hunt ed essere nel contempo parte dell’intrigo cospirativo ai suoi danni.
Il blockbuster d’autore
Gli elementi del classico spy movie quindi non mancano. Quello che manca, ma è un’assenza voluta, è una spy story che viva di azione e crescendo filmico. De Palma invece, scegliendo di relegare Mission: Impossible 1 alla suspence, lo fossilizza a una tensione che nella seconda metà del film è abbastanza irrealistica. Come l’impossibile e trash sequenza della rincorsa fuori dal treno tra Ethan e Phelps, che ricordano tardivamente l’assetto che avrà il franchising cinematografico nei futuri capitoli. Esplosioni, vie di fuga improbabili e Tom Cruise incolume. De Palma sembra quindi, in particolar modo dopo il secondo atto, coerente col cinema hitchcockiano ma anche in qualche misura debitore e inventore del corpo biomeccanico di Ethan. Vitale nel rendere possibile l’impossibile. Sfida anche le regole della fisica, e il riferimento è allo stesso Hunt all’interno di Langley e le sue acrobatiche imbracature per riuscire a rubare il dischetto.
Con Mission: Impossible 1 Brian De Palma attiva una delle più importanti saghe del cinema hollywoodiano. Dà le origini al personaggio di Ethan Hunt, costringendo Cruise a recitare e solo dopo attivare il dinamismo del corpo. Un primo capitolo ricco di suspence e costruzione del divo americano.