L’uomo sulla strada, il film Gianluca Mangiasciutti è uno dei tre lungometraggi, opere prime, presentato durante la seconda giornata del Saturnia Film Festival, la kermesse itinerante presieduta da Antonella Santarelli con la direzione artistica del regista Alessandro Grande.
La storia, è quella di Irene interpretata da Aurora Giovinazzo, che vive perseguitata dal senso di colpa per non riuscire a ricordare il volto dell’assassino del padre, un pirata della strada che fugge dopo averlo ucciso, Irene diventa una adolescente ribelle e introversa con l’unica ossessione di farsi giustizia. Abbandona la scuola e trova lavoro nella fabbrica di proprietà del glaciale e affascinante Michele interpretato da Lorenzo Richelmy.
Abbiamo incontrato il regista, Gianluca Mangiasciutti per parlare del suo film.
La tua collaborazione con Aurora Giovinazzo è iniziata da molto tempo nonostante lei sia molto giovane. Avete iniziato quando lei aveva 12 anni con il tuo cortometraggio, possiamo parlare di un sodalizio duraturo?
Mi piace molto come recita Aurora, ho scritto una cosa per lei che mi piace anche molto di più del suo ruolo nell’Uomo sulla strada e sarà forse il mio prossimo film con lei.
Si tratta di un progetto più complicato per lei, un film estenuante per un attore e penso che sia quello che avrei sempre voluto fare con lei.
Avendola diretta da quando aveva 12 anni con il cortometraggio che abbiamo portato alla Mostra del cinema di Venezia sono un po’ come un fratello maggiore.
Tra le cose il suo è un bel personaggio femminile, una figura forte e luminosa… non a caso in un mondo grigio è l’unica che sorride e che è in grado di far sorridere Michele…
Per lei è stata la prova del nove perché era il primo film da protagonista ed ha raggiunto un bel livello di recitazione. Quando sorride si illumina ed illumina il film.
Perché hai deciso di non mostrare mai la faccia del padre nel film ?
La figura del padre principalmente non si vede per scelte produttive.
Volevamo un cameo che vedesse la partecipazione di un attore famoso, o comunque molto riconoscibile che non abbiamo poi trovato nei tempi di realizzazione del film.
Oltre a questo ci sono anche delle ragioni legate alla sceneggiatura; volevamo rappresentare il mistero che rimane dopo la scomparsa di una figura cara nei ricordi di un bambino.
Nel tempo, questa figura rimane sbiadita e se ne perdono i contorni.
Anche per quanto riguarda l’assassino che Irene cerca per tutta la vita, ne ha un ricordo molto labile ed è la ragione per cui si colpevolizza e prova sempre questo senso di rabbia.
Durante il film si vede Irene che disegna su un taccuino il volto delle persone che incontra.
Lo fa per stimolare la memoria.
Spera che un connotato le faccia affiorare alla memoria un indizio dell’assassino del padre.
L’evento tragico, crea un legame tra Irene, Michele e Laura che condiziona la vita di tutti. Michele in particolare si autoinfligge delle punizioni nel desiderio di espiare le proprie colpe. Forse il matrimonio con Laura è uno dei tanti modi che usa per punirsi.
Si è così!
Michele è devastato da quanto è accaduto e rinuncia a vivere, tra lui e Laura c’è come un patto di riconoscenza e lui la sposa anche se non è innamorato.
Laura è l’unica che sa tutto di Michele e si accontentano di un rapporto senza amore.
Mi è piaciuta la fotografia del tuo film, mi sembra ispirata dal cinema americano e comunque, a parte questo abbastanza poco vista nel cinema italiano.
In particolare la sensazione che ho avuto e che i luoghi dove hai girato diventino, secondari, anonimi quasi ostili grazie ad un bel lavoro sulla luce e questo appiattimento è funzionale al racconto del dramma interiore dei personaggi.
Il direttore della fotografia mi è stato presentato dalla Eagle Pictures ed ho trovato subito una sintonia sui gusti.
Gli ambienti del film erano basilari ed erano per me una estensione del copione.
Cercavo location asettiche.
Sono contento che ti sia arrivata questa cosa perché era voluta.
Il film potrebbe essere stato girato in Germania come in Francia, in Olanda o in Italia.
E’ un non luogo come un rendere, una scatola dove si inseriscono i personaggi e si fanno recitare. Come in Manderlay il film di Lars von Trier.
Ad esempio il diner è il rifugio di Michele quando sta da solo, ovvero la maggior parte del suo tempo, abbiamo cercato un posto come quello che effettivamente in Italia non è facile trovare ed alla fine siamo andati in un Burger King e lo abbiamo smantellato inserendo le tipiche sedute accanto alle vetrate come nei diner americani. Non cercavamo location di impatto visivo ma location funzionali al racconto.
La parte migliore del tuo lavoro è il finale che di norma è la cosa che mette in crisi tutti i film. Questo finale era pensato già così oppure nel corso del film è stato modificato?
Il finale doveva essere così già dall’inizio, ma a metà delle riprese la produzione ha pensato ad una modifica relativa all’incidente.
Questa modifica, che non ti sto a raccontare, avrebbe portato un ulteriore colpo di scena.
Che forse sarebbe stato interessante, ma alla fine ha prevalso il fatto che la storia d’amore tra la ragazza e l’assassino dovesse essere il perno intorno a cui girava la storia.
Sono anche fortunato ad aver lavorato con Roberto Proia, il mio produttore che è una persona per la quale provo grande stima ed affetto.
Roberto ha amato il mio film in modo viscerale da subito e non mi ha mai abbandonato dal primo giorno di riunione con gli sceneggiatori fino alla prima proiezione a Roma. Un vero produttore che lavora con passione.
Si ringrazia il Saturnia Film Festival per la realizzazione della intervista
“L’uomo sulla strada! È stato presentato al festival giovedi 27 luglio.