Sarà Niccolò Falsetti, regista grossetano, unico rappresentante del cinema italiano alla Settimana della Critica della Mostra del Cinema di Venezia 79, l’ospite speciale della quarta giornata al Saturnia Film Festival, la kermesse itinerante presieduta da Antonella Santarelli con la direzione artistica del regista Alessandro Grande.
Sabato 29 luglio alle 21.00 in piazza del Castello a Montemerano l’autore presenterà al pubblico Margini (Italia, 2022, 91’), sua fulminante opera d’esordio candidata ai Nastri d’Argento e ai David di Donatello 2023.
Protagonisti sono Michele, Edoardo e Iacopo, tre amici grossetani parte di un gruppo street punk hardcore che vengono chiamati ad aprire il concerto della band americana Defense in tournée europea. A seguito della cancellazione della data, a Michele viene in mente di invitare il celebre gruppo a suonare a Grosseto, nonostante manchino il locale, l’impianto e i soldi per i trasferimenti. L’impresa diventa quindi il centro del film, tra le dinamiche dei ragazzi con le famiglie e le aspettative e i sogni da realizzare. Ne abbiamo parlato con il regista Niccolò Falsetti.
Alla fine del film si vede una copia del Tirreno (il quotidiano locale) che dà la notizia del concerto come un evento che ha sconvolto Grosseto. Mi ha fatto ridere perché per me che sono cresciuto in Toscana dare la notizia in una realtà di provincia dove non accade quasi nulla ha qualcosa di tenero. Mi è piaciuto molto come hai asciugato la parte del concerto perché alla fine la cosa importante era il viaggio, l’organizzazione del concerto. Nella preparazione c’è un ritmo fortissimo e vorrei capire come sei riuscito ad imprimere questo ritmo a tutto il film; quale è stata l’alchimia che avete trovato tra la recitazione e la scrittura per ottenere il risultato.
Per la preparazione dei personaggi all’inizio dovevamo capire quale linea emotiva doveva seguire il film. Sapevamo che sul finale volevamo che ci fosse quella vena di amarezza data dal fatto che i ragazzi in qualche modo pagavano con la loro amicizia il prezzo per aver organizzato questo concerto. Fare le cose non basta, farle insieme è la cosa più importante per una band di questo tipo.
Il concerto è l’obiettivo del film dunque, rimane l’obiettivo orizzontale ma perde proprio di pregnanza perché poi, alla fine, suonare è quello che conta veramente.
Suonare, avere una band e stare insieme. Suonare il più possibile. Edoardo e Michele trovano una grande energia e sul finale chiaramente c’è un cambio di passo importante, perché tutto quello che era stato “caricato a pallettoni” nella prima parte del film, deve avere maggior agio nella seconda parte. Questo lo prevedeva proprio la sceneggiatura, avevamo bisogno che gli attori avessero grande credibilità e grande autenticità, che lasciassero trasparire il senso dell’amicizia e soprattutto che capissero come suonare quella musica e come rappresentare quel mondo. Perché il pubblico al quale ci siamo rivolti è sempre stato quello che abbiamo rappresentato nel film, che poi è il nostro mondo di provenienza, ovvero la scena underground.
Un pubblico per il quale volevamo essere rispettosi e che volevamo omaggiare al meglio. Quindi, quando abbiamo scelto gli attori, abbiamo voluto persone con un grande autenticità. Abbiamo scelto attori che anche nella fisicità si staccassero un po’ da quei personaggi generalmente scelti per rappresentare le sottoculture che diventano poi degli stereotipi.
Francesco è il primo personaggio che abbiamo scelto (la sceneggiatura parte infatti dal suo personaggio) perché ha uno sguardo buono e intorno a lui abbiamo costituito il trio.
Emanuele e Matteo, pur con percorsi un po’ diversi, avevano qualcosa per cui riuscivano con la loro fisicità e con il loro modo di fare, ad accompagnare nutrire i personaggi di una naturalezza che ci serviva.
Una volta scelti i personaggi abbiamo messo da parte la sceneggiatura per passare alla sala prove. Gli abbiamo messo gli strumenti in mano; grazie a Dio suonavano tutti! Francesco suona la chitarra, quindi ha dovuto fare un corso di batteria molto intenso.
In sala prove ci stavo sempre anch’io, non a caso mi chiamavano il quarto dei “FOR NOTHING”.
Stavo sempre con loro, cercavo durante le prove di prepararli alla recitazione e lavorare sul testo; cercavamo insieme di trovare la postura del cantante e cercavo di lavorare sulla fisicità perché un conto è riuscire a suonare e un conto è dare l’idea che tu lo faccia da sempre e davvero. Questo ha creato un legame molto forte tra loro e ha permesso poi di lavorare sul testo.
Ha dato loro delle posture, un modo di porsi, un modo di fare che ha fatto la differenza nel momento in cui siamo andati a lavorare sulle battute. Perché il rischio era fare un film in cui gli attori andavamo a canovaccio.
Li abbiamo lasciati liberi di improvvisare molto, vista l’energia tra di loro, ma allo stesso tempo volevamo vedere se la sceneggiatura sulla quale avevamo lavorato aveva il ritmo, l’intensità dei dialoghi che avevamo cercato.
E durante le riprese ci siamo subito accorti che quella ruvidezza generale funzionava davvero così come era stata pensata.
Nicola Rignanese a che punto è arrivato? Il suo è un ruolo divertentissimo.
É arrivato ultimo, anzi penultimo. L’ultima arrivata in realtà è Amalia, l’impiegata del comune, che è veramente un’impiegata del Catasto della provincia di Grosseto che abbiamo pescato in maniera totalmente casuale. Ci siamo innamorati della sua spontaneità, le abbiamo fatto un provino e l’abbiamo subito inserita nel cast.
Volevo sapere come ha reagito Grosseto alla visione del film dal momento che è stata descritta come “palude di merda “ e nel film gli unici abitanti della città sembrano essere i cacciatori, le mucche ed i luoghi sono lande desolate, una balera tristissima, il circolino Arci. L’hai un po’ massacrata…
La città ha reagito sorprendentemente molto bene in realtà, anche se qualcuno ha detto che abbiamo forzato la sua visione alla necessità della storia, forse perché raccontando la nostra ambizione abbiamo semplicemente evitato di mostrare il centro storico, dove noi invece abbiamo vissuto a lungo, dato che qualcuno di noi abitava lì.
Abbiamo raccontato il nostro modo di essere grossetani, da un angolo più periferico anche se mi fa strano parlare di Grosseto e di periferia, vivendo a Roma dove la periferia è realmente periferia. Grosseto è così piccola che la parola periferia mi fa strano.
Quello che volevamo fare è mostrare una condizione di chi vive e cresce in quella città con uno sguardo diverso dai propri abitanti, e quindi questo sguardo, questa leggerezza e questa diversità doveva passare attraverso il loro sentimento.
La storia è la loro ed è giustissimo per la band chiamare il luogo Palude di merda, non perché lo sia ma perché sarebbe stato poco credibile che dei personaggi del genere non avessero un rifiuto abbastanza radicale di quello che è l’offerta di quel posto.
La prospettiva sulla storia era necessariamente quella dei ragazzi. Quindi tornando alla domanda su Grosseto, siamo stati in sala dodici settimane che è veramente tantissimo.
Per la prima del film a Grosseto abbiamo scelto il cinema del multisala Aurelia antica perché alcune scene del film, quelle con Margherita alla cassa del supermercato, sono state girate lì.
Loro ci hanno messo inizialmente in programmazione solamente per un giorno: il sabato! Questo ha generato degli scontri perché sentivamo che c’era poca fiducia nelle possibilità del film. Poi è partito un grande passaparola ed è stato evidentemente molto efficace perché la permanenza in sala il film se l’è guadagnata a colpi sul campo di sold- out.
Credo sia stato un bel momento per Grosseto che per la prima volta appariva al cinema come protagonista e non come una città di passaggio.
Nei film avevamo già visto e rivisto i borghi meravigliosi, le colline e cipressi della Toscana, luoghi come Siena, le vigne di Scansano e l’Argentario; però Grosseto non era mai stata la protagonista di un film.
Noi citiamo spesso film come Ovosodo e Amici miei come emblema di due realtà in cui si va ad indagare le città per quello che sono e soprattutto si va a vedere come sono le persone che ci vivono.
Anche se personalmente non sono d’accordo con questo paragone ricorrente con Ovosodo; i due film per me sono accomunati solo dal dialetto toscano. Poi il tuo è un film punk!
Anche io non sono d’accordo. Il film di Paolo Virzì lo adoro e mi è piaciuto tantissimo, per me è un onore che Margini sia stato accostato a quel film. Le epoche sono diverse, forse c’è qualcosa sulla commistione di genere. I due film sono commedie drammatiche.
Considero il regista un mostro di bravura in quanto riesce a dirigere anche l’ultima figura e dargli uno spessore che ad altri registi non riesce. A parte questo tono di commedia credo che i film siano molto diversi.
“Noi siamo sempre a due ore da tutto” è una frase chiave del film e segna la prospettiva di una adolescenza vissuta in provincia, due ore per andare al Centro popolare a Firenze, due ore per andare a Roma al Forte Prenestino etc. A Roma hai trovato quello che sognavi o a volte ti manca quello che avevi prima?
Ho un amore odio per Roma, tra me e la città c’è un rapporto conflittuale. L’ho amata quando sono arrivato per la sua straordinaria accoglienza anche se alla lunga svela una certa ostilità. Sono diciassette anni che ci vivo e la trovo, purtroppo, una città abbandonata. Questa trascuratezza la rende un po’ difficile da vivere.
Per il mio carattere ho bisogno di avere una dimensione umana che in una città così grande si perde anche se poi si tende a vivere nel proprio quartiere.
Da un lato il fatto di essere scappato a 19 anni da Grosseto per non essere guardato da dietro le tapparelle e pensare che tutti sanno tutto di me, chi sono, dove sono e cosa faccio, ha significato perdere alcuni legami deboli che fanno parte del vivere in un posto piccolo e che ti danno anche quotidianità e calore nelle relazioni forti.
Vivo a Casal Bertone, ho uno studio al Pigneto e qui ho ritrovato il calore del persone. Scendere da casa e avere un rapporto, darsi del tu con il barbiere del quartiere… alla fine qui ho creato un legame con le persone che ancora a Roma non avevo trovato e che mi riallinea con il mio modo di essere.
Il mio sentimento verso il luogo che ho lasciato alle spalle si può spiegare con il termine del cordone ombelicale elastico, ti lega al luogo dove sei nato, è lungo quanto basta da farti andare via. Poi però tende a farti ritornare nel posto dove sei nato, ci torni e dici ecco perché me ne sono andato…
Per quanto riguarda la scena Punk Hardcore, nel film accenni anche al tema politico. Lo sollevi in modo giocoso quando Nicola Rignanese fischietta Faccetta Nera per prendere in giro i ragazzi dandogli dei fascisti… Éun pensiero comune che il punk sia legato all’ambiente di estrema destra confondendo il punk hardcore con gli skinheads ed i naziskin.
Quello del punk Hardcore è un mondo nel quale ho continuato a vivere sempre da Grosseto a Roma. La scena punk romana, negli anni in cui sono arrivato, era in uno dei momenti più fulgidi.
Poi il cinema ti richiede tanto e con la band abbiamo rallentato i concerti. Però la musica, il punk è stato ed è il primo sottobosco in cui mi sono sentito me stesso. Nelle canzoni trovavo qualcosa che descriveva come stavo veramente, lo sguardo delle altre band sulle cose era il mio sguardo sulle cose.
Con delle forzature dovute alla nostra età e posizione sociale ovviamente perché noi non siamo figli della working class, non voglio fingere di essere altro. Siamo figli della middle class. Abbiamo studiato ed i nostri genitori offrivano attraverso i loro sacrifici la possibilità di studiare. “Studia laureati e vedrai che ce la farai” ci siamo sentiti dire per anni questa innocente, ingenua e folle Bugia.
Non che non servisse, è servito ad altro. In una città come Grosseto tutto questo rompeva la passività: c’era una tensione positiva, ci dicevamo che eravamo “una lattina di coca cola scossa a duemila” pronti a esplodere ed il punk sublimava le nostre energie nella maniera migliore.
Siamo stati molto fortunati in quegli anni perché avevamo una crew, una banda, una vera e propria tribù che ci seguiva dovunque. Eravamo cinque o sei band sempre pronte a condividere tutto. La cosa più bella era però partire da Roma per Grosseto e fare concerti organizzati da noi o da qualcuno della nostra crew.
Questo modus vivendi è andato avanti per tanti anni, poi pian piano si è indebolito il fronte antagonista, non sappiamo nemmeno come sia successo ma si è disgregato il movimento punk. Sono stati anche anni faticosi per chi veniva da una certa area politica in cui ci siamo sentiti più soli, più disillusi.
Ci sentivamo sempre più soli sempre più disillusi e poi in realtà ora stiamo vivendo una fase felice…ai concerti c’è molta gente. Quest’anno per la prima volta a un nostro concerto a Monza e a Torino nel sottopalco c’erano finalmente gli adolescenti.
Avete suonato anche al 30 formiche…
Sì, è stata un’altra grande serata dove abbiamo potuto mantenere la formula musica + film che ci piace molto…
Un altro palco in cui abbiamo suonato con piacere è stato il 25 aprile al Quarticciolo (quartiere di Roma). Una esperienza estremamente positiva, entusiasmante, per la presenza di tanto pubblico, ma in particolare di tanti adolescenti.
In questi ultimi anni nella scena musicale italiana come in quella internazionale si sono imposti altri generi musicali come il rap, la trap. Sono stati questi cantanti a portare gli adolescenti sotto il palco.
Sono generi basati su una persona e il suo legame con il pubblico. Io guardo con attenzione alla musica rap ma sono più interessato alle band, alle posse. Credo che nell’era dei social, la maggior parte di questi cantanti basi il proprio stile e il proprio successo sul rapporto tra singolo e pubblico; il che li allontana molto dal nostro concetto di musica che non è individuale ma esalta il gruppo. Io sono cresciuto con Colle Der Fomento e Metal Carter.
Ci puoi parlare del tuo prossimo film, so che ne stai preparando uno nuovo.
So che c’è attesa per il mio secondo film, l’esordio è stato forte ma il film vive anche delle sue imperfezioni… si sente sincerità, cuore, è un film punk come hai detto tu. Adesso sto guardando al prossimo lavoro. Ho un nuovo film che sta venendo bene, esattamente come volevamo, e ne siamo entusiasti, è un bel progetto.. ti dico che sarà in Maremma negli stessi luoghi del primo, ma non posso dire molto, solo che ci spostiamo dal mondo della musica punk a quello della scuola.
Si ringrazia il Saturnia Film Festival per la realizzazione della intervista
Margini sará presentato al festival sabato 29 luglio.