La 38 edizione della Settimana Internazionale della Critica torna ai fondamentali del linguaggio cinematografico con una selezione che fa dello sguardo il principio della sua ricerca. Del suo programma abbiamo conversato con la delegata generale Beatrice Fiorentino.
La 38esima edizione della Settimana Internazionale della Critica
Sinergica mi pare l’aggettivo più adatto per iniziare a parlare della 38esima edizione della Settimana Internazionale della Critica poiché racconta la sintonia con le altre realtà che assieme a voi concorrono a rendere possibile la Mostra del cinema di Venezia. Parliamo della Biennale e delle Giornate degli Autori.
È vero, anche se devo dire che questa sintonia non è una novità. Nell’assoluto rispetto delle altrui autonomie ci sentiamo parte della Mostra del cinema di Venezia, sapendo che tutti insieme possiamo regalare agli spettatori uno sguardo più ampio, pur mantenendo intatti la nostra identità e i nostri vissuti, come critici, come autori, come istituzioni. Lavoriamo per un obiettivo comune che è quello di fare una Mostra del cinema forte e interessante, capace di dialogare con l’industria e, ovviamente, con gli spettatori a cui tutto questo è destinato. Cerchiamo di operare a sostegno del cinema e al tempo stesso portiamo avanti la possibilità di fare un discorso stimolante.
Una sinergia espressa in maniera concreta con la proiezione speciale di Passione Critica, documentario sui cinquant’anni di storia della critica italiana che verrà presentato in maniera congiunta dai responsabili delle varie sezioni del festival e della Biennale.
Si tratta di un evento speciale che ci tenevamo a presentare in una comunione di intenti con la Biennale e le Giornate degli Autori. Il progetto nasce in occasione del cinquantesimo anniversario del Sindacato Nazionale Critici Cinematografici Italiani da un’idea di Cristiana Paternò ed è firmato da Simone Isola, Franco Montini e Patrizia Pistagnesi. Si sono occupati loro di raccogliere una serie di testimonianze e di voci utili a ripercorrere il passato e a ridefinire il presente. Partendo dalle domande sullo stato di salute della critica e sulle sue prospettive future il resoconto è diventato qualcosa di più. Con le voci di alcuni dei nostri autori più importanti come Marco Bellocchio, Paolo Taviani, Wilma Labate e altri che si inseriscono nel discorso con il loro punto di vista, ne è nata una riflessione sul rapporto, talvolta anche burrascoso, tra critica e autori. Confronto da cui, credo, entrambi siamo usciti arricchiti.
Temi e non solo
Si tratta di un evento necessario in un momento in cui anche la critica è sottoposta a una serie di riflessioni e giudizi che la chiamano in causa rispetto a un cinema che ha bisogno di far sentire la propria voce anche attraverso chi si occupa del linguaggio cinematografico. Parlando di sinergia di sguardi mi pare che l’importanza della Sic sia ancora più centrale rispetto a un festival che ha dovuto fare i conti con le esigenze di mercato. In questo senso la Settimana della Critica, pur non privandosi di cinematografie popolari, mantiene salde le proprie peculiarità continuando a essere fucina di nuove scoperte e nuovi linguaggi che poi è il marchio di qualità della vostra sezione.
Sono d’accordissimo con te. Tutto sommato la nostra è una condizione di privilegio. Compensiamo lo “svantaggio” di essere una piccola sezione con l’opportunità di essere più liberi. Portiamo avanti un discorso che parte dal nostro DNA di critici e dunque da quella centralità dello sguardo che ragiona sulle immagini da un punto di vista teorico, estetico e politico, mettendole in relazione con quello che rimane fuori dallo schermo. Questo parametro vale anche per il cinema perché i nove film selezionati hanno tutti uno sguardo potente sulla realtà e soprattutto si assumono la responsabilità di guardare e interpretare il mondo che li circonda. D’altronde il cinema è una finestra sul mondo, sulla nostra società, ed è importante premiare chi sa cosa vuol dire e conosce la maniera di trasformarlo in cinema.
Il che equivale da parte vostra a tornare ai fondamentali della critica cinematografica. In un cinema in cui tutto è stato raccontato a fare la differenza è lo sguardo, il modo in cui si guarda alle cose e alle persone.
Esatto, sono ancora d’accordo con te. In un momento in cui rischiamo di affogare nello storytelling siamo riusciti comunque a trovare film che lo portano avanti senza rinunciare a dire delle cose del nostro presente. Come succede per esempio in Vermins in cui l’invasione dei ragni in una Banlieue di Parigi, oltre a far sobbalzare dalla sedia lo spettatore, consente di dirgli qualcosa sulla società, su ciò che ci circonda, su cosa succede lì fuori. Il genere lo fa nella forma più pura, in certi casi anche popolare, avendo l’opportunità di raggiungere qualsiasi tipo di pubblico. In questo caso ripristinando i fondamentali del linguaggio cinematografico e dunque rientrando nell’orizzonte che ci eravamo stabiliti di rispettare.
Il cinema di genere alla 38esima Settimana Internazionale della Critica
Le costanti della selezioni sono una forte presenza femminile alla regia, l’alto numero di documentari e come già detto, una particolare attenzione al cinema di genere.
La composizione delle opere selezionate rispecchia in proporzione la quantità, la qualità e la tipologia degli oltre cinquecento film che ci sono arrivati. La massiccia presenza di documentari rispecchia il sensibile aumento di produzione non-fiction che ci ha raggiunti. La scelta di un così alto numero di registe è solo il segno di un movimento in crescita. Non abbiamo forzato la mano, né ragionato in termini di quote perché un festival non è chiamato a risolvere i problemi che stanno a monte delle sue scelte, quanto piuttosto saper riconoscere il talento laddove esiste. La realtà è che, finalmente, un po’ alla volta le cose stanno cambiando. Le donne stanno acquistando maggior consapevolezza e hanno finalmente accesso ai finanziamenti che consentono loro di realizzare ottimi film. Noi donne non chiediamo favori, ma solo di giocare ad armi pari, senza dover combattere sempre contro i soliti ostacoli. È questa la strada verso un’equità e una parità di genere che tutti auspichiamo.
La selezione e i nomi negli anni
Per quanto riguarda il recupero del cinema di genere ognuno di quelli selezionati è diverso dall’altro.
Ti faccio qualche esempio: Le Vourdalak, un film di vampiri tratto da una novella di Toltoj, girato in pellicola, privilegiando una dimensione molto artigianale, facendo a meno degli effetti digitali e recuperando una tradizione che ricorda la lezione di Corman e Bava ma le atmosfere e i colori richiamano anche il cinema del presente di Albert Serra. Dimensione artigianale, ma anche politica. Quello che ci dice questa storia è che forse il patriarcato è vicino alla fine.
Love is a Gun, è un noir che pesca dal reale post-pandemico per una storia popolata di giovani dai destini segnati. Un cinema che guarda alla migliore produzione asiatica degli ultimi anni e decenni: Lee Chang Dong, Diao Yinan, Wong Kar-Wai. Sky Peals è una declinazione di fantascienza intimista che, in chiave metaforica, si interroga su integrazione e identità.
Negli anni la Sic ha selezionato delle opere prime e seconde di giovani autori capaci di imporsi a livello internazionale. Penso a Olivier Assayas, a Kenneth Lonergan e Bryan Singer, al Kevin Reynolds di Fandango ma anche al Sergio Rubini de La stazione. Considerando che non sempre il talento è sinonimo di successo, perché poi la vita ha delle sorprese non prevedibili che poco c’entrano con il cinema, pensi che anche quest’anno possiamo attenderci partecipanti destinati a seguire lo stesso percorso?
Questo è un discorso molto interessante. Se ti ricordi lo scorso anno come evento speciale abbiamo ospitato la proiezione della versione restaurata di O Sangue di Pedro Costa, il cui percorso artistico è partito trent’anni prima proprio dalla Sic. Per l’occasione avevo chiesto a Enrico Magrelli, all’epoca delegato generale, di scriverne un saggio per il nostro catalogo perché nessuno meglio di lui -che lo ha di fatto “scoperto”- avrebbe potuto rileggere quel lavoro a distanza. Ha scritto una cosa molto bella: dice che alla Settimana della critica si piantano dei semi. Solo alcuni di questi germogliano e crescono diventando, talvolta, delle solide querce. La Sic è un’opportunità. E penso che qui abbiamo fatto un’ottima semina. Poi si vedrà. Possono accadere molte cose. Intanto abbiamo nove esordi molto solidi e potenti.
Il film italiano in concorso alla 38esima Settimana Internazionale della Critica
About Last Year è il film italiano presente in concorso. Lascio a te il compito di parlarne.
About Last Year è stato una grande sorpresa perché è un film sbucato dal nulla. Dopo averlo visto è entrato subito nella Short List, ma c’è voluto del tempo prima di arrivare a una decisione. Che è stata spontanea e unanime, dal momento che si stava delineando una selezione di sguardi potenti e avevamo bisogno di un film che avesse quella stessa precisione di sguardo. Che avesse uno sguardo. A dirigerlo sono tre giovani registe che osservano il percorso di consapevolezza di tre ragazze, Cecilia, Giorgia e Letizia, raggiunto attraverso la presa di coscienza del loro corpo. Le vediamo codificare un proprio linguaggio e formarsi una loro comunità che costituisce un’alternativa alla famiglia biologica. Il fatto che a osservarle siano tre sguardi femminili evita quella forma di sessualizzazione del corpo inevitabile quando a filmare è un uomo. Il film è ambientato nelle Ball Room torinesi una realtà che ignoravo e che grazie a About Last Year ho imparato a conoscere.