Barbie di Greta Gerwig è un’operazione di chirurgia plastica sul femminismo 2.0 realizzata con una fantasia spettacolare, calcolata per piacere al grande pubblico.
Il film è in sala con Warner Bros.
La Barbie di Greta Gerwig
La misura del nuovo film di Greta Gerwig risiede nel fatto che, una volta usciti dalla sala, mentre sull’universo narrativo di Barbie ci sembra di non aver perso nulla sull’eterno confronto tra uomini e donne, sui difetti degli uni e sui pregi delle altre, e ancora sulle malefatte perpetrate dalla famigerata società patriarcale alla sua controparte, così non succede per il taglio visivo che scandisce le avventure di Barbie e Ken, in cui la trasfigurazione del famoso giocattolo e dei suoi accessori è accompagnato da una grandeur di colori, costumi, acconciature, scenografie, balletti musicali a cui è impossibile stare dietro e che perciò si vorrebbe tornare a rivedere per apprezzare nel dettaglio ciò che colpisce per quantità.
Al suo primo film ad alto budget la Gerwig si accaparra in un sol colpo la fiducia di pubblico e produttori (il film è volato in testa agli incassi stabilendo nuovi record) rivoluzionando le coordinate del cinema che eravamo abituati ad attribuirle, quello in cui la sostanza dipendeva dalle parole e non dalle immagini. Qui, pur mantenendo invariato lo zenith del racconto, come sempre incentrato sul viaggio dell’eroina e dunque sulla formazione esistenziale e sentimentale della protagonista, succede l’esatto contrario, con la visione di Barbie Land destinata a fare un sol boccone dell’affabulazione manifesto dei suoi eccentrici abitanti.
I personaggi
In questo capovolgimento di orizzonti a essere confermato rispetto alla filmografia dell’autrice (ivi compresa e forse ancora di più Frances Ha, di cui la Gerwig oltreché interprete firma la sceneggiatura insieme al regista Noah Baumbach) è anche l’assenza di carica erotica dei personaggi, la cui mancanza è eretta a monumento di un mondo che fa a meno dell’impulso riproduttivo trovando il suo piacere nella sicurezza – messa in discussione quel tanto che basta per dare inizio all’avventura – di rimanere per sempre giovani e belli.
A margine di ciò non si può fare a meno di riflettere sul potere persuasivo della settima arte, capace di prendere due dei corpi più iconici dello star system hollywoodiano riscrivendone la storia. Così, laddove intelligenza e sensualità erano sembrate la naturale conseguenza di qualità innate, quelle che ci si porta dietro dalla nascita, in Barbie diventano un orpello di cui ci si dimentica quasi subito, per come il connubio di virilità/sensualità, bellezza/intelligenza della coppia Margot Robbie/Ryan Gosling appaia oltremodo esangue del suo normale carisma.
Barbie di Greta Gerwig: in conclusione
Una scelta, questa, coerente con il rapporto tra film e spettatore che la Gerwig modella su quello pensato dalla Mattel per il fruitore della celebre bambola. Da qui l’utilizzo di un punto di vista ludico e fanciullesco, adatto a contenere i pensieri di una “spottless mind”, con le immagini capaci di incarnarli e di farli vivere attraverso una fantasia tanto ingenua quanto calcolata per accontentare tutti.
Una popolarità destinata a ritornare nel richiamo finale alla favola di Pinocchio, con la scelta di abbandonare il Paese dei Balocchi per diventare adulta, che fa di Barbie l’emblema di un nuovo femminismo ancora tutto da scrivere, ma con la donna sempre sola al comando, pronta a ribadire il diritto di decidere sulle questioni relative al corpo femminile.