Presentato al Saturnia film festival, all’interno della sezione Art short, il cortometraggio diretto da Alessandra Mosca Amapola rappresenta un illuminante dialogo tra il l’arte cinematografica è quella teatrale, si parla infatti di video performance.
Sinossi
L’opera è interamente incentrata sulla performance dell’attrice, Alessandra Mosca Amapola, tramite cui la performer ricerca la sua personale catarsi.
Mediante un’unica inquadratura “a mezzo busto”, assistiamo a una serie di espressioni che ricordano, sia dal punto di visto concreto ma soprattutto teorico, le ricerche e gli studi del regista teatrale Jerzy Grotowski.
Un ponte tra cinema e teatro
Il metodo del regista polacco consisteva nell’ottenimento della purificazione dell’uomo attraverso il dolore e il sacrificio della maschera sociale.
I parallelismi tra il cortometraggio e quel particolare stile attoriale si sprecano, ciò che varia invece è l’elemento da cui l’attore si “libera”, ovvero il limbo in cui egli è intrappolato sospeso tra il sacro e il profano.
L’opera incarna la volontà dell’autrice che sottolinea come l’aspirazione alla santità, si inserisce in un contrasto dialettico con il desiderio umano, succube di una spietata repressione.
Questa dinamica è ben sottolineata all’interno del cortometraggio, tramite un uso espressivo della componente sonora, assistiamo infatti ai lamenti disperati della protagonista oppressi dal suono schiacciante dei canti gregoriani, simbolo della vessazione cattolica.
L’estetica del perturbante
Tematiche come la repressione degli istinti sessuali e la rimozione delle pulsioni erotiche trovano il giusto “habitat” nell’estetica del perturbante, concetto che il cortometraggio sembra sposare.
A conferma di ciò possiamo interpretare lo sdoppiamento della figura dell’attrice, tramite sovrimpressione, come un rimando “al doppio”, principio chiave della teoria freudiana.
Una delicatissima metafora delle due anime della performer: la santa e la peccatrice.
Un altro indizio è la presenza del brano Masked Ball (J.Pook).
La composizione infatti è celebre al grande pubblico grazie a The eyes wide shut (S.Kubrick 1999) e fu scelta dal cineasta americano per il suo carattere perturbante e per il suo effetto angosciante.
Conclusioni
Stabat Mater Lacrimosa può essere considerato una fine crasi, dove gli elementi teatrali dialogano con quelli puramente cinematografici, dando vita a un’opera catartica dall’essenza tanto suggestiva quanto riflessiva.
La sua natura perturbante, i suoi rimandi alla performance d’avanguardia, lasciano un segno indelebile e difficilmente dimenticabile.
Le altre recensioni sui cortometraggi presentati al Saturnia Film Festival sono disponibili su Taxidrivers.