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John Cassavetes: il padre del cinema indipendente

Tra improvvisazione, budget ristretto, neorealismo e new wave

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È il 1957. In una trasmissione radio un giovane attore newyorkese inizia a insultare lo studio system hollywoodiano e i film che produce. Si lamenta dicendo che se le persone vogliono veramente vedere un film sulle persone, dovrebbero contribuire economicamente alla realizzazione di quest’ultimo; lui poi avrebbe fatto il resto. Una settimana dopo questo appello, vengono raccolti $2500, un anno dopo esce la prima versione di Shadows di John Cassavetes.

Padre del famoso Nick Cassavetes (The notebook, John Q), John Cassavetes prima di diventare regista nasce attore. La sua carriera inizia negli anni Cinquanta tra vari ruoli per la televisione, apparendo anche in un episodio della serie di Alfred Hitchcock, Alfred Hitchcock Presents. L’attività attoriale correrà di pari passo a quella da regista. Oltre che per i ruoli recitati nei suoi stessi film, John Cassavetes è infatti ricordato anche in pellicole come Rosemary’s Baby di Polanski o Quella sporca dozzina di Aldrich, che l’ha portato a ricevere una candidatura all’Oscar come miglior attore non protagonista.

Tra la passione e il bisogno di trovare soldi per produrre i suoi film, John Cassavetes da attore acquisisce quella sensibilità che lo porta a capire, non solo i suoi personaggi, ma anche lo stesso essere umano. Nei suoi film c’è una rappresentazione psicologica dell’amore, della tragedia e dei conflitti, messa in scena magistralmente da attori come la moglie Gena Rowlands, compagna nell’arte e nella vita, e da amici tra i quali Ben Gazzara e Peter Falk. Il cinema di Cassavetes diventa un ossimoro fondato su un’analisi fredda, quasi distaccata che si concretizza nell’improvvisazione, nel calore e nell’intimità.

Le ombre del jazz, i volti dell’improvvisazione 

 

Con Shadows (1959) Cassavetes inizia il suo percorso da regista. È un film grezzo, rudimentale, girato in 16mm, che, rispetto ad altre pellicole americane contemporanee, riporta una qualità audio e video non delle migliori. Eppure, Shadows è interessante proprio per questi motivi, per essere l’inizio dello “stile alla Cassavetes”, un prototipo che fa delle sue imprecisioni dei punti di forza.

I modelli sono i maestri del cinema neorealista; quindi quei film che presentano a loro volta più o meno gli stessi problemi, ma anche la stessa visione di realtà che Cassavetes vuole trasmettere. Di questa corrente dirà:

I adore the neo-realists for their humaneness of vision. Zavattini is surely the greatest screenwriter that ever lived. Particularly inspirational to me when I made Shadows were La Terra Trema, I Vitelloni, Umberto D and Bellissima. The neo-realist filmmakers were not afraid of reality; they looked it straight in the face. […] Shadows contains much of the neo-realistic influence

Sia Cassavetes che i neorealisti sono noti per aver utilizzato nei loro film attori non professionisti, per essersi affidati all’improvvisazione di questi ultimi. Shadows a proposito è stato infatti pesantemente influenzato anche dalla musica jazz, che per caratteristiche si fonda sull’imprevedibilità e l’improvvisazione. Nello stesso film una delle trame riguarda le difficoltà di un trombettista che fatica a trovare lavoro. Nella colonna sonora c’è invece (nella prima versione del film) il contributo di Charles Mingus.

‘Faces’ e ‘Husbands’

Le intenzioni di Cassavetes si fanno più chiare con Faces (1968), un film che racconta il declino di una coppia. Lui si lascia andare a una serata in compagnia di uomini d’affari e prostitute, lei invece si circonda in casa da amiche e un giovane ragazzo di bell’aspetto. Faces presenta tutti i tratti caratteristici del regista: la telecamera a mano, il “pedinamento” neorealista, l’alternanza tra messa a fuoco e sfocatura, ma soprattutto i primi piani (a volte primissimi piani), in cui risaltano i volti dei personaggi. 

In Faces è decisamente protagonista la confusione. I primi piani sono morbosi, la telecamera a mano toglie ogni stabilità e le performance attoriali si scandiscono in lunghe scene caotiche, improvvisate. I personaggi ballano, conversano, gridano, corrono, ridono. Il film è come una danza frenetica: sfiancante. É per questo però che i momenti in cui rallenta riescono a splendere. In queste situazioni la storia si distende, è il momento della riflessione, per i personaggi e per lo spettatore stesso.

Su questa stessa linea si propone Husbands (1970) che addirittura amplifica la frenesia di Faces. Infatti il film che vede alla recitazione John Cassavetes, Ben Gazzara e Peter Falk, rappresenta tre uomini che per affrontare il lutto del loro amico non fanno altro che darsi alla dissoluzione, alla libertà, ma al tempo stesso alla fuga dalle loro responsabilità e da quei sentimenti che devono essere estranei al modello di mascolinità cui loro sentono di dover sottostare.

Così lontani, così vicini

Quando si guarda un film di Cassavetes si è davanti a qualcosa di caratteristico, inconfondibile. La sua è la ricerca del dettaglio, quel sentimento nascosto sotto maschere di movimenti e azioni. Per arrivare a tale risultato Cassavetes partiva da una concezione del film solida e definita, su cui poi lasciava agire gli attori che avevano la libertà di interpretare a loro modo i personaggi. Dal risultato di queste prove attoriali andava poi a modificare lo script.

I believe in improvising on the basis of the written word and not on undisciplined creativity.

Questo metodo rende i film di Cassavetes unici e allo stesso tempo simili fra di loro. La sua filmografia tratta tematiche variegate. Però, la ricerca incessante di quel dettaglio rende ognuna di queste pellicole simili nella loro diversità. C’è un momento durante la visione in cui ci si rende conto che si sta assistendo a un tipo di sensibilità non comune.

Da ‘Minnie and Moskowitz’ a ‘Opening night’

Tra le opere di Cassavetes ci sono film come Minnie and Moskowitz (1971), che definire una commedia romantica sarebbe riduttivo. I protagonisti sono Gena Rowlands e Seymour Cassel. Lei è una donna seria, abbastanza altezzosa in maniera però eccentrica, quasi infantile. Lui è un innamorato perso, vede in lei la creatura perfetta, è colto da una passione sfrenata che rende ogni suo gesto eccessivo, scomposto, in contrasto con la compostezza di lei. 

In A woman under the influence (1974),  si trova forse la migliore interpretazione di Gena Rowlands affiancata da un bravissimo Peter Falk. La storia dei problemi psicologici di una madre, che inevitabilmente si riversano anche sulla sua famiglia. Film che potrebbe anche essere considerato l’esempio massimo di come Cassavetes riesca a portare a galla le fragilità dell’essere umano.

Su toni abbastanza cupi è anche The Killing of a chinese bookie (1976) in cui Cassavetes si sposta verso il film di genere, in questo caso un noir con protagonista Ben Gazzara, il quale interpreta un personaggio ironico, tragico, farabutto e allo stesso tempo eroico.

 

 

Opening night (1977) è invece una riflessione sull’esistenza, la morte, la vecchiaia e la perdita della giovinezza attraverso la crisi di un’attrice teatrale, che in preda a dubbi e allucinazioni, si rifiuta di recitare seguendo le battute prestabilite, virando piuttosto verso l’improvvisazione. Insieme alla solita Gena Rowlands torna, dopo Minnie and Moskowitz, in veste di attore, anche lo stesso John Cassavetes, che ricopre come nella pellicola precedente un ruolo minore.

Sono storie diverse. Eppure, tra la metropoli, il jazz, la solitudine, le incomprensioni e l’alienazione in qualche modo si somigliano. 

Il cinema di Cassavetes ha influenzato generazioni di registi tra cui Martin Scorsese, che vedeva in Shadows un film di “verità quasi insostenibile”, oppure Jean-Luc Godard, che di lui dirà:

 

For me he represents a certain cinema that’s way up above.

La famiglia e l’amore

I film di Cassavetes sono soprattutto film sull’amore, sin da Shadows dove si parla dell’amore fraterno e interraziale, fino a Love Streams (l’ultima pellicola scritta e diretta da lui). Sull’argomento, il regista si esprime proprio in questa maniera:

 

I guess every picture we’ve ever done has been, in a way, to try to find some kind of philosophy for the characters in the film. And so, that’s why I have a need for the characters to really analyze love, discuss it, kill it, destroy it, hurt each other, do all the stuff in that war, in that word-polemic and film-polemic of what life is. And the rest of the stuff doesn’t really interest me. It may interest other people, but I have a one-track mind. That’s all I’m interested in – love. 

 

E tutto inizia già dalle persone con cui Cassavetes lavora. Nei suoi film si vedono recitare la madre, la suocera, i figli, gli amici e la moglie: le persone da lui amate. Il suo ambiente di lavoro è scandito dai legami.

L’importanza di ‘Love Streams’

Love Streams nella filmografia di Cassavetes si presenta come l’apice dell’analisi che il regista intraprende sull’amore. In questo film, attraverso il suo personaggio e quello di Gena Rowlands, si riescono ad esplorare non solo varie sfumature dell’amore, ma anche ciò che può orbitare intorno a questo sentimento, che poi va ad influire, in questo caso particolare, sulla vita dei due fratelli. In Love Streams  l’amore è cinico, è rabbia, delusione, rassegnazione. Ferisce quando vuole fare del bene, nasce attraverso il rammarico quando si pensava non ci fosse. A volte è troppo, oppure troppo poco. È qualcosa che non si sa maneggiare, oppure, l’unico sentimento che si pensa d’avere.

Con un totale di dodici film diretti, John Cassavetes si è affermato come uno dei registi più innovativi, importanti nella storia della settima arte, sia a livello di stile e di contenuti. Infatti mentre inventava un nuovo modo di fare cinema, ha deciso di trattare tematiche che ai suoi tempi erano tabù.  Più di ogni altra cosa amava la verità, la realtà e le persone.

Diversi film di John Cassavetes sono disponibili su Amazon Prime Video attraverso l’acquisto, il noleggio o l’iscrizione a Raro Video/The film club.

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