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Jasmine Trinca: il cinema costruisce l’immaginario

In occasione dell’evento “La scrittura è donna”, l’attrice e regista dialoga apertamente sulla questione di genere e sullo sguardo al femminile

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Jasmine Trinca

Jasmine Trinca: un’attrice dalla carriera lunghissima. Giusto di recente ha attraversato il confine per passare dietro la macchina da presa e raccontare di sé. Coinvolta nell’evento “La scrittura è donna” organizzato dalla Fondazione Lionello Balestrieri, l’Associazione Casa Bianchini Balestrieri e il Comune di Cetona in occasione del lancio del Premio Ruggero Maccari, discute sui temi di genere e sulla professionalità al femminile nel cinema italiano.

Jasmine Trinca, più volte vincitrice di David di Donatello e Nastri d’Argento, ha lasciato il segno ovunque, tra Cannes, Berlino e Venezia, guadagnandosi un riconoscimento indiscusso. Il seminario ha permesso di ripercorrere la sua carriera con un approccio dedicato al suo percorso singolare e al successivo attraversamento del proscenio per dedicarsi alla regia, con il suo cortometraggio di esordio BMM (Being My Mom) e il lungometraggio Marcel!, presentato al Festival di Cannes lo scorso anno.

La meglio gioventù

Jasmine Trinca è Giorgia Espositi in La Meglio Gioventù di Marco Tullio Giordana

L’esordio

Jasmine Trinca esordisce nel 2001, neanche ventenne, ne La stanza del figlio di Nanni Moretti:

Io volevo fare l’archeologa. Sono arrivata alla recitazione perché Moretti venne a cercare attori nel mio liceo classico.

Eppure l’interpretazione che le permette di essere riconosciuta dal pubblico è senz’altro il ruolo di Giorgia, la protagonista ne La Meglio Gioventù di Marco Tullio Giordana.

Non avevo studiato [recitazione, ndr], non avevo una formazione tecnica, ma avevo un tale bagaglio di vita, una forza e una fame diversa, che veniva dal vissuto personale importante.

Fondamentale l’incontro e la collaborazione con Valeria Golino sul suo film Miele: diventa non solo la regista per cui Jasmine è una protagonista insolita e nuova, ma anche colei che la inizierà ad un altro modo di percepire lo sguardo, che torna nei suoi discorsi quasi fosse la chiave di volta di un cinema fatto di ruoli integrati tra loro e femminilità da raccontare.

Valeria aveva visto qualcosa di più aspro e più forte dentro di me. […]

L’incontro con Valeria non è stato l’unico, ma quella forma di libertà ed intesa è stata per me incredibilmente forte ed impressiva.

[…] Lei mi ha messo addosso una specie di armatura. Non mi sono mai sentita tanto libera quanto diretta. E lì ho capito come mi sarebbe piaciuto raccontare il femminile.

Tra riconoscimenti nazionali e non solo, Jasmine Trinca racconta di come per lungo tempo sia stata guardata e interpretata.

Per anni io sono stata la fidanzata borghese di qualcuno fino a quando qualcuno non ha visto qualcosa di diverso in me e io sono riuscita a raccontare una storia diversa.

Così è diventata “madre”. Ad esempio, nella interpretazione potente che ha regalato di Fortunata, nel film omonimo di Sergio Castellitto.

Sono stata molto guardata dai venti ai quaranta anni della mia vita. Molto guardata dai registi e dal pubblico. Sono cresciuta sotto lo sguardo del pubblico. Questa cosa non ha alterato la percezione che avevo di me, però è bizzarra.

E questo discorso di sguardi, le ha permesso di aprire una interessante riflessione che ha condotto verso la questione di genere e alla dimensione di sguardo nel lavoro del regista.

Miele_Jasmine Trinca

Jasmine Trinca è Irene in Miele, di Valeria Golino

L’idea di ribaltamento dello sguardo

Ci ho messo tanto tempo per autorizzarmi a pensare che potevo anch’io raccontare una storia. E in realtà l’idea del passaggio alla regia era vivo; ho capito dopo l’incontro con la Golino, che questa cosa riguardavasoprattutto lo sguardo. Quindi per me non era più una questione di quanto si è capaci, ma che sguardo si porta sulle cose. E quindi in questo senso il primo film che ho fatto è sicuramente un film che ha tante cose, tanti difetti, ma che aveva uno sguardo completamente personale, completamente mio.

Ed è interessante rispetto al fatto di essere stata per tanto tempo guardata, sia da registi e registe, ma anche dal pubblico. Perciò trovavo interessante provare a ribaltare quello sguardo: guardare qualcosa io. Perché alla fine, nel tempo, avevo capito che insomma, nel cinema è sempre un po’ lo sguardo del regista che determina ilracconto molto più che la presenza del corpo dell’attore. E quindi l’esordio è stato un momento anche di grande divertimento e di liberazione, ho come dire provato un entusiasmo completamente, completamente nuovo.

Le madri

C’è un fil rouge che unisce il cortometraggio BMM (Being My Mom) all’opera lunga Marcel!. Al di là del cast che per entrambe le opere vede Maayane Conti e Alba Rohrwacher in un curioso rapporto madre-figlia. Si tratta appunto del tema, dal momento che la Trinca regista ha deciso di raccontare se stessa, o meglio la propria memoria.

È pericoloso raccontare di qualcosa vicino a te. Quindi il corto e il lungo nascono dopo dieci anni di analisi, a dieci anni dalla morte di mia madre e dopo dieci anni che ero diventata madre. Non è la mia storia pari pari ma è trasfigurata.

Nelle sue memorie e nelle sue esperienze, una madre che

aveva una libertà che io non capivo all’epoca; che invece poi è rimasta per me come una importantissima eredità. In questo senso non avevo niente prima, ma quello che lei poi mi ha lasciato è stata la visione del mondo, è stata l’apertura verso gli altri ed è stato un orizzonte. Quindi una forma di eredità molto diversa da quella materiale.

Alba Rorhwacher in Marcel! di Jasmine Trinca

Quella memoria, unica e personale, che le racconta di una madre che le ha dato un orizzonte, e quanta forza in questo termine che sceglie di usare. Lo stesso orizzonte che, ci porta un esempio, il Chaplin padre improvvisato e amorevole de Il monello, si trova ad offrire a quell’orfano, pur nella incredibile povertà, che tuttavia non è miseria. È quello l’orizzonte a cui si riferisce, la possibilità futura costruita sulla personalità, l’esperienza di vita, il legame. Un orizzonte in cui Jasmine Trinca si è decisamente tuffata con successo.

Quando sono cresciuta non avevo nulla, solo questa madre e questo orizzonte davanti a me.

Questo ruolo di madre, infine interpretato da una eclettica ed eterea Rohrwacher, nel corto avrebbe dovuto essere della Trinca stessa. Rendendo questa presenza un’anafora meta-cinematografica, ancora più dissonante per la linearità dell’interpretazione.

Le madri di Jasmine Trinca – o una sola se intendiamo questa madre sdoppiata nei due prodotti – sono donne imperfette, a cui non si addice l’ideale materno patriarcale. E quel rapporto è così complesso da raccontare, da far prevalere le immagini sul dialogo, ormai incapace di traghettare i significati molteplici di una relazione a più strati.

Ho voluto raccontare un femminile che non fosse idealizzato, ma possibile. Madri sbagliate, inadatte, donne che non necessariamente debbano essere madri.

Emblematica la scena in cui la madre disseta la figlia passandole l’acqua con un bacio: un gesto carico di una simbologia dissacrante e disorientante.

La scena finale del nutrimento è una memoria della mia vita, che ricordo con un misto di ribrezzo e curiosità. Ma c’era anche la voglia di provare a rappresentare il desiderio femminile. Prima di quest’acqua nutrimento, c’è un bacio di Giove. Si vede rappresentata prima una rivalità, che poi si tramuta in nutrimento.

Guarda il cortometraggio BMM (Being my mom) su Raicinema

I luoghi

Ci soffermiamo poi a commentare il legame con gli ambienti e la memoria, due elementi che si impongono con vigore nei film. Non è un caso: i film trattano di memoria, ma la vera passione di Jasmine Trinca è tutta presente in questa carrellata di non luoghi romani, in cui è possibile distinguere il classico tanto quanto perdersi nell’anonimato delle case popolari.

Mi piaceva l’idea di trovare un una cornice scenografica che non fosse però abitata da modernità, da persone,come se fosse un viaggio di queste due figure. Come se loro due bastassero a loro stesse, fossero nel loro mondo, nel loro universo. Per questo un pochino ho cercato di svuotare da altre presenze gli ambienti.

Ecco, il lavoro sui luoghi e sulle scene è una cosa che mi piace molto fare, quindi sono tutti posti che hocercato io, che conoscevo per averli attraversati sia appunto nella mia vita o nella mia memoria. Ma anche per questa cosa che ho da archeologa, di andare a trovare dei luoghi e poi costruire in quei posti un nuovoscenario.

Guarda Marcel! Su NowTV.

Fortunata

Jasmine Trinca è Fortunata nel film omonimo di Sergio Castellitto

Donne, cinema e professionalità

Non poteva che virare su temi molto attuali e ancora terribilmente sensibili, questa chiacchierata molteplice con Jasmine Trinca. La sua forza come attrice, si riconosce anche nella lucidità con cui mette a fuoco la situazione odierna delle donne del cinema, in Italia ad oggi. Umile nel sostenere tutta la categoria, sottolinea come il fenomeno ha radici così profonde da essere un tutt’uno con la nostra cultura. Da aver plasmato la nostra stessa forma mentis e aver reso difficile, anche per qualcuno in posizione privilegiata, prender la parola.

Il cinema costruisce l’immaginario: quello che vedo da qualche parte lo ritengo sempre possibile. Quindi le immagini che per anni sono passate, la roba che ho respirato, per lungo tempo l’ho ritenuta scontata. Nella costruzione dell’immaginario, per me è stato importante ad un certo punto assumere dei ruoli femminili differenti, complessi, che portassero quindi non un’immagine stereotipata. E che anche potendo incarnare quei ruoli, nel mio piccolo ho cercato di raccontare e ri-disegnare un immaginario differente del femminile.

E, continua, è chiaro come

[…] il mondo abbia sempre privilegiato un altro tipo di sguardo e come sia eclatante la distanza tra lo sguardo maschile e femminile.

[…] Non che mi piacciano i paletti con le quote, ma non è che abbia mai preferito vedere raccontate storie monocromatiche.

Il futuro

Per far il punto sulla situazione, ribadisce alcune questioni centrali per quanto riguarda la condizione della donna nel cinema in Italia. Prima di tutto, viene da sé che ancora non ci sia tutto questo agio per l’altra voce della settimana arte:

Lo stato dell’arte e lo stato dell’industria? Ce lo mostra il fatto che siamo costrette ad organizzare degli appuntamenti per parlare di questa cosa. […]

È un periodo in cui si parla spesso di femminilità e di possibilità. Perché l’Italia ha una grandissima anomalia, perché culturalmente le pari opportunità sono una questione difficile da accettare. Se dalle scuole di cinema si esce 50 e 50 [tra uomini e donne, ndr] e poi a fare i film le percentuali sono diverse, questo fenomeno lo contestiamo e lo indaghiamo.

Così come va analizzata e considerata le complessità nella selezione dei film ai festival: non può essere lasciata sempre nelle mani di uomini eterosessuali e bianchi. Nelle commissioni di selezione bisognerebbe avere rappresentata ancora una volta la diversità e la complessità della realtà. Ci terrei a ribadire il concetto che ci debba essere una giusta pluralità di sguardo.

Il commento di Jasmine Trinca si inserisce nelle riflessioni puntuali che tutte le invitate all’evento “La Scrittura è Donna”, hanno espresso. Tra loro Ludovica Fales, Stefania Ippoliti, Laura Delli Colli e Anna Maria Pasetti.

A riprova che non si tratta solo di professioniste, di donne, ma sotto sotto anche di militanti più o meno esposte e coinvolte, che in certa misura amplificano un’idea di femminilità sempre più indipendente e in cerca di un pieno riconoscimento.

 

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