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Focus Italia

Edoardo Leo premiato come “personaggio dell’anno” al Marettimo Film Festival

Il regista e attore romano si è raccontato, anche con gustosi aneddoti

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Un bagno di folla ha accolto l’altra sera Edoardo Leo, premiato come “personaggio dell’anno” alla 4° edizione del Marettimo Film Festival, ideato da Cettina Spataro e Gabriella Carlucci. Il regista e attore romano si è raccontato e, dopo aver ripercorso le tappe della sua carriera, dalla serie TV Un medico in famiglia ai suoi successi come attore, nei film diretti, tra l’altro da Massimiliano Bruno (Nessuno mi può giudicare, Viva l’Italia, Non ci resta che il crimine, Ritorno al crimine), Rolando Ravello (Ti ricordi di me?), Claudio Amendola (La mossa del pinguino, I cassamortari), Paolo Genovese (Tutta colpa di Freud, Perfetti sconosciuti), Ferzan Özpetek (La dea fortuna) e Ivano De Matteo (Mia), ha inanellato una serie di aneddoti gustosi e proposto alcune interessanti riflessioni sul mestiere del regista e dell’attore. Come tanti artisti, anche lui, dopo aver fatto tanti lavori, si è avvicinato al cinema per caso.

Lasciarsi un giorno a Roma il trailer

“In verità, non volevo fare l’attore, non interessava per niente. Un mio amico aveva fatto una pubblicità e fu pagato bene. Io facevo l’università e avevo fatto di tutto; il pony express, venduto i fiori al cimitero, il latte ect e, per non pesare sui miei genitori,  ho mandato delle foto ad un’agenzia. Un agente mi ha mandato a fare un provino per una serie televisiva e il regista Gianfranco Albano mi ha detto: “Fai un piccolo ruolo, ma stai molto tempo sul set.” La serie di due puntate era La luna rubata. Protagonista era Bernard Giradeau, un attore francese, bello come il sole, ormai deceduto, dell’Academie Francais. Noi stavamo in un alberghetto, Bernard in un castello e quando arrivava sul set c’era il silenzio totale e vedevo le donne che quando lo vedevano andavano in estasi. Lui lavorava poche ore al giorno. Pensai: “Ma quanto è fico fare l’attore; guadagni un sacco di soldi, le donne ti cascano ai piedi…” E decisi: voglio fare l’attore anche io.”

Divertente la sua confessione successiva:

“Mi sono iscritto all’Accademia di Arte Drammatica, ho fatto l’esame e mi hanno bocciato. Poi ho fatto l’esame al Centro Sperimentale di Cinematografia e mi hanno bocciato e allora mi sono detto: “E’ proprio questo il lavoro per me.” Poi, poiché non c’era Internet come adesso che puoi controllare le informazioni, ho scritto un curriculum falso, dove ho dichiarato che avevo fatto la “Scuola internazionale di teatro La scaletta” e che avevo partecipato ad alcuni cortometraggi. Per anni sono andato ai provini con l’incubo che qualcuno mi dicesse: “Ma tu a “La scaletta” con quale insegnante hai lavorato?” Io non sapevo nemmeno dove stava. A “La scaletta” hanno studiato, tra gli altri, Marco Giallini e Kim Rossi Stuart. Poi le cose sono andate bene e ho tolto questo riferimento  dal curriculum, ma la cosa  bella è che se si va sul sito de “La scaletta” c’è ancora scritto che tra gli allievi di maggior successo c’è Edoardo Leo.”

Modesto e sincero, ha ammesso che sceglie i copioni da interpretare solo dopo essersi risposto: “É un film che andrei a vedere?” e che spesso, neanche lui, credeva che molte pellicole potessero avere poi tanto successo.

Sydney Sibilia mi voleva per interpretare Smetto quando voglio. Leggo questa commedia, che trovo molto carina, mi piace, ma ero impegnato per almeno sei mesi e gli dissi di no. “Non ti preoccupare, Ti aspetto”, mi rispose. E io di rimando: “Guarda che poi ho un altro film con Claudio Amendola.” E lui: “Ti aspetto. Lo voglio fare con te.” E così rimandò l’inizio del film fino a quando non fui libero da impegni. Ma confesso, non pensavo che fosse un film che sarebbe diventato di culto. Lo stesso per Perfetti sconosciuti. Nessuno di noi poteva preventivare che un film, con sette persone che parlano intorno a un tavolo, sarebbe diventato il film con più remake al mondo. E noi a dire a Paolo; “Ma sei sicuro? Facci alzare ogni tanto.” E lui è andato dritto per la sua strada e ha vinto.” Non c’è una formula per dire che un film sarà di successo, non lo puoi preventivare. C’è sempre qualcosa di magico, di misterioso.

Quando ho girato 18 regali, sapevamo che era un buon film, anche se era la storia di una ragazza che sta per partorire, malata di tumore, che sa che deve morire. Il pubblico poteva anche dire; “Sta storia, così triste…” Un successo incredibile. Non mi sono mai preoccupato del successo, che è una cosa incidentale, che può scattare per una serie di elementi. Il mio obiettivo principale è sempre stato quello di fare bene il mio mestiere. Io vengo da una famiglia molto modesta, sono figlio di pescivendoli, di contadini, gente con una cultura del lavoro molto forte. In qualche modo, credo che, nella mia esperienza, l’etica del lavoro la sento molto forte, Ancora oggi non sopporto gli attori che non sanno la parte a memoria. Quando un attore firma un contratto per un film, ci sono tipo settanta pagine di clausole, di diritti d’immagine ect. C’è soltanto una riga che parla del nostro mestiere e dice: “L’attore è tenuto a presentarsi sul set con la parte imparata a memoria”. É una clausola. Quando vedo un giovane attore che ha cinque battute e non le ricorda, mi innervosisco, perché vuol dire non c’è rispetto per i colleghi e per il nostro lavoro. E allora divento molto severo.”

Leo ha anche fatto qualche riferimento alla sua carriera quando si è calato nel doppio ruolo di attore –regista.

“Il mio primo film come regista è stato Diciotto anni dopo, in nomination ai David, dove interpreto un balbuziente. Io mi ero preparato per il ruolo e soprattutto quando andavo all’estero a presentare il film pensavo che fossi balbuziente, un personaggio al quale sono molto legato.”

Non sono mancate poi altri aneddoti interessanti, come quello relativo al film Noi e la Giulia, da lui diretto.

“Normalmente c’è il cast in un albergo figo e la troupe posta in un altro, con qualche stelletta in meno. Ne ho parlato con Stefano Fresi, Claudio Amendola e Anna Foglietta, che componevano il cast, e ho chiesto loro che stessimo con la troupe tutti insieme e abbiamo vissuto così per sei settimane. Quando ho scritto la parte per Anna, lei non era incinta, poi mi disse: “A luglio sono di sette mesi, non posso fare il film.” Ho pensato allora che non era giusto, per una donna non poter  lavorare mentre è in corso una cosa bella come la gravidanza. Allora ho detto alla produzione che avrei riscritto il personaggio di Anna. C’era però il problema dell’assicurazione e il rischio che si potesse fermare da un momento all’altro il film. Siamo andati avanti ed è stata un’esperienza così bella che Anna ha chiamato il figlio Giulio.“

 

Accorato, infine, il suo omaggio a Gigi Proietti.

“Ho lavorato con anno con Gigi Proietti, che è stato una fonte d’ispirazione non solo per me, ma per tutta una generazione. Lui diceva. “La recitazione non s’insegna, la recitazione s’impara. Nessuno può insegnarti a recitare.” Sono sempre dell’idea che la patente di attore te la dà il pubblico e più ore di set fai e più incameri esperienza. Ho fatto tanti film brutti, ma da questi ho imparato tantissimo, perché ho capito cosa non mi piaceva e, soprattutto come regista, ho cercato di evitare di fare quegli errori che non mi interessavano. Così si forma il tuo gusto. Gigi per me è stato un vero maestro. Gli proposi di girare un documentario su di lui e all’inizio nicchiò. L’ho seguito per quattro anni nelle sue tournée teatrali e ho raccolto quella che poi è stata la sua ultima intervista. Avevo una quantità di materiale, poi quando è morto, diedi tutto ai familiari e dissi: “Fatene quello che volete.” Non mi andava di farlo più perché l’avevo fatto per farlo vedere a Gigi e la frustrazione che ne avesse visto solo dieci minuti, era troppa. Loro hanno insistito perché lo finissi e così è nato Luigi Proietti detto Gigi, doc premiato con il Nastro d’argento speciale.”

Leo ha raccontato anche del suo prossimo film, Otello, dal dramma di Shakespeare, che presenterà a Locarno;

“In quest’epoca di femminicidio ho pensato che la storia di Otello fosse assolutamente attuale e ho tradotto i dialoghi  in romano e in napoletano Interpreto Iago e Otello lo recita un attore nero. Sarebbe stato impensabile affidare la parte a un bianco.”

Nella chiusura, infine, simpatica e divertente, dopo aver ribadito che ci tiene molto a tenere separata la vita professionale da quella fuori dal set e che diserta le interviste che gli chiedono di parlare della sua vita privata, ammette;

“Mio figlio apre Netflix e ci sono tipo dieci film nei quali compaio e dice: “Papà, che palle!”. Sono anche venuti sul set, ma pochissimo. I figli hanno bisogno del loro cono di luce e poiché sono un personaggio pubblico, non gli voglio fare ombra.”

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