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65° Festival di Cannes: “Paradise: Love” (“Paradies: Liebe”) di Ulrich Seidl

Nudi integrali, pelli cadenti e celluliti in primo piano seguono per più di 120 minuti di visione del corpo e sul corpo, giocando su contrasti cromatici e culturali in un affresco grottesco e decadente. Seidl propone un cinema molesto e iperreale, indistribuibile per le immagini oltremodo esplicite, che punta a violare lo sguardo del suo spettatore.

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il

Anno: 2011

Durata: 130′

Genere: Drammatico

Nazionalità:  Francia/Germania/Austria

Regia: Ulrich Seidl

Kenia. Su una spiaggia lontana e incontaminata si muove lentamente Teresa, donna sulla cinquantina  dalle forme poco attraenti che, lasciata a casa la figlia adolescente, su consiglio di un’amica decide di partire alla scoperta del turismo sessuale. Arrivata a destinazione, la sua avventura da Sugar Mama – appellativo che viene dato dai ragazzi kenioti alle turiste europee che decidono di aiutarli in cambio di  favori “particolari” –  non va proprio come il previsto, svelando progressivamente  i retroscena di una realtà disperata e senza confini.

Nato originariamente come un unico lungometraggio e riadattato a trilogia dopo quattro anni di lavorazione e ottanta ore di girato, Paradise: Love è il primo film del “trittico del paradiso” firmato dall’iconografico Ulrich Seidl. Capostipite dello spaccato delle vacanze estive di una famiglia al femminile (rispettivamente madre, zia e figlia) alle prese con l’amore in tutte le sue declinazioni, dal sesso alla fede, il primo Paradise del regista austriaco – in lizza per la Palma d’oro – è frutto di un incredibile lavoro di postproduzione, perfettamente in linea con la poetica cinematografica dell’autore di Import Export ed estremamente coerente con la realtà che vuole rappresentare.

Nudi integrali, pelli cadenti e celluliti in primo piano seguono per più di 120 minuti di visione del corpo e sul corpo, giocando su contrasti cromatici e culturali in un affresco grottesco e decadente che ritrae in maniera unica ed esplicita una realtà difficile da digerire. Senza alcun tipo di giudizio (se non quello dell’immagine) nei confronti dei suoi personaggi – la maggior parte attori non professionisti, liberi di vagare ed improvvisare senza script a disposizione – Seidl riprende un mondo fatto di vittime che diventano carnefici e di carnefici che diventano vittime, in un cinema molesto e iperreale, indistribuibile per le immagini oltremodo esplicite, che punta a violare lo sguardo del suo spettatore.

Chiara Napoleoni

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