Molti i film che negli ultimi anni si sono concentrati, da diversi punti di vista, sull’emancipazione femminile fra fine Ottocento e primi Novecento: da Sufragette a Miss Marx, da Enola Holmes ad Emily, solo per citarne alcuni. Monte Verità, film del 2021 scritto e diretto dal regista e sceneggiatore Stefan Jäger e distribuito in Italia da Draka, si incastona in questo mosaico. L’opera aggiunge, al difficile percorso verso la consapevolezza e l’autodeterminazione della protagonista, il racconto di un modo di vita comunitario, precursore degli hippies, che aggiunge al film un tocco di originalità, rispetto ad una storia al femminile non propriamente innovativa.
Monte Verità: una Comune ante litteram
Il film racconta la poco nota vicenda della prima Comune d’Europa, realizzata presso Ascona, in Svizzera, nei primi del Novecento, sul Monte Monescia (chiamato poi Monte Verità) a partire da una storia di emancipazione femminile, quella di Hanna Leitner, moglie e madre infelice, intrappolata in ruoli alto borghesi che sente soffocanti, appassionata di fotografia (anche il marito è fotografo) ed aspirante fotografa, che in preda a crisi di asma e di angoscia sempre più frequenti, fugge dalla sua vita convenzionale per raggiungere la Comune e capire cosa fare della sua vita, aprendosi al mondo ed all’arte.
Il Monte Verità è stato dei luoghi più interessanti della Svizzera degli inizi del ‘900, una vera colonia utopica dove circolavano idee nuove, progressiste, legate a un diverso rapporto con l’ambiente e con l’arte: frequentato da intellettuali ed artisti che venivano da tutto il mondo per scoprire l’importanza della natura e l’armonia dell’uomo con essa, presso il Monte Verità ci fu anche una delle prime comunità di vegetariani e nudisti che, nel secolo scorso, ispirò il movimento degli hippies negli anni ’60.
“‘Monte Verità’ trae origine dalla stessa modalità che i fondatori misero in campo fondando la comunità intorno al 1900 – racconta il regista – una visione collettiva, libera da costrizioni e alimentata dalla fiducia nel potere della creatività. Ho cercato di scavare a fondo nelle resistenze interne ed esterne che una donna in cerca della sua strada deve aver vissuto in quel periodo. Nella consapevolezza che possiamo narrare sempre e solo dal nostro punto di vista, mi sono affidato all’intelligenza collettiva del nostro team per verificare il mio punto di vista. Con il 77% dei nostri capi reparto donne, siamo forse riusciti a sottolineare il cambiamento positivo che sta attraversando il mondo: ogni genere e ogni orientamento sessuale merita tutto il rispetto. Spero con il mio film di contribuire a mettere le ali a questo spirito di apertura e al desiderio di libertà, proprio come i fondatori della prima comune hippie del mondo”.
Respirare aria nuova, cercare sé stesse
Hanna, dopo l’ennesimo, pesante litigio col marito (che vorrebbe un altro figlio e la aggredisce anche fisicamente), decide di lasciare Vienna e la sua famiglia per raggiungere la comunità del Monte Verità di cui ha sentito parlare, in fuga dal ruolo borghese nel quale si sente relegata e svalorizzata, ma anche piena di paure e non avvezza alla vita di una Comune. In questo luogo di libertà, abitato da persone di ogni provenienza e frequentato da artisti come Hermann Hesse, Otto Gross, Isadora Duncan, Sophie Taeuber-Arp, Hanna cerca di ritrovare sé stessa, aiutata da donne straordinarie (alcune realmente vissute nella Comune) che le insegnano la semplicità della vita a contatto con la natura e la coinvolgono in amicizie e legami profondi.
Affetta da una grave forma di asma, la giovane donna, con l’aiuto di un medico e di donne e uomini che vivono la stessa esperienza di Comunità, riprende poco a poco a respirare, fisicamente ed emotivamente, cercando di trovare e dare forma ed espressione alle proprie inclinazioni e restituendo lo spazio negato alla passione per la fotografia, da sempre osteggiata dal marito.
L’ispirazione del regista
Quello di Hanna Leitner è un personaggio di fantasia, che simboleggia la condizione di tante donne di quell’epoca e il film immagina la fuga verso un luogo salvifico per ritrovare la propria identità, attraverso il ruolo dell’arte, attribuendo ad Hanna la maternità delle fotografie scattate presso la Comune che rimangono a tutt’oggi di autori ignoti. Il regista si è ispirato ai numerosi documentari e libri sul Monte Verità, in particolare l’opera dello storico Andreas Schwab (“Monte Verità – Sanatorium der Sehnsucht”) che è stato anche consulente del film. Nel ruolo di Hanna la giovane Maresi Riegner, che riesce a fondere insieme la sostanziale ingenuità di una donna quasi mai uscita dalla sua comfort zone, col desiderio di libertà e la curiosità della protagonista. Il risultato è un racconto di storie in parte già viste, con alcune buone intuizioni che si sarebbero potute sviluppare meglio.
Una storia modernissima sul solco dell’emancipazione femminile
“Per preparami al mio personaggio ho studiato il periodo intorno al 1906 – racconta l’attrice – ho letto testi scritti da donne di quest’epoca e mi sono immersa sempre di più in essi. La coach di recitazione, Teresa Harder, mi ha supportato e a volte anche Hanna Herzsprung (che interpreta il ruolo di Lotte Hattemers) mi ha aiutato ad entrare in contatto con uno dei “veri” personaggi del Monte Verità. Poi abbiamo fatto una settimana di prove sul Monte stesso, facendo escursioni, assorbendo l’atmosfera, leggendo ad alta voce i testi del periodo. In quei giorni mio figlio era molto piccolo e stavo ancora allattando. Questo mi ha aiutato personalmente a capire il legame che si prova con un figlio e mi ha reso accessibile il personaggio di Hanna Leitner sapendo che a lei, in quanto aristocratica in quel periodo, non era permesso allattare i propri figli. Il contatto con i propri figli a quei tempi era meno personale di quanto lo sia oggi. I bambini si rivolgevano formalmente alla madre, la quale aveva una funzione educativa, ma l’amore materno era sullo sfondo. Il contatto fisico e la sensazione di sicurezza non erano previsti nella classe sociale di Hanna Leitner. Attraverso la mia stessa maternità ho capito l’amore per un figlio e quanto deve essere infinitamente doloroso non vederlo per molto tempo o addirittura perderlo.”
“‘Monte Verità’, ai miei occhi – afferma Max Hubacher, nel ruolo dello psicoanalista Otto Gross – racconta una storia modernissima. Per molte donne, che hanno un sogno, è esattamente lo stesso oggi come allora. Sono ancora ridotte al loro ruolo di madri. E se le donne vogliono vivere come artiste, hanno davanti a sé una strada molto più tortuosa rispetto agli uomini. D’altra parte il modo di vivere sul Monte Verità era modernissimo: il cibo vegano, l’uguaglianza tra donna e uomo, la forma di libertà, l’amore libero e qualunque tipo di amore si viva – non giudicandolo ma avendo la libertà di decidere per se stessi – Tutto ciò non potrebbe essere più moderno.”