La Casa del Bosco (The House in the Woods) è un cortometraggio in concorso al Lago Film Fest. É stato diretto da Giovani Benini e Luca Mantovani ed è una produzione EZME Film, casa produttiva e distributiva attiva soprattutto per prodotti dal linguaggio sperimentale e ibrido. Il cortometraggio è stato liberamente adattato da alcuni racconti di A.M.Ortese, da In sonno e in veglia. In questa raccolta composta da dieci diversi testi, l’ attrice riflette sulla poesia, sulla filosofia, sull’invisibile. I personaggi, infatti, non hanno confini ben definiti. Sono delle ombre sfumate che vagano alla ricerca di qualcosa di non detto. Particolarmente interessante perché è esattamente quel che ritroviamo nel cortometraggio.
Si presenta con una struttura sperimentale. La non-narratività è un tratto che lo caratterizza per tutta la sua durata, ma soprattutto vi è un’intensa ricerca visiva e simbolica sin dall’inizio. È dunque una piccola opera che necessita di un occhio pronto e allenato al linguaggio filmico affinché si possa comprendere in pieno il suo significato.
Fiction e vita reale si mescolano: “La Casa del Bosco” e il rapporto con la realtà.
I personaggi del cortometraggio sono stati interpretati dagli ospiti del Centro Terapeutico “La Genovesa”, luogo che si occupa di aiutare persone che lottano contro l’abuso di alcol e droga. Ciò è un perfetto esempio di media therapy, ossia l’utilizzo dei media (cinema, TV, videogames ecc.) come veicolo terapeutico per aiutare persone in difficoltà (tramite la semplice visione e/o la partecipazione attiva). La tendenza a realizzare collettivamente opere audiovisive e mediali per aiutare un gruppo di bisognosi si sta diffondendo molto e presenta risultati decisamente positivi. Ciò, infatti, aiuta gli emarginati socialmente a sentirsi parte di qualcosa; a sentirsi delle persone dotate di contorni, personalità, abilità.
La storia raccontata fa riferimento all’onirico. Infatti, una voce fuori campo ci racconta dettagliatamente un incubo: un drago sembra abbattersi sulla protagonista che, però, esattamente come San Michele Arcangelo (i riferimenti visivi a tale figura sono molteplici), riesce a ribellarsi. Quindi si tratta della materializzazione filmica di un incubo: un combattimento contro il negativo, contro le paure e la caduta umana nelle tentazioni. La Casa del Bosco è la forma filmica e materiale della precedentemente citata casa terapeutica, La Genovesa. I non-attori, invece, hanno doppia faccia: protagonisti del loro stesso incubo, ma anche della finzione.

L’onirico nel filmico
Ciò che ci fa comprendere che stiamo assistendo probabilmente a un incubo in versione filmica, è la scelta della sfumatura di colore che caratterizza le immagini: un blu-grigio. Il blu è un colore utilizzato moltissimo nel cinema per parlare di sogni: basti pensare ad Eyes Wide Shut, ultimo film del maestro S. Kubrick, in cui il blu è l’unico colore presente nella scena onirico-erotica raccontata da Alice (Nicole Kidman).
A tale componente, si aggiunge anche l’intera scenografia. Essa è ricca di dettagli che non rimandano quasi affatto al mondo del quotidiano: tutto appare immerso in un non-reale. I personaggi sembrano labili figure mono-espressive, vittime di una possibile sparizione improvvisa e inaspettata. La voce fuori campo è inoltre l’unico suono che sentiamo (tranne all’inizio e alla fine), quasi come se lo spettatore sia un terapeuta che sta ascoltando l’incubo del suo paziente.
Tutto ciò ci suggerisce dunque un intenso viaggio nell’inconscio dov’è effettivamente possibile toccare con mano la sofferenza dei personaggi/non-attori e dove il confine tra reale e non si fa molto labile: uno stato confusionale che è quello che si potrebbe provare se ci si trovasse nella medesima situazione delle vittime rappresentate.
Al Lago Film Fest, La Casa del Bosco: un cortometraggio complesso, ma così carico da costringere lo spettatore a immedesimarsi.