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Film da Vedere

‘Space Monkeys’ di Aldo Iuliano: la recensione

Coming of Age sulla Generazione Z, tra presente e futuro. Un lungometraggio che riesce a creare una disamina efficace e funambolica, e confermare le doti visionarie del regista.

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Space Monkeys

Space Monkeys (2022), prodotta da Freak Factory, segna l’esordio nel lungometraggio di Aldo Iuliano, che qualche anno prima si distinse con il metaforico cortometraggio Penalty (2017). Un debutto nel lungo ambizioso, con cui l’autore calabrese ratifica la sua limpida idea sull’importanza della forza dell’immagini – nuovamente coadiuvato da Daniele Ciprì – e di come il racconto debba essere funzionale tropo della realtà.

In Penalty attraverso una partita di calcio, giocata per sopravvivere; in Space Monkeys un bildungsroman cibernetico “distopico” per radiografare la generazione Z. Utilizzando anche tracce thriller, il film di Iuliano riesce a immortalare la Generazione Z rispetto al fallitare #Horror (2015) di Tara Subkoff, a suo modo disamina similare (gruppo di adolescenti, Challenge, luogo chiuso).

Un lungometraggio visivamente impeccabile, che conferma le potenzialità tecniche-artistiche dell’autore ma anche del cinema italiano. Una scelta d’attori adeguata, con il giovane cast perfetto per rappresentare le differenti tipologie di caratteri e di fisicità del gruppetto di personaggi. Efficaci dialoghi specchio del linguaggio giovanile odierno, frutto di un sincretismo multi-culturale che mischia il colto al grossolano. Unica pecca, purtroppo, una sceneggiatura che non sempre riesce ad avere una forte tenuta drammaturgica.

Space Monkeys, la trama

Fine estate. Cinque adolescenti, capitanati da Ste (Haroun Fall) che li “sequestra” portandoli nello sperduto e magniloquente castello High Tech dei genitori, si ritrovano a gareggiare tra loro e misurarsi con le proprie paure, durante una challenge con un’intelligenza artificiale che seleziona per loro sfide pericolose.

Space Monkeys: Coming of age distopico

Il romanzo di formazione è un genere codificato, e già con un ricco archivio di storie, letterarie e cinematografiche. Si può cadere nel déjà vu oppure, ben peggio, in una disamina velleitaria. Space Monkey segue il percorso classico, descrivendo i giovani protagonisti in una situazione tipica (la fine dell’estate, metafora della fine dell’adolescenza), ma l’innesto originale è quello di trasporre il Coming of Age in una dimensione sospesa, in cui presente e futuro si fondono. Questi personaggi possono essere adolescenti di oggi ma anche giovani di un prossimo – distopico – futuro.

Ste, auto proclamatosi King, conduce – ma in realtà è più un ratto –i suoi quattro amici al castello con una Citroen DS, un’auto vintage che con quelle sue voluttuose forme sembra una navicella spaziale, tipo quella smussata di Navigator (1986) di Randal Kleiser. Una trasmigrazione, dalla spiaggia reale (il falò, il grosso panino che Balo mangia) all’isolato castello, che assume la dimensione di un trip interspaziale: un’ellisse fatta di fitti fasci di luci simile a il viaggio di David Bowman (Keir Dullea) in 2001: Odissea nello spazio (2001: A Space Odyssey, 1968) di Stanley Kubrick.

Il castello, che unisce l’architettura del passato con le tecnologie avveniristiche del presente/futuro, diviene la “base spaziale” in cui il quintetto di ragazzi/scimmie si confronterà. Un luogo che non permette “vie di fuga”, e dove il gioco lo “gestisce” l’Intelligenza Artificiale Able, affascinante quanto inquietante evoluzione di Alexa. Per inciso, Able rimanda ad Hal 9000 di Stanley Kubrick.

Tecnologia imperante anche attraverso i cellulari, di forma tondeggiante. Feticcio elettronico di cui i ragazzi non possono fare a meno. Prevalentemente per fare foto o creare storie da postare immediatamente sui social. E la scelta di rendere rotondi i cellulari è per creare un rimando agli specchietti: i personaggi si rimirano sul display, che abbacina-ammalia i loro volti, ed è come se mentalmente si chiedessero, intontiti da quella luce elettronica, «Chi è il più figo del reame?». L’unico personaggio che utilizza il cellulare ancora come mezzo di canonica comunicazione è Justine (Souad Arsane): gli serve per comunicare con la madre, e la normalità del suo cellulare è evidenziato anche da una suoneria comune.

Justine è l’elemento estraneo del gruppo, ma che comunque cerca di entrare nella compagnia senza perdere la propria identità. Considerata la “brutta” della compagine, è l’osservatrice critica di quello che accade. È l’unica razionale, ed essendo francese porta con sé quelle lontane radici dell’illuminismo. Justine è, diciamo, una versione 3.0 dell’Allison Reynolds (Ally Sheedy) di Breakfast Club (1985) di John Hughes. Ma a differenza di Allison, per Justine non c’è una vera redenzione.

Inoltre, a differenza degli altri Justine esprime il proprio spirito artistico e il proprio sentimento con i “preistorici” disegni, ritraendo in un semplice e appassionato ritratto la persona di cui è innamorata. E ritrae se stessa come un mostro, raffigurando il suo volto come quello di una scimmia cavernicola. Nel finale, quando indossa la maschera di scimmia per il selfie, al contempo è per nascondere il suo volto e per immortalare quella sensazione di essere un primate.

Illuminato e sfumato da luci artificiali, che confermano la funambolica visionarietà di Ciprì, il castello rispecchia anche il mondo sintetico e asettico in cui ormai i quattro personaggi, esempio della generazione Z, vivono quotidianamente. Un mondo “presumibile” in cui corridoi e sale divengono “livelli” di una challenge in cui si sentono vincenti players. Il quintetto scorazza per questo immenso ambiente e Iuliano li segue con lo stesso spirito goliardico, attraverso complicati movimenti di macchina e piani sequenza. Uno stile che ricorda il “viaggio” nella storia in Arca russa (Русский ковчег, 2002) di Aleksandr Sokurov.

Un virtuosismo registico che ha almeno due vette stilistiche: l’ardita e spaziale plongée mentre i ragazzi sono nella piscina e discettano sull’universo, e con la forma della piscina che diviene un mondo simile alla stazione spaziale di Guerre stellari; il piano sequenza, fotografato con il panfocus, in cui il quintetto, dopo il tragico e imprevisto evento, è disgregato, e ognuno occupa un diverso sfondo e si trincera sul da farsi, compiendo azioni che mostrano le loro inadeguatezze nel rapportarsi con la vera realtà.

In questo buio concreto, senza tecnologia, sarà Justine a cercare un candelabro con candele per riportare un minimo di luce (l’illuminismo della ragione) e capire cosa fare.

Tornati alla realtà, nel mondo concreto (la spiaggia, il falò, il panino), i ragazzi si scoprono totalmente fragili, senza un futuro e con un presente d’affrontare. Giunto il nuovo giorno, con colori nitidi e innocenti che irradiano l’immagine senza sofisticazione, cosa resterà di loro? La voce al telefono del poliziotto (la voce è di Iuliano) gli intima di restare là, per gli accertamenti.

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Space Monkeys

  • Anno: 2022
  • Durata: 90 minuti
  • Genere: Drammatico
  • Nazionalita: Italia
  • Regia: Aldo Iuliano