Anno: 2012
Durata: 120’
Genere: Drammatico
Nazionalità: Francia/Belgio
Regia: Jacques Audiard
Era il 2009 quando Jacques Audiard si aggiudicò a Cannes il Grand Prix Speciale della Giuria con Il profeta, pellicola d’ambientazione carceraria sulla trasformazione di un uomo zero to hero (in ambito malavitoso, s’intende). Audiard ritorna sulla Croisette a distanza di tre anni con De rouille et d’os (Rust and Bone), ispirandosi ai racconti di Craig Davidson (Rust and Bone del titolo) dei quali si respirano l’atmosfera e l’ambientazione, piuttosto che l’aderenza narrativa. Come ha precisato il regista in conferenza «i due protagonisti sono frutto dell’invenzione, volevamo raccontare una storia d’amore luminosa che non esiste nel testo originale di cui abbiamo rispettato la forma ma non il contenuto. Ci siamo spostati sulla Riviera francese, ad Antibes, per trovare la giusta luce».
I protagonisti della storia, Stephanie (Marion Cotillard) e Ali (Matthias Schoenaerts), si incontrano durante una rissa fuori da un locale: lei è vittima di un’aggressione e lui è l’addetto alla sicurezza che accorre in suo aiuto. Stephanie è un’addestratrice di orche presso il parco acquatico di Marineland, è bella e sicura di sé, Ali è un boxer che sta ricostruendo la sua vita insieme a Sam, il figlio di 5 anni che a malapena conosce, con l’aiuto della sorella (Corinne Masiero) e del suo compagno. Stephanie e Ali appartengono a mondi lontani, ma un giorno, in seguito al tragico incidente in cui lei perde le gambe, si ritrovano e si sorreggono.
Audiard torna a parlare di storie ordinarie con una lucidità visiva che sostiene la fedeltà al reale a cui il film aspira. I due protagonisti sono messi a dura prova dalla vita: Ali è un padre spiantato e senza consapevolezza appassionato solo per l’arte del combattimento, mentre Stephanie ha lasciato ogni sogno in quel maledetto parco acquatico, l’uno è necessario alla guarigione dell’altra. La fisicità gioca un ruolo chiave in Rust and Bone, il corpo è il mezzo d’espressione e di comunicazione basilare per Ali e Stephanie e per la loro relazione, ed è anche il segno visivo con cui Audiard scrive, contrappone e assembla le scene. I due hanno bisogno di essere salvati dallo stallo esistenziale in cui versano, di ritrovarsi dopo il colpo subito, di risolversi. Audiard cerca con autenticità di completare il percorso delle sue creature drammatiche ma, se con Stephanie si prende tutto il tempo necessario per descrivere una risalita conquistata gradualmente, con Ali la ripresa avviene con una brusca e repentina impennata che disturba e mette in crisi la credibilità del suo arco caratteriale.
Tra il cast, oltre alla superba protagonista femminile, brillante nella parte del corpo fragile e devastato, e all’imponente Schoenaerts addestrato per devastare, meritano una menzione sia l’ambivalente e dannato Bouli Lanners (Kill Me Please), sia la semplice Corinne Masiero (già Louise Wimmer) che si arrabatta fino a consumarsi per sopravvivere. Alcune scelte narrative risultano un po’ frettolose rispetto alla meticolosità globalmente dedicata alla veridicità dei personaggi, alla corrispondenza tra fisicità e parole, al simbolismo racchiuso nei quadri di svolta (uno tra tutti è quello di riconciliazione tra Stephanie e l’orca – e la vita), al lavoro di computer graphics applicato al corpo della Cotillard che ne rafforza il dramma e contribuisce a renderne l’interpretazione ancora più sconvolgente.
Francesca Vantaggiato