Anniversari
30 anni senza Audrey Hepburn, icona femminile di semplicità, classe ed eleganza
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1 anno agoon
Ci manca. Quell’ uccellino smarrito, caduto dal nido, infatti, si spense 30 anni fa. Non me ne vogliano Raymond Burr, il mitico Perry Mason televisivo e dello scrittore Anthony Burgess, autore del discusso ”Arancia meccanica”.Stesso discorso per il cantautore francese Leo Ferrè e per il principe dei ballerini Rudolph Nureeev. Ma a ben vedere il 1993 sarà ricordato per la scomparsa, il 20 gennaio, di Audrey Katlhlen Ruston, in arte Audrey Hepburn. Nata in Belgio, il 4 maggio del 1929, nei pressi di Bruxelles, dopo aver mosso i primi passi come ballerina, si fece notare in teatro nello spettacolo “Gigi” e dopo qualche breve apparizione sul grande schermo, nel 1953, vinta la concorrenza di Elisabeth Taylor, vinse l’Oscar come miglior attrice protagonista in “Vacanze romane”, per la regia di William Wyler, al fianco di Gregory Peck.
Per quel suo viso angelico, quel suo comportamento elegante (sembra che discendesse da quarti di nobiltà) e il suo fisico minuto e di stampo anoressico, in netta opposizione con le maggiorate del tempo, conquistò ben presto le simpatie del pubblico.
Come riporto nel volume “Il cinema visto dal buco della serratura”, in corso di stampa, divertente è questo aneddoto raccontato da Sophia Loren:
“Il Natale 1957 lo passammo nella pace innevata di Burgnstock. I nostri vicini di casa erano Audrey Hepburn e Mel Ferrer, che incontravamo spesso durante le nostra passeggiate tra i boschi. Un giorno Audrey ci invitò a pranzo. Lo chalet era bellissimo, luminoso, tutto decorato in bianco, adagiato su un dosso che si affacciava sul lago. Anche Audrey era tutta vestita di bianco, e così la tavola, ornata di qualche fiore e molte candele. Chiacchierammo amabilmente, parlammo di cinema, degli amici comuni. Facemmo il giro della casa. Poi con calma, ci accomodammo a tavola. Ed ecco arrivare l’antipasto, o almeno questo è quello che pensai, vedendolo. Una foglia di lattuga, un ricciolo di formaggio fresco, sormontato da una punta di composta di lamponi. Nel piattino a fianco, un panino croccante. formato mignon. La conversazione era piacevole, la composta di lamponi ancor più, ma quando vennero a ritirare i piattini, Audrey si alzò e disse, con uno di quei sorrisi aerei, delicati, perfetti: “Ho mangiato troppo!” Il pranzo dunque era finito. Io, diplomaticamente, aggiunsi: “Era tanto, tutto squisito!” Stavo morendo di fame e appena tornati a casa mi preparai un panino.”
Una carriera strepitosa quella della Hepburn, che comparirà poi in “Guerra e pace” (1956), “Arianna” (1957), “Sciarada” (1963), “My fair lady” (1964), “Gli occhi della notte” (1967). Ma a ben vedere furono due i film ha reso iconica la figura della Hepburn.
In “Colazione da Tiffany”, per la regia di Blake Edwards (1961), tratto dal romanzo di Truman Capote, è la travolgente Holly che, dopo mille colpi di scena, s’innamora di Paul, giovane scrittore, interpretato da George Peppard. Le cronache riportano che il regista avesse puntato inizialmente su Tony Curtis e su Steve Mc Queen, ma Mel Ferrer, gelosissimo marito al tempo di Audrey, fece il diavolo a quattro ed Edwards, suo malgrado, dovette ripiegare su Peppard.
Un film ricordato, anche e soprattutto, non solo per gli splendidi abiti e cappelli indossati dalla Hepburn, ma anche per il brano “Moon river”, composto da Henry Mancini, premiato con l’Oscar. L’altro film con il quale è automaticamente associata la Hepburn è “Sabrina” (1955) di Billy Wilder, di cui riporto trama e commento.
La ricca famiglia Larrabee è composta dagli anziani genitori e da due figli; Larry (Humphrey Bogart), freddo uomo d’affari che dirige l’importante azienda paterna, e David (William Holden), impenitente donnaiolo, già sposato e divorziato tre volte. Nella loro lussuosa dimora di campagna, con tanto di piscina e campo da tennis coperto, vivono diversi domestici, il loro autista Thomas Fairchild (John Williams II) e sua figlia minore Sabrina (Audrey Hepburn), una ragazzina acerba, ingenua e sognatrice, segretamente innamorata di David. Delusa perché lui non le degna neppure di uno sguardo, lei tenta il suicidio con il gas di scarico delle sontuose automobili chiuse in garage ma è provvidenzialmente salvata da Larry. L’indomani lei parte per Parigi per frequentare una scuola d’alta cucina. Larry, intanto, che ha il fiuto degli affari, all’insaputa di David, sta combinando il matrimonio del fratello con la miliardaria Elisabeth (Martha Hyer), proprietaria di una vasta piantagione di canna da zucchero. Sabrina ritorna dopo due anni a casa Larrabee completamente trasformata ed è talmente affascinante ed elegante che David s’innamora pazzamente di lei ed é deciso a mandare a monte il matrimonio con Elisabeth. Per una banale incidente, David s’infortuna e chiede a Larry di uscire con Sabrina. Larry allora ne approfitta per farle credere di essersi innamorata di lei, ma in realtà ha già pianificato il suo piano; le farà credere che partiranno insieme per Parigi ma la lascerà partire da sola e quando lei lo scoprirà, per attutire la sua delusione, le farà trovare nella cabina delle nave una lettera di scuse, dei fiori, dei soldi e delle azioni privilegiate della sua azienda. Ma…
In questa commedia rosa entrata a far parte dell’immaginario collettivo, Wilder mescola romanticismo e divertimento, e ripropone, in maniera originale, l’ennesima favola a lieto fine di un miliardario che s’innamora di una ragazza di una classe sociale inferiore. Uno dei segreti del successo internazionale del film è però nell’aver rovesciato il ruolo del principe azzurro; Sabrina, infatti, non ruberà il cuore del bello e seduttore Holden bensì quello del compassato, algido e maturo Bogart. Wilder non vuole sposare i toni della denuncia sociale ma, ironicamente, con un’immagine che vale più di mille parole, propone l’automobile come metafora della vita; c’è un sedile anteriore (dove viaggia Thomas e chi appartiene come lui a delle classi sociali inferiori) e uno posteriore (dove siede il miliardario Larry), separati in mezzo da un invalicabile finestrino. A far da contorno ai tre protagonisti il vecchio Larrabee costretto a fumare di nascosto il sigaro nell’armadio di Larry e che tenta, in maniera goffa e impacciata, di pescare le olive del suo Martini. Hepburn è un incanto e grazie a questo film, dopo Vacanze romane, ottenne definitivamente la sua consacrazione come star, Bogart che sostituì Cary Grant, alle prese per la prima volta con una commedia sentimentale e non più nel ruolo di un duro, è impeccabile al pari di uno schioppettate Holden. Dalla commedia “Sabrina Fair” (1953) di Samuel A. Taylor, riscritta da Wilder con S.A. Taylor e Ernest Lehman per Paramount. Oscar per i migliori costumi ad Edith Head (anche se la maggior parte dei vestiti furono disegnati da Hubert de Givenchy). Magnifica la fotografia in bianco e nero di Charles Lang Jr. Scialbo e incolore il remake, diretto da Sydney Pollack nel 1995 con l’inespressivo Harrison Ford, Julia Ormand e Greg Kinnear.
Una vita sentimentale travagliata quella della Hepburn (si narra anche di una liaison con William Holden ai tempi di “Sabrina”, con Albert Finney e Ben Gazzarra) un paio di matrimoni fallimentari alle spalle (non ultimo quello con lo psichiatra romano Andrea Dotti), una vita spesa per l’Unicef e per i bambini africani. Un maledetto cancro ce l’ha portata via quando aveva solo sessantatre anni.