Queen of Earth , il thriller psicologico del regista americano Alex Ross Perry al suo quarto lungometraggio, è interpretato dal premio Golden GlobeElisabeth Moss ( The Handmaid’s Tale) e Katherine Waterston ( Animali Fantastici), e prodotto dalla Washington Square Films assieme ad uno dei padri del movimento Mumblecore, Joseph Swanberg. Disponibile su Mubi.
Il trailer
Ex best friends al capanno
Catherine è nel mezzo di un crollo emotivo a causa della rottura col suo ragazzo per un’altra donna. A ciò si aggiunge il recente suicidio del padre, un famoso artista. Per cercare di farle superare il momento, l’amica Virginia invita Catherine nella capanna dei suoi genitori, stesso posto in cui le due ragazze e l’ex ragazzo di Catherine erano soliti trascorrere le vacanze. Quello che avrebbe dovuto essere un periodo di pausa e riflessione, si trasforma in un confronto aspro tra le protagoniste, le quali non perdono occasione di rinfacciarsi i reciproci stili di vita.
La salute mentale di Catherine inizia a vacillare per la convivenza forzata con l’amico di Virginia, Rich, che la puntella continuamente e a cui Virginia fa sapere che non gli va a genio. Le immagini della vacanza passata si frappongono a quella presente e all’instabilità sempre più forte di Catherine in preda a dolori alla faccia e a un quasi digiuno, voluto. Il tentativo non riuscito di strangolare Rich, fa riflettere Virginia sul livello della loro amicizia e i problemi di Catherine. Un finale enigmatico ci riporta la nostalgia e i sensi di colpa tra due amiche non più tali.
Il Persona di Perry
Dopo l’ottima prova di Listen Up Philip, Alex Ross Perry torna con un lungometraggio profondamente inserito nelle dinamiche del cinema indipendente. Usa la complessità di un rapporto di amicizia per istaurare una convivenza che ci parla di un tema più profondo. La salute mentale della protagonista diventa il fulcro sul quale Perry cerca di sviluppare un angosciante thriller sul valore dei rapporti, e nella massima l’amico si vede nel momento del bisogno. Per fare ciò Perry prende Persona di Ingmar Bergman e cerca di adattarlo a suo modo. La casa sulla spiaggia svedese diventa il capanno americano, e Virginia e Catherine dei simulatori di Bibi Anderson e Liv Ulmann.
Se le protagoniste del cult bergamiano partivano da una non conoscenza e dalla convivenza forzata, quelle di Queen of Earth si conoscono bene, e il film di Perry mira proprio a decostruire il loro rapporto sulle macerie di chi si ricordano di essere. La Waterston sembra ricalcare il ruolo dell’infermiera di Persona in continuo accudimento dell’instabilità emotiva della Moss. I giorni vengono scandagliati e intanto aumenta la follia e il dolore di Catherine, sempre in balia dei suoi fantasmi e dei suoi traumi.
L’estetica Mumblecore
Da qui Perry, essendo uno dei principali esponenti del nuovo Mumblecore, applica i principali schemi del movimento avanguardista americano. La camera, spesso a mano, si sposta e si risposta come se fosse una videocamera industriale con poca resa estetica. Le due protagoniste, nel rinfacciarsi le rispettive criticità, parlano urlando i loro pensieri, nella piena tradizione dei borbottii Mumblecore. In ciò passato e presente sono collegati dall’ex ragazzo di Catherine e dall’amico di Virginia, Rich, spettatori e parti integranti del flusso della violenza verbale e rancorosa delle due protagoniste. Questo impatto vigoroso e rude dei pensieri quasi gridati ad alta voce, viene accentuato dalla ripresa di Perry che si sofferma sul volto. E lo fa in strettissimi primissimi piani di chi riceve le parole mentre l’altra persona parla. Accentuando l’emotività e la funzione del simbolo del discorso.
Catherine e la follia del dolore
La Moss interpreta il personaggio principale, diviso tra le volontà di superare il dolore e non riuscirci. Nel rinfacciarsi il passato tra le due, Virginia centra il cuore del senso di autodistruzione di Catherine. Una donna legata a doppio filo dalla figura maschile della quale non riesce a fare a meno. E non perché non potrebbe, ma per la mancanza di coraggio di farcela da sola. Nelle scene del ritratto che Catherine sta facendo a Virginia, uno die momenti migliori di questa meta seduta psicanalitica sulle vite delle protagoniste, la Moss ammette e svuota il suo vaso di pandora. Il legame col padre non è solo un caso riconosciuto e conclamato di nepotismo, ma anche la sola ragione che muoveva e muove la protagonista.
È in grado di fare tutto con il padre, e in generale con una figura maschile al suo fianco, e nulla senza. La prova è nel crollo emotivo in cui si è rinchiusa. Un auto-condizionamento di una figura femminile a quella maschile a cui tende il film. E che Perry ci suggerisce in forma di vitale bisogno di esistere e di disvelamento del turbine psico-fisico della protagonista. Bravo Perry a comunicarcelo già in apertura, con quel meraviglioso cold open del primo piano in cui, una distrutta Catherine in lacrime, non accetta di perdere dopo il padre la sua seconda figura maschile di riferimento. Il suo ragazzo, ormai ex. In un posizionamento della camera che sembra in parte ricalcare il mockumentary.
Virginia e Catherine, il conflitto dei due io
Assodata la crescente instabilità di Catherine, anche Virginia deve fare i conti col valore delle parole e delle verità dette dalla disfunzionale amica. Entrambe ribaltano le certezze della propria esistenza. Virginia consapevole di essere una mantenuta senza alcuno scopo nella vita, e Catherine devota e consapevole di essere tutto grazie al padre. Questi due Io si scontrano, ammettono di essere irrisolti ma cercano in tutti i modi di preservare la salvezza di un rapporto. Una relazione che fino all’altra estate era scritta nei termini di supporto di Catherine verso Virginia. In quella che era una semplice conflittualità di un’amicizia in cambiamento a causa della stabilità sentimentale che la prima credeva di avere.
Il modo in cui nei flashback la Virginia del passato cercava in tutti i modi di sgretolare le certezze di Catherine sulla sua vita amorosa, si riconduce alla conservazione di un legame che la Waterston vede sgretolarsi. Cercando quindi un modo, attraverso l’acceso confronto, per riportare l’amica alle sue fragilità e al suo soccorso. Il presente è però diverso, trasformandosi in una battaglia dove non sembra più esserci amicizia ma una gara a chi è migliore rispetto all’altra. Sempre durante una delle scene del ritratto, Virginia vede per la prima volta chi è davvero l’amica, una persona debole, sempre circondata da figure maschili per proteggere le sue fragilità.
Il thriller mai nato
Il film di Alex Ross Perry, pur sofisticamente elevato, ha un’estrema anti vitalità che lo porta a oscillare tra un dramma soporifero e scintille da thriller. Perry ci avverte con precisi lampi sonori e scenici che avverrà sempre qualcosa che riattiverà l’opera, senza mai farlo e crederci per davvero. Lo fa anche quando la pazzia di Catherine, arrivata ormai al culmine, porta all’ultimo confronto tra le due protagoniste. Il raccordo tra temporalità del presente e del passato opta per qualcosa di tragico che forse è avvenuto, e lo fa attraverso le immagini della vacanza dell’anno precedente con la casa vuota di questo corrente. Virginia osserva la sua capanna senza Catherine e il suo dipinto finito, lasciandoci col dubbio dell’avvenuto evento tragico.
Queen of Earth è un’opera in chiave Mumblecore sulla perdita degli affetti e l’amicizia come vuoto esistenziale. Un film impreziosito dalle interpretazioni di Elisabeth Moss e Katherine Waterston ma eccessivamente caratterizzato dalla propria vocazione indipendente.
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